Il pozzo sacro di S.Cristina

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di Giorgio Valdès In un saggio del 2011, compreso nella collana “I Tesori dell’Archeologia”, l’archeologo Alberto Moravetti descrive dettagliatamente l’articolazione del Santuario di S.Cristina di Paulilatino, con particolare riferimento al famoso pozzo sacro, la cui costruzione può porsi, “sulla base dei dati finora noti”, intorno all’XI secolo a.C. Non vi è dubbio alcuno che il “pozzo” sia un’opera di grande qualità architettonica, esaltata anche dal professor Lilliu, del quale Moravetti riporta la descrizione testuale: “Principesco è il pozzo di S.Cristina, che rappresenta il culmine dell’architettura dei templi delle acque. E’ così equilibrato nelle proporzioni, sofisticato nei tersi e precisi paramenti dell’interno, studiato nella composizione geometrica delle membrature, così razionale in una parola da non capacitarsi, a prima vista, che sia opera vicina all’anno 1000 a.C. e che l’abbia espressa l’arte nuragica, prima che si affermassero nell’isola prestigiose civiltà storiche”. Non può che condividersi il giudizio espresso da Lilliu, per quanto lasci piuttosto perplessi quel suo “non capacitarsi” del fatto che un’opera così mirabile fosse stata concepita dalla civiltà nuragica. Ma può darsi che sia io ad avere interpretato male il suo pensiero. L’elencazione dei relativi studi e ricerche, è proposta da Moravetti in maniera puntuale ed esaustiva, ad iniziare da quelle del Lamarmora, che ne accennava nel 1840 nel suo “Voiage”, per proseguire nel 1846 con l’Angius, che nel dizionario del Casalis osservava la sua forma ad imbuto e la struttura in pietre ben lavorate e quindi con il canonico Giovanni Spano che nel 1857 si soffermava con maggiori particolari nella descrizione di questo monumento, presentando anche un rilievo grafico realizzato da Vincenzo Crespi e riportato nelle immagini. Curiosamente lo Spano identifica la sua funzione con quella di un carcere, giustificando la sua teoria con la conformazione delle carceri etrusche e romane che “consistevano in un pozzo, ossia sotterraneo, fatto a volta illuminato soltanto da una apertura di sopra”. Si presume quindi che egli ritenesse il pozzo come una cella che prendeva luce esclusivamente dal foro sommitale. Qualche anno più tardi il Lamarmora farà nuovamente riferimento all’edificio di Paulilatino nell’”Itineraire”, osservando che si trattava di “una specie di costruzione che richiama le prime prove delle volte”. Nel 1900 il Lovisato confronta il “S.Cristina” con altre strutture simili e, nel 1904, A.Mayr, suggestionato dalle analogie con le tholoi micenee, lo interpreta come una tomba a cupola. Nel 1910 Taramelli lo identifica come pozzo sacro simile a quello di S.Vittoria di Serri. A parte i passaggi intermedi, i primi interventi di scavo si avvieranno quindi nel 1953, per proseguire negli anni successivi a cura di Enrico Atzeni e Paolo Bernardini. Moravetti richiama quindi un articolo del 1992, apparso sul Corriere della Sera, in cui M.Cavedon, riprendendo una tesi dell’astronomo G.Romano, ipotizza l’utilizzo del pozzo e quindi del suo foro apicale come osservatorio lunare, mentre “negli equinozi di primavera e d’autunno il Sole illuminava la scalinata fino ad arrivare allo specchio d’acqua”. Tesi radicalmente respinta da Moravetti il quale al proposito afferma testualmente: “Peccato che l’estensore dell’articolo abbia formulato la sua ipotesi e i suoi calcoli sullo stato attuale dell’edificio nuragico, ignorando che il foro sommitale della camera che si apre attualmente sul piano di campagna fosse chiuso e al di sopra del profilo di pianta ora visibile insistesse la struttura in elevato del monumento, ora distrutta! Infatti, la parte emergente dell’edificio, che dobbiamo ipotizzare costruita come la parte superstite in struttura isodoma –come, ad esempio, nella fonte sacra di Su Tempiesu ad Orune-, è stata totalmente demolita e i conci così raffinati nel taglio devono essere stati asportati e riutilizzati nel tempo come materiale di costruzione”. Non ho dubbi che le affermazioni di Moravetti siano improntate al massimo rigore scientifico, ma da modesto profano mi piacerebbe sapere da cosa può desumersi che il foro sommitale fosse originariamente chiuso e coperto da una costruzione simile a quella di Su Tempiesu a Orune della quale, e salvo che abbia interpretato male le parole di Moravetti, non esiste traccia, trattandosi di un assunto che si basa sull’ipotesi dell’esistenza di una struttura isodoma. Non riesco peraltro a comprendere a che funzione potesse assolvere un foro, perfettamente rifinito con conci di pietra lavorati, come si può notare nelle immagini, che si apriva sul piano di calpestio di un vano chiuso , ma prendo atto di quanto affermato dal professor Moravetti, che sicuramente avrà avuto ottime ragioni a sostegno delle sue asserzioni.