I Menhir. La stele antropomorfa di Laconi. Il pugnale. 1

di Marco Chilosi

Riprendo alcuni post precedentemente apparsi su Nurnet [    1,    2], che riguardano i menhir antropomorfi, grandi pietre scolpite che hanno sempre affascinato ricercatori ed appassionati per la loro rilevanza storica ed artistica, ma anche per alcuni elementi di “mistero” che ancora li caratterizzano.

I menhir in generale hanno avuto differenti tipologie e funzioni, riutilizzazioni, spostamenti, frammentazioni. L’interpretazione non è semplice, come non è semplice la loro datazione precisa a causa della tipologia propria del manufatto.

Per quelli rimasti “in situ” (e ne abbiamo magnifici esempi in Sardegna) è possibile evidenziare allineamenti astrali riconducibili ad antichi culti legati alle conoscenze astronomiche ampiamente diffuse nella “cultura” megalitica europea.  Questi menhir (le “pedras fittas”, definiti anche “aniconici”) sono prevalentemente semplici, di grandi dimensioni e presenti in gruppi e disposizioni particolari.

Le “stele antropomorfe”, di dimensioni più contenute, sono  caratterizzate dalla presenza di particolari fisionomici, più o meno accentuati, che rendono riconoscibili figure umane, maschili o femminili.

Questa tipologia di menhir costituisce un elemento artistico/simbolico onnipresente nel bacino del mediterraneo, in Medio Oriente, Nord Africa, Asia, isole del Pacifico. Le stele antropomorfe rappresentano un elemento potenzialmente ineguagliabile per comprendere l’evoluzione culturale dei popoli, dal neolitico all’era storica. La qualità e la quantità di studi e ricerche a riguardo sono imponenti.

Quale il significato di questa tipologia di menhir?

Le interpretazioni sono tante e diverse: associati a ritualità funerarie, segnali di possesso del territorio, statue votive a divinità, ricordo di defunti prestigiosi, etc. La discussione è certamente aperta, e l’acquisizione di nuovi elementi, scoperte archeologiche, aggiornamento delle metodologie di studio portano alla necessaria rivalutazione di tutti gli elementi disponibili. Ovviamente, la prospettiva di nuove interpretazioni non va letta come “smentita” di quanto proposto in precedenza (con  toni polemici che troppo spesso accompagnano l’evoluzione delle conoscenze in campo archeologico) , ma come necessario, progressivo avvicinamento alla verità, nel rispetto delle diverse opinioni, ma sempre rispettosi del “metodo scientifico”.

In Sardegna abbiamo esempi magnifici di stele antropomorfe, con casistiche caratterizzate da “clustering” peculiari in alcuni siti ed in alcuni periodi (mi riferisco in particolare al gruppo di stele di Laconi e siti vicini del periodo Ozieri), oggetto di grandissimo interesse sia per l’ elevatissimo connotato artistico che per la loro valenza storica.

Le stele sono attualmente valorizzate nello splendido Museo di Laconi, oggetto di interesse crescente a livello internazionale. Delle misteriose figure simboliche scolpite nella pietra vi sono attualmente interpretazioni condivise, ma nella consapevolezza che la ricerca della verità è ancora sospesa .

Gli elementi di cui vorrei discutere in particolare sono quelli che hanno attratto l’attenzione di ricercatori ed appassionati: il cosiddetto “capovolto” e la raffigurazione dell’insolita arma (pugnale “bilama”) alla cintura delle figure maschili.

Nell’interpretazione di aspetti morfologici di opere d’arte prodotte in passato, ma  riprodotte su vasta scala , caratterizzata da elementi caratterizzanti utilizzati in luoghi e tempi molto diversi è necessario considerare con attenzione la possibile “deriva entropica”, una sorta di progressiva “loss in translation” legata all’evolversi delle culture, al mutare dei gusti estetici, ma anche dei dettami di convenienza, politica, tradizioni.

In particolare mi riferisco alla possibilità che l’elemento simbolico del “pugnale” onnipresente nelle stele antropomorfe maschili, non costituisca un elemento “originale”, cioè coerente con la primigenia ispirazione.

Tanto esibirsi di armi da taglio, spavaldamente infilati nella cintura sembra più  il prodotto di una crescente aggressività, in difesa del territorio o alla conquista di territori, resa più letale dallo sviluppo delle tecnologie (dalla selce, al rame, al bronzo, al ferro), che ha bisogno di idoli “guerrieri”, da porre al limite dei confini per sottolineare il possesso.

Se analizziamo la varietà delle figure antropomorfe e delle loro armi, notiamo un “perfezionamento” stilistico che passa da ambigue rappresentazioni di oggetti che “ricordano” un coltello a doppia lama, a sempre più evidenti  rappresentazioni di pugnali, spade et similia [figura 1].

Nel post di Nurnet a firma di Giorgio Valdes [2] sono discussi alcuni dubbi e possibili alternative, limitatamente alla simbolistica presente nella casistica di stele antropomorfe di Laconi, che restano, nello scenario generale, le più stilisticamente astratte e le meno palesemente armate.

Riprendo dal post di Valdes “…. In ogni caso tale interpretazione coincide perfettamente con la teoria che sostengo da tempo (condividendola con Nicola Porcu che la propone nel suo libro “Hic-Nu-Ra”), secondo la quale il “bipenne” non è altro che l’emblema del dio itifallico egizio Min, manifestazione del massimo dio solare Amon, il cui nome crittografato compare in tantissimi monili rinvenuti in Sardegna. Min era un dio androgino e i suoi emblemi raffiguravano appunto un utero” .

E’ un dubbio ragionevole? Certamente controcorrente rispetto al consenso ampio dell’inclusione delle stele sarde nell’ampio contesto di armigeri.

Ma come approfondire per risolvere il dubbio?

Un possibile approccio è quello di confrontare il simbolo nella sterminata casistica esistente di stele antropomorfe reperite in tutta Europa, correlandole con la datazione (considerando i limiti legati alle incertezze esistenti sulla cronologia di questi reperti).

Questa analisi conferma l’unicità delle stele sarde, specificità che può aver indotto qualche autore a considerarle come “rozze” imitazioni di ben più “artistiche” e realistiche rappresentazioni.

Un’  altra e ben più attendibile metodologia analitica potrebbe consistere nella comparazione della simbolistica delle stele con i precedenti, cioè i “precursori” originali della rappresentazione. Un’ analisi “ontogenetica”.

Ma quali sono i “precursori” delle stele antropomorfe? I menhir “aniconici”?

Questi non sono molto informativi : a parte il frequente riferimento morfologico alla fecondità maschile o qualche abbozzo di seno muliebre in alcuni betili, non sembrano assolutamente dei “precursori” delle stele antropomorfe.

Una possibile soluzione può venire (un colpo di scena?) da nuove scoperte archeologiche.

Mi riferisco in particolare alla sconvolgente messe di nuove informazioni fornite dal complesso megalitico di Gobleki Tepe che, come  confermato dall’Archeologia ufficiale, è il più antico santuario megalitico noto a tutt’oggi, precedendo di più di 5000 anni le nostre stele antropomorfe [3].


  1. https://www.nurnet.net/blog/le-statue-menhir/
  2. http://www.nurnet.it/it/1018/Il_bipenne:_maneggiare_con_cura.html
  3. https://tepetelegrams.wordpress.com/category/op-ed-column/