LA PROFEZIA DI MONTE D’ACCODDI – 2

di Giorgio Lecchi

seconda parte

Questa enorme pietra, posta orizzontalmente al terreno, avrebbe dovuto servire come altare per sacrifici, sappiamo inoltre che sono state trovate (dato tra i più’ importanti per questa ricerca) grandi quantità di ossa di maiali e di altri animali tra cui anche cani.

Questo dato, come la maggior parte dei sacrifici di animali in Sardegna, era solo ipotizzato. Ora e’ stato avvalorato da una recente ricerca dell’università’ di Cagliari presso il complesso Nuragico di Barumini.

Gli studiosi hanno dimostrato (al momento il dato è ufficioso, ma, praticamente, quasi scontato) che questi sacrifici erano reali, anche se di un periodo diverso dal nostro.

Questa sensazionale scoperta dell’età’ del bronzo viene cosi’ riportata da uno degli scopritori:” Mentre cercavano i resti di un’antichissima cinta muraria Cicilloni e la sua squadra si sono imbattuti in due pozzetti integri: «All’inizio pensavamo che fossero semplici fondazioni – spiega il direttore scientifico dello scavo –, anche perché l’area era già stata indagata negli anni ’50, anche se con metodologie non all’avanguardia e forse in un momento in cui la reggia stava prendendo forma». Invece, sotto la capanna 197 non era ancora arrivato nessuno: «Evidentemente questa parte della capanna era rimasta integra.

Quindi abbiamo scavato i pozzetti», aggiunge Cicilloni. Apparentemente le due cavità non avevano nulla in comune: una era praticamente ostruita dal pietrame, l’altra custodiva alcuni vasi di ceramica. Entrambi, però, avevano preservato i resti di due o più animali: «Maialetti appena nati, da due settimane al massimo. Ma anche gusci di mitili, cozze per la precisione – conferma Riccardo Cicilloni –. Attraverso le consulenze con alcuni zoo archeologi siamo riusciti a capire che quelli che stavamo scavando non erano semplici resti di un pasto ma le prime prove di un sacrificio animale a una divinità di cui, purtroppo, sappiamo poco». I maialetti, oltre a essere troppo giovani per essere utilizzati da un punto di vista alimentare, non erano stati cucinati. Anche nei pressi del nuraghe Santu Antine era stato effettuato un ritrovamento simile ma nel caso di Barumini, oltre agli scheletri degli animali, c’era qualcosa in più, un elemento utile ad arrivare alla datazione del ritrovamento. Il carbonio 14. La sorpresa meno eccitante potrebbe diventare fondamentale per la datazione.”

Continuiamo la disamina del sito, c’è, ai piedi della struttura piramidale un’altra fossa fatta di pietre, ritenuta un magazzino per le provviste, andrebbe adeguatamente scavata e ispezionata perché potrebbe essere un’altra struttura che ha a che fare con rituali del mondo sotterraneo.

Tutto quello fin qui detto è corretto o almeno quasi tutto, ora però, vorrei aggiungere qualche cosa che forse è sfuggita e vorrei fare un parallelo, probabilmente ardito, ma che in alcuni casi può essere calzante e aiutare a capire la reale funzione del monumento.

Il sito presenta una quantità di pietre enorme come tipologia, granito, calcare, arenaria, trachite, ignimbrite, che per trovarla bisogna spostarsi di vari km, con cui fecero lastre/bacili cosparsi di ocra rossa, dove sarebbero dovuti avvenire sacrifici, pietre omphalos (spostati dalla posizione originale), cioè grosse pietre ovali con coppelle disseminate sulla base della superficie, che indicano, solitamente, il centro del mondo(imago mundi), un luogo inviolabile (infatti si ritiene simbolo dei cosiddetti “centri oracolari” posti per l’appunto in luoghi particolarmente sacri come Delo, Delfi, Metsamor, luoghi in cui forze telluriche-magnetiche erano più’ forti che in altri luoghi) simbolo dell’incontro tra Il mondo celeste, il mondo terreno e quello sotterraneo, anche icona di un popolo che abbiamo già incontrato più volte e che troveremo nei miti , a torto ritenuti greci, analizzati più tardi: il pelasgico.

