Alla ricerca dei Fenici

di Ornella Corda

IN SEARCH OF THE PHOENICIANS.
PhD and Archaeologist Josephine Quinn

(Prima pubblicazione, 2017)
Josephine Quinn è professoressa associata di Storia delle Antichità all’ University of Oxford e membra del Worcester College. E’ anche la co-direttrice  di: The Hellenistic West (L’Ovest ellenistico) e di The Punic Mediterranean.(Il Mediterraneo Punico) oltre ad essere attualmente impegnata in scavi a Tunisi.

I Fenici leggendari sono mai esistiti?
Sono stati celebrati in tutto il mondo antico come avventurieri e mercanti senza paura – eppure rimangono elusivi come sempre.

Quindi i Fenici non sono mai esistiti.
Erodoto, quel vecchio inafferrabile, ha inventato tutto nelle “Storie”. È proprio questo che sta dicendo Josephine Quinn, o è solo un astuto stratagemma per suscitare clamore e infuriare la banda di erodotei in via di esaurimento là fuori nel mondo classico e stabilizzato ?
Perché Josephine Quinn, professoressa di Storia antica all’Università di Oxford, dichiara che la sua missione non è tanto quella di salvare i Fenici dalla loro “immeritata oscurità”, quanto quella di sostenere che non esistevano Popoli del genere.
“È il nazionalismo moderno che ha creato i Fenici”, scrive, citando storici francesi, inglesi e tedeschi del XIX secolo che parlavano del “popolo” e della “nazione” fenici nell’età dello stato nazionale.


I Fenici sono tra i personaggi preistorici più oscuri e più sfuggenti, che è parzialmente giustificabile in una comunità che, secondo gli studiosi del Novecento e quelli attuali, esisteva tra il 1.000 e il 700 a. C. e che ha lasciato poche tracce di testimonianze letterarie o archeologiche. I classicisti non tendono a dare loro molto rilievo. La scorsa estate mi sono iscritta ad un evento durante il quale John Julius Norwich teneva una conferenza su una nave. Il suo discorso sulla storia del Mediterraneo, dai tempi antichi alla profanazione delle navi da crociera di oggi, è stato un tour de force.

Confessando di non interessarsi ai Fenici, ha dato loro solo il più breve dei cammei. Ti giri e li perdi. Le glorie dell’Antica Grecia e di Roma stanno ancora assai più in rilievo delle loro.
Eppure sono al centro della Storia del Mediterraneo antico, una sorta di confederazione di commercianti ed esploratori marittimi insopprimibili che vivono nel Mediterraneo orientale con le principali città di Biblo, Berytus (Beirut), Tiro, Sidone e Arwad. Fanno il loro ingresso sul palcoscenico storico-letterario con una menzione di prima pagina nelle Storie di Erodoto, il padre della storia del V secolo a.C.
Egli scriveva che tale Popolo proveniva originariamente dal Mar Rosso, entrò e si stabilì nel Mediterraneo e iniziò immediatamente ‘ad avventurarsi in lunghi viaggi, trasportando con le loro navi le merci dell’Egitto e dell’Assiria’.
La loro influenza fu pervasiva intellettualmente e geograficamente, apparentemente insegnando ai Greci l’alfabeto e stabilendo il famoso insediamento fenicio di Cartagine.
“Hanno avuto il merito di aver scoperto tutto, dalla stella polare alla crema della Cornovaglia”, scrive la Prof.ssa Ph. Josephine Quinn, notando il loro acume come commercianti di cedro di montagna del Libano, insieme a metallo meravigliosamente lavorato, avorio e vetro. Sia l’Antico Testamento che l’Iliade rendono omaggio all’arte fenicia: nella costruzione e nella decorazione del tempio di Salomone di Gerusalemme e nella più bella ciotola d’argento del mondo, un premio per i giochi funebri di Patroklos, rispettivamente”.


Alla Ricerca dei Fenici (In Search of the Phoenicians) esplora i legami che collegavano tra loro questi Popoli, la loro lingua e la loro religione, sottolineando al contempo l’assenza di legami basati sulla nazionalità e l’etnia. Nella misura in cui siamo in grado di valutare come i Fenici guardavano se stessi, appare evidente che i legami e le comunità erano più basati su città, famiglie e pratiche religiose che su qualsiasi altra cosa.
Il culto del dio di Tyro Melqart, ad esempio, noto ai Greci come Herakles, legava insieme gli insediamenti fenici in tutto il Mediterraneo, oltre alla diaspora greca. Il culto del sacrificio del fanciullo a Baal Hammon (Kronos in greco, generalmente Saturno in latino) sembra non aver preso piede nello stesso grado.
Nessuno si definiva “Fenicio” in fenicio, non ultimo perché la fenice è una parola greca – per la palma. Da tutte le prove disponibili, la prima persona a identificarsi come Fenicia fu lo scrittore Heliodoro di Emesa (nell’odierna città siriana di Homs) nel IV secolo.


La storia della Prof.ssa Quinn è molto avvincente e trova i suoi punti di forza come storica e archeologa (è condirettrice di scavi nel sito tunisino di Utica), discutendo su chi fossero i Fenici, andando a fondo nelle ricerche tra i vari reperti archeologici, artistici, linguistici, prove letterarie, religiose, epigrafiche e numismatiche – o la mancanza delle stesse – per sviluppare una visione più chiara di questo popolo oscuro. Non lascia nulla di intentato, dalle rovine archeologiche alle iscrizioni funerarie, alla poesia e al dramma, nella sua ricerca di capire come i Fenici, forse solo DOPO IL LORO TEMPO, diventano un popolo.
J. Quinn conclude che negli ultimi decenni c’è stata un’enorme quantità di lavoro “eclattante” sull’identità, ma troppo poco sul “concetto di identità”.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’intero campo dell’osservazione del focus sull’argomento Fenici condotta dagli Accademici non è mai stato in una salute più sfavorevole. Il pericolo di immergersi in un dibattito prolisso sulle identità “multiple, frammentate e fluide” è che ci porta lontano dalla prosa narrativa storica favorita dal lettore generale nel gergo sociologico preferito dallo specialista. E il linguaggio conta.
La “prosa di Erodoto”, ha osservato Aubrey de Sélincourt, uno dei più eleganti traduttori delle ”Storie”, “ha la flessibilità, la facilità e la grazia di un uomo che parla superbamente”. Pochi storici lo hanno mai eguagliato.
Alla fine, J. Quinn ha sicuramente ragione di resistere a una nazionalità ANACRONISTICA di cui sarebbe padrona questa antica comunità geograficamente e culturalmente diversificata. Ma si potrebbe obiettare che ella è così insistente su un’identità malleabile e fluida oggi quanto i nazionalisti europei del 19 ° secolo lo fossero con la loro definizione dei Fenici come popolo, dato che le Nazioni Occidentali stesse erano alle prese, dati i fatti storici a noi più vicini, con la loro stessa e rispettiva autodefinizione di Nazione.
Il che non è altro che osservare che siamo tutti un prodotto dei nostri tempi – dal vivace Erodoto agli accademici attenti di oggi.
Ma i Fenici, in particolare, paiono prodotto di un Tempo posteriore alla loro stessa eventuale esistenza.

RECENSIONI AL LIBRO

“Lo studio ambizioso della Quinn lega insieme storia e scienza politica per rivelare i modi in cui l’antichità rimane rilevante oggi.” – Publishers Weekly
“Pieno di immagini istruttive e accattivanti e di argomentazioni profonde, Quinn’s In Search of the Phoenicians crea un caso avvincente e ampio che suggerisce che” Phoenician “fosse una descrizione politica piuttosto che personale.” – Foreward Reviews
“L’analisi della Quinn su come le idee della nazione moderna hanno corrotto la nostra comprensione delle identità passate è di grande esperienza e di ampia portata.” – Dominic Green, Minerva