Quindi grande attenzione per la pietra, che era ritenuta viva, permeata di divino, rappresentazione della madre terra, come le perdas fittas che abbiamo all’inizio della rampa o come le grandi pietre  poliedriche di calcare, leggermente sbozzate, che contengono e reggono, grazie anche all’inclinazione, il terreno ( terra e materiale di riempimento).

Questa costituisce la struttura non visibile, la scalinata monumentale fatta di pietre posta sulla destra di chi si accinge a salire, affiancata da una specie di muro eseguito sempre con pietre poliedriche, che dà un senso di distacco col mondo divino, allo stesso tempo permette di raggiungerlo tramite la scala ed arrivare in cima.

Qui il pavimento è costituito sempre da chiare pietre poliedriche a formare una specie di piazza, che, all’epoca, colpita dai raggi del sole doveva fare un certo effetto ospitando il tempio, casa del dio dove avvenivano I rituali e le nozze sacre.

Per terminare ci sono parecchi reperti interessanti che sono stati recuperati durante gli scavi: frammenti d’idoletti femminili, che si definisce di tipo ‘cicladico’ (culto della dea madre di cui abbiamo testimonianza insieme con quello del toro in modo quasi ossessivo nelle domus), ceramiche, due stele (una in calcare riporta un disegno a losanga e spirali, l’altra una dea madre stilizzata).

Sempre nel sito molto interessante è la capanna detta ‘dello Stregone’.

All’interno trovavano posto cinque ambienti di forma diversa, probabilmente, fu abbandonata in tutta fretta forse a causa di un incendio: sul focolare si trovava ancora un treppiedi.

Poi c’era una brocca capovolta che conteneva una punta di corno bovino e alcune conchiglie marine bivalve, c’era un centinaio di vasi, un idoletto femminile, un peso da telaio decorato con dischi pendenti, numerose macine di pietra e altro materiale fittile, tutta roba che caratterizzava siti neolitici e del bronzo anche sull’altra sponda del mediterraneo. Ora siamo in grado di affermare che le attinenze con le ziqqurat mesopotamiche sono diminuite, almeno per quanto riguarda i materiali di costruzione.

 

Passiamo al luogo che vorrei, per certi aspetti, paragonare a Monte D’Accoddi, siamo nella terra degli Hurriti (Siria nord orientale), a Urkes, nel terzo millennio A.C. Una civiltà che si può quasi definire parallela o di poco successiva alla ben più’ nota sumera. Una civiltà’, come quella sarda, poco valorizzata, ma a cui dovremmo essere debitori, perchè fa da “trade union” culturale tra il mondo orientale e occidentale.

Gli Hurriti vivono fianco a fianco con i sumeri, ne assorbono la cultura ma ne sviluppano una loro, tanto e’ vero che Urkesh, capitale culturale Hurrita è una città risultato di un’urbanizzazione definita “secondaria” che ha caratteristiche diverse rispetto a quella sumera e non ha molto da invidiare a citta’ più’ famose come Uruk, Eridu e Ur.

Un grado di civiltà elevatissimo, in cui il ruolo della donna era molto importante, un popolo che ebbe a che fare oltre che con i sumeri, anche con gli accadi, influenzarono fortemente gli ittiti, e, secondo una mia personale opinione, potrebbe essere una parte dei discendenti neolitici Siro Anatolici, che migrarono in quel periodo verso occidente ma anche verso oriente e che condizionarono, culturalmente, più o meno indirettamente, i popoli che giungeranno, in diverse fasi, nel mediterraneo occidentale.

 

Il luogo di cui voglio parlare si trova all’interno di una città (inserito in un ambiente artificiale diverso da quello di monte D’Accoddi), i cui inizi partono dal 4000 A.C. circa ma che, per alcune strutture, si sviluppa e ha il suo massimo splendore nel terzo millennio A.C. fino a scomparire nel 1300 A.C.

Una zona scelta, quasi sicuramente, per delle particolari caratteristiche simboliche, quelle astronomiche e magneto acustiche, se ci sono, purtroppo, non le conosciamo ancora. (Spero che qualcuno inviti il Professor De Bortolis a compiere misurazioni nel sito).

Si tratta di un complesso templare costituito da una terrazza, collegata a una scalinata monumentale, posta sulla destra per chi sale (come a MdA), fatta di pietre poliedriche, ben levigate, utilizzate più grezze, anche per i muri di contenimento che cingono il materiale di riporto di cui è fatta la collinetta artificiale che la ospita. La scala arriva a una struttura sotterranea che si chiama in hurrita “abi”: qui è stato svelato un particolare rito necromantico.

Nella letteratura greca è chiamato Nekyia (in greco antico νέκυια), è un rito attraverso il quale spettri o anime di defunti erano richiamati sulla terra e interrogati sul futuro.

Gli esempi più famosi sono quelli che arrivano dalla bibbia come il racconto della strega di Endor o dalla letteratura greca e romana con Odisseo-Ulisse (Odissea XI) ed Enea (Eneide VI).

Nel primo racconto la Strega signora dell’Ob (parola ebraica che indica l’Abi Hurrita), una donna nota per il possesso di un talismano in grado di evocare gli spiriti dei defunti, è interrogata da Saul per avere notizie del profeta Samuele appena deceduto, che varca il “cerchio magico”, per avvicinare e parlare con Saul tramite la mediazione della signora.

Negli altri due casi la nekiya è usata sia come rito sia come viaggio, catabasi, nel mondo infero, formule per parlare con i defunti.

Odisseo alla corte dei Feaci (alcuni ritengono che siano Sardi) racconta che la maga Circe regina di Ea, concesso il permesso di far ritorno nell’amata Itaca, deve prima però andare nell’Ade e parlare con l’indovino Tiresia .

Partito per questo viaggio infernale arriva nell’Oceano che circonda, come un fiume, le terre allora conosciute, qui è collocato l’Ade, dove per parlare con Tiresia ed avere un responso sul futuro e la via del ritorno deve compiere dei rituali: “Scavai la fossa cubitale, e miele/ Con vino, indi vin puro, e lucid’onda / Versaivi, a onor de’ trapassati, intorno, / E di bianche farine il tutto aspersi./ Poi degli estinti le debili teste/ Pregai, promisi lor, che nel mio tetto, / Entrato con la nave in porto appena, / Vacca infeconda, dell’armento fiore, / Lor sagrificherei, di doni il rogo / Rïempiendo; e che al sol Tiresia, e a parte, / Immolerei nerissimo arïete, / Che della greggia mia pasca il più bello. / Fatte ai Mani le preci, ambo afferrai/ Le vittime, e sgozzaile in su la fossa, / Che tutto riceveane il sangue oscuro”.

 

Lo stesso viaggio deve affrontare Enea, ma per accedere nell’Ade deve raggiungere il tempio di Apollo a Cuma dove si trova la sibilla Deifoe, figlia di Glauco, figlio di Poseidone (divenuto dio mezzo uomo e mezzo pesce grazie ad un’erba magica) o di Minosse, insieme a lei che gli predice guerre e calamità, affronta il viaggio negli inferi, tramite un ramo d’oro, chiave/lasciapassare per accedervi, lo psicopompo Caronte, alla vista del ramo fa entrare I viaggiatori nell’oltretomba dove incontreranno le ombre dei morti tra cui il padre Anchise:” Ma se ti piace affrontare questa folle fatica, ascolta ciò che prima deve essere fatto. Un aureo ramo, con foglie e gambo pieghevole, consacrato a Giunone infernale, è nascosto sotto un albero ombroso: lo copre tutto il bosco e le ombre lo chiudono in oscure convalli.

E non si può entrare nei luoghi segreti della terra prima di aver staccato dall’albero il virgulto dalle fronde d’oro.

Proprio questo dono la bella Proserpina ordinò che le fosse portato; strappato il primo, ne nasce un altro pure d’oro e il virgulto mette frondi d’uguale metallo.

Dunque, cerca profondamente cogli occhi e, trovato il virgulto d’oro, strappalo con la mano secondo il rito; ed infatti ti seguirà facilmente e di buon grado se i Fati ti chiamano; altrimenti con nessuna forza potrai vincerlo né strapparlo con duro ferro (…).

Conduci nere pecore, e siano queste le prime offerte, così vedrai alfine i boschi dello Stige e i regni inaccessibili ai vivi. Disse, e, chiusa la bocca, tacque”.

Oltre Ulisse ed Enea, che io definirei eroi Pelasgi, abbiamo altre figure molto interessanti che ci riguardano da vicino, sono la maga Circe, la dea Ecate, Cerere (equivalenti alle divinità mesopotamiche che vedremo in seguito).

Circe, invece, è umana ma considerata sacerdotessa, maga ammaliatrice, simbolo del cerchio della vita, (kirkos in Greco significa Falco, uccello sacro che compie voli disegnando un cerchio, ma anche il volo circolare dell’avvoltoio attorno alle prede morte) dello zodiaco che regge i destini dell’uomo, addirittura Esiodo (VIII sec. A.C.), parlando degli Etruschi, scriveva: “… i famosi Tirreni (che vivevano)… lontano, nel grembo della sacra isola.” Sarà il promontorio del Circeo che non è un’isola o potrebbe riferirsi a qualcos’altro?

I Tirreni, sempre secondo Esiodo erano una razza nata dall’unione tra Circe e Ulisse.

Giovanni Feo sostiene che Il simbolismo che sta dietro La trasformazione in maiali (eccoli di nuovo) dei compagni di Ulisse ha più di un significato:” le pratiche officiate dalla maga erano rivolte alla madre terra, Ecate, dea e regina dell’oltretomba che in alcuni miti è presentata come madre di Circe; il maiale era lo specifico animale a lei consacrato. Esistevano anche altre divinità analoghe a Ecate, nel cui culto il maiale occupa un posto eminente: la dea-scrofa Forci, il latino Orcus, la cretese Gort, Phorcus, padre dell’orribile Gorgon e delle dee del fato, le Parche.

Forci, Orcus, Gort, Phorcus (Servio, in un commento al V libro dell’Eneide ricorda, sulla scorta di fonti più antiche in suo possesso, che “Rex fuit Forcus Corsicae et Sardiniae”), Gorgon, Parche, la comune radice etimologica di questi nomi rimanda a un’antica divinità marina dell’oltretomba, venerata dai “popoli del mare” nell’età del Bronzo.”

Anche Ecate il cui simbolo principale, abbiamo detto, è il maiale, a volte è rappresentata in triplice figura, divinità “psicopompa”, accompagnatrice di anime e libera di muoversi tra il mondo dei vivi e quello dei morti, triplice come Ermete a simboleggiare le tre fasi della vita.

Le sibille si ispiravano a lei per riti necromantici, altri aspetti sono quelli di dea-luna (forse lo stesso altare di MdA è dedicato a una divinità lunare di nome Ningal) e madre-terra da cui nacque la stessa Circe.

La maga, come altre sacerdotesse doveva conoscere antiche dottrine astrologiche, iniziatiche e penetrare gli aspetti più reconditi, celesti e terrestri che interagivano ed erano rappresentati dallo zodiaco, dalla ruota del fato, dal “cerchio magico” che metteva in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti.

Forse che queste pratiche non abbiano avuto inizio a Gobekli Tepe?Una struttura sferica che ricorda molto da vicino uno zodiaco con 12 pilastri in cui sono rappresentati diversi animali ha forse attinenza con altri “cerchi magici” che vedremo più’ avanti?

Torniamo all’Abi, struttura che esiste realmente e di cui si conosce la funzione grazie anche alle iscrizioni trovate, c’è inoltre un piccolo richiamo all’Abzu o Apsu Sumero, a Eridu ci fu una zona templare chiamata Eabzu che significa tempio abzu (anche E-en-gur-a, che vuol dire casa delle acque sotterranee), dove sono presenti una ziqqurat e un “pozzo-fonte” sacro a Enki-Ea divinità Sumera creatrice dell’uomo e della civiltà, signore degli abissi profondi, delle acque dolci e della magia, mezzo uomo e mezzo pesce, come Glauco, che, con la dea madre Inanna intrattiene, secondo il mito, una festa e, ubriaco, regala i suoi poteri i “me” alla dea .

Anche qui abbiamo il richiamo alla montagna sacra sede del dio e del pozzo sacro che mette in contatto l’uomo con le forze sotterranee.

Un altro mito racconta di Inanna che va negli inferi con la sorella Ereskigal per consolare il lutto della perdita del marito Gugalanna (gu=toro, gal=grande, ana=cielo/paradiso) ucciso da Gilgamesh (anch’esso protagonista di un viaggio agli inferi) ed Enkidu.

Abbiamo quindi incontrato il toro, la dea sumera Inanna, che non è solo dea madre ma anche guida celeste, divinità del grano.

Ella ha una sua controparte ctonia in Ereskigal, dea degli inferi, da cui derivano Ecate e Cerere, ne abbiamo parlato poco fa. Infine abbiamo Anu, il cielo, l’Ani hurrita, che ritroviamo, per esempio, nelle stesse Domus de J-ANA -Anu-Ani, simboli ben presenti in Sardegna.

Mi sono fatto distrarre da tutti questi miti atavici e antichi racconti, ma veniamo al sodo, stavo appunto dicendo che quest’Abi nome antico della fossa necromantica è una struttura sotterranea a cielo aperto, in un certo periodo con una copertura a falsa volta tipo a mensole.

E’ una sorta di pozzo (simile, per certi aspetti a un pozzo sacro nuragico, ma più grande e non raggiunto da acque, privo di funzionalità idriche, allo stato attuale degli scavi) fatto di grosse pietre sbozzate e di terriccio, con una profondità di circa 8mt e un diametro di 5mt.

E’ un sito ”magico”, uno dei più sacri dell’intera religiosità hurrita, in contrasto in parte con la concezione sumera, ma che avvicina molto quella sensibilità del mondo Greco, biblico forse ancor di più  Minoico Miceneo.

Questo è un canale che mette in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti, i suoi sacerdoti, forse delle donne, partivano dalla regione alta dove era collocato il tempio, posto nella zona più elevata della città’, residenza del dio Kumarbi ( Uran sumero, padre di Teshub dio della tempesta, rappresentato sul dorso di un toro con in mano una scure, che influenzerà anche divinità come i più conosciuti Saturno, Dagan e il figlio  Baal,  ben noto in Sardegna come Sardus Pater) che abita la cima della montagna.

La stessa Urkesh è stata costruita per essere il simbolo della sacra montagna che dovrà ospitare il dio padre della stirpe Hurrita.

Facciamo parlare Giorgio Buccellati (scopritore della struttura): “In questo pozzo molto profondo che si apre accanto al palazzo, la gente di Urkesh veniva a chiedere aiuto agli antenati per il raccolto o prima di andare in guerra.

L’Abi non è altro che una fossa necromantica, dove si scendeva (e si scende ancora) attraverso una scaletta molto ripida. Erano i sacerdoti a richiamare gli spiriti degli antenati attraverso un preciso rituale che prevedeva l’uso di due pugnali e il versamento del sangue di animaletti”.

La scoperta è stata possibile grazie al ritrovamento e allo studio delle ossa animali (“Nel passato – sottolinea il professore italiano – sarebbero state buttate, con tutti i dati scientifici ad esse legati, come materiale di disturbo Oggi per fortuna ci sono gli archeo-zoologi”).

Gli archeologi impegnati a Urkesh pensavano che i sacrifici riguardassero grossi animali. Invece lo scavo ha smentito questa convinzione: “A Tell Mozan abbiamo trovato solo ossa di maialini di pochi mesi e di piccoli cani, macellati come se si volesse estrarre qualcosa piuttosto che per il pasto”.

Il rito necromantico è stato ricostruito da Buccellati tramite i testi ittiti in lingua hurrita “Prendono due pugnali, / che sono stati/ fatti assieme/ alla statua/ della divinità, / e scavano/ una fossa. / Offrono/ una pecora/ alla divinità… / e la sacrificano/ giù nella fossa”.

C’è un’eco con l’episodio di Enea che parla con la madre. Dalla fossa necromantica di Tell Mozan proviene la cosiddetta “Signora degli Inferi”. Si tratta di una piccola giara antropomorfa. Presumibilmente conteneva olio profumato usato nei rituali della Nekyia. “La distorsione della bocca non è casuale”, fa notare Giorgio Buccellati. “Gli spiriti degli Inferi non parlavano distintamente ma come un cinguettio di uccelli (così ci dicono i testi hurriti). La nostra figura – conclude – rappresenta quindi un tale spirito nel momento in cui comunica il suo messaggio indistinto che una donna medium dovrà poi interpretare” (Signora degli inferi associabile, secondo me alla sumera Ereskigal, alla dea Ecate, Proserpina, a cui vengono riconosciute doti esorcistiche, necromantiche, di guardiana delle porte, la Jana sarda o il Giano laziale).

Altri richiami, o qualcosa di più, sono gli dei Hurriti come Teshub, divinità dei fulmini che, con in mano una scure cavalca un toro, o la stessa dea simbolo di vita e di morte, sempre rappresentate su pietre o con pietre, le ossa della terra, assai importanti anche per questo sito.

C’è, come ha descritto lo studioso in precedenza, una piccola fossa all’interno della struttura sul pavimento che è costituita da cerchi di circa un metro e mezzo di diametro, con una depressione: è la porta vera e propria. Questa è delimitata da un altro cerchio quello delle mura che costituiscono l’intera struttura.

Qui gli spiriti comunicano direttamente, vengono invocati e colloquiano con la sacerdotessa che dovrà dare il responso (tra l’altro è stato trovato un vaso detto Altanni, con rappresentazioni di serpenti e scorpioni, in cui, forse, avveniva l’osservazione dei presagi tramite olio e acqua detta lecanomanzia).

Non si tratta, però della classica divinazione mesopotamica che consiste nell’interpretare schemi precisi ripetitivi che si trovano nella realtà, qui lo spirito si esprime liberamente e direttamente in un luogo adatto a questi eventi, quindi non escludo che abbia anche caratteristiche acustiche e naturali particolari.

Il “cerchio” diventa “magico” e vorrei riportare quello che dice in modo impeccabile Giorgio Bucellati”In primo luogo, quest’antica struttura era concepita in un certo senso come uno dei nostri corridoi: un spazio che, circoscritto e buio, voleva legare due mondi diversi.

L’effetto della discesa ripida e difficile dà il senso della caduta, in contrasto con l’ascesa al cielo rappresentata dalla grande terrazza templare. Le pareti in pietra che imitano la scabrosità di una caverna rilevano l’incertezza e l’ansia con cui ci si avvia verso un mondo che sappiamo, rimarrà in gran parte sempre ignoto. “Il cerchio magico” delimita fortemente la modalità di contatto con quest’altra realtà, che ci può parlare solo passando attraverso quello che è, in sostanza, un piccolo buco: uno spiraglio che si apre non alla luce e alla chiarezza del discorso umano, ma solo a un barlume di vita e a un confuso balbettio che solo un medium può intendere. Ecco, dunque, che la realtà fisica della fossa monumentale incorniciava una realtà diversa, presentandosi come un involucro entro il quale poteva riemergere la presenza di chi era morto, sì, ma non rimosso dall’esistenza.

Quasi fosse un palcoscenico, ma non per attori. Una soglia, dunque, che poteva, di fatto, venire oltrepassata, ma solo qui. La soglia dalla vita alla morte.”

 

Ora mi soffermerei su un aspetto fondamentale che funge da filo rosso di questo articolo, Urkesh viene costruita su una zona che deve ricordare le montagne, origine degli dei, su una collina artificiale, la scala monumentale è fatta da pietre molto ben levigate contrapposte sulla destra da muri più grezzi, ci sono due betili all’inizio della scala, uno perfettamente liscio e uno grezzo.

Come perdas fittas, hanno sicuramente valore cultuale, sempre testimoni di quella dualità, presente in tutto il sito, tra raffinato e rozzo, che invitano quasi alla salita, nelle mura di rivestimento sembrano ricorrere motivi a triangolo, un modo di costruire che non sembra essere solo di sostegno alla strutttura ma più quello di unire, simbolicamente, la città con la sua terrazza monumentale alle montagne circostanti da cui derivano dei e abitanti.

Come ulteriore indizio è presente il simbolo triangolare utilizzato nella scrittura pittografica per indicare la montagna, con uno sviluppo che si ritrova lungo tutto il corso evolutivo del sistema grafico cuneiforme. Si vede chiaramente, per esempio, nel sigillo in cui Kumarbi è posto sulle montagne affiancato a un toro.

A Gobekli abbiamo la pietra grezza che forma il circolo, interrotta dai grandi monoliti perfettamente lisci (un tempo doveva esseci un lungo corridoio di pietre alla cui entrataerano poste due specie di stele).

Nel sito sassarese abbiamo pietre simili, leggermente sbozzate e grezze nei muri di “contenimento”, più lisce nelle scale, con le due perdas fittas all’inizio della rampa di accesso (in questo caso non affiancati come a Urkesh) e con, secondo un mio personale parere, dei motivi triangolari inscritti nelle mura che richiamano le montagne, nella cinta che copre il terrapieno sottostante la struttura.

In queste strutture la pietra sembra avere un’importanza rilevante, deve simboleggiare qualcosa, essere viva.

     

Riassumendo a Urkesh abbiamo il grezzo e il raffinato fianco a fianco, non sembrano casuali le due cose, il grezzo rappresenterebbe il mondo selvaggio abbandonato, il raffinato il mondo civilizzato, il ricordo delle loro vita primitiva sulle montagne e la fondazione della città con le sue regole civili.

Piu’ o meno la stessa cosa sarebbe avvenuta a Gobekli, che potrebbe rappresentare l’uomo che sta per abbandonare la caccia, il mondo selvaggio e che è in procinto di stabilizzarsi, tramite l’agricoltura e la fondazione delle prime città, il monolite perfettamente liscio simbolo dell’uomo-dio che si erge sulla natura, rappresentata dagli animali scolpiti e che si avvicina tramite le sue capacità, agli dei-costellazioni.

A Urkesh l’uomo, però, mantiene sempre la distanza con la Divinità’ rappresentata dall’altezza delle scale monumentali affiancate da un muro di 3 metri che sembra un muro invalicabile.

A Gobekli dall’altezza dei monoliti centrali che potrebbero rappresentare le divinità’ principali disposte come fossero anche una porta, orientata, oltre che astronomicamente, anche verso l’aldilà’, rispetto a quelli inseriti nei muri a secco, che rappresenterebbero l’uomo, quindi distanza ma anche possibilità di arrivare al cielo, sede dell’anima, dopo la morte.

Infine Monte d’Accoddi potrebbe contenere alcuni di questi simboli come la montagna sacra, casa del dio, forse anche simbolo e ricordo della lontana patria degli antenati, come il grezzo e il ben lavorato, basti pensare alle perdas grezze o alle stele e gli omphalos perfettamente lisci, come le strutture sottostanti che mettono in comunicazione il mondo dei morti con quello dei vivi.

Non so se in Sardegna ci fossero riti necromantici, sembrerebbe confermarlo il Mastino, come riportato nel libro sulla storia della Sardegna dove un passo epistolare ne parla ma purtroppo non descrive la tecnica del necromante sardo.

Altra pratica interessante è il sacrificio di maialetti neonati che è stata attestata in Sardegna e a Urkesh, probabilmente anche a Gobekli, visto che c’è un intero cerchio megalitico dedicato al maiale selvaggio (Il primo allevamento di suini addomesticati del mondo era a Cayonu, a sole 60 miglia di distanza).

Un’altra curiosità’ di questi giorni è uno studio che parla di maiali importati in Sardegna e Sicilia dal medio oriente dai cosiddetti popoli del mare, oltre a quelli che arrivarono già nel neolitico in Europa sempre da quelle zone. In ogni caso abbiamo toccato con mano l’importanza rituale di tale animale in tutti questi luoghi, che penso, visto la peculiarità non testimoni solo una comune risporta dell’uomo ma qualcosa di più.

 

Un altro rito molto particolare che accomuna questi popoli, di cui non ho ancora parlato, è quello di seppellire in posizione rannicchiata, seduti, in atteggiamento di dormienti. In Sardegna ne testimonia il ritrovamento del Taramelli di sepolture in tombe megalitiche che risale al 1915 sempre nel sassarese e, più recenti, in tombe a pozzetto nei pressi di Cabras e Monte Prama.

Passando nell’altra sponda abbiamo traccia di ciò nel 7500 A.C. circa a Tell Halula e in pochi altri siti ( in Siria del nord , guarda un po’ il caso). I defunti venivano sepolti sotto il pavimento di casa, vivi e morti vivono insieme (questo lo abbiamo già visto per esempio a Catal Huyuk, dove però si praticava un altro rituale).

Questa procedura è inusuale per la zona, venivano bendati e cosparsi di bitume, per questo si sono ben conservati fino ad oggi e hanno potuto essere analizzati approfonditamente.

Otre al medesimo antico rituale, nell’isola sarda, più’ di recente, si praticava l’incubazione: Il morto che sembra dormiente, secondo Aristotele, in Sardegna era costume presso gli eroi e le loro dimore che sono le tombe[..] Quegli antenati presso le cui tombe i Sardi dormivano lunghissimi sonni, furono pensati essi stessi come dormienti, o simili a dormienti, oltre la morte”.

Da questi due rituali forse deriva quello del   mito degli eroi addormentati in un sonno secolare.

Un’altra tradizione, (ci spostiamo sulla sponda opposta del tirreno) che potrebbe derivare proprio dalla pratica di seppellire i morti seduti in verticale è che, probabilmente, serviva a mantenere la testa vicino al terreno, pronta a saltar su e dare un responso. L’autore dell’ipotesi dice:” e’ un’ipotesi impossibile da verificare, ma vi sono sigilli etruschi e rappresentazioni (es. su specchi) di teste oracolari che emergono dal sottosuolo; sono le teste “profetiche” di Tages e quella di Urphe”.

Sono paralleli arditi ma con attinenze profonde che si potrebbero estendere anche ad altri monumenti sardi quali i pozzi sacri e i nuraghe.

Lo scopo dell’articolo è cercare di capire, di entrare in sintonia con la percezione degli antichi riguardo le motivazioni che spinsero a praticare rituali così singolari e mirabili costruzioni, non con la mente moderna, ma cercando di avvicinarci alla loro sensibilità e di carpire la vitalità che doveva avere il monumento all’epoca, tentare di immedesimarci nell’esperienza dell’uso dei loro spazi.

Funzione civile, religiosa, simbolica, rituale, confluivano in un unico sentire che è l’interazione fra macro e microcosmo delle divinità’ che li presiedono, come già’ detto precedentemente, il delimitare il territorio con monumenti e mura vuol significare che quella determinata zona è sacra, vive ed è permeata di divino tanto quanto il pezzo di cielo e il pozzo sotterraneo a cui fa riferimento.

In tale zona convergono forze, energie, sia dall’alto che dal basso, di solito sono luoghi che sono attraversati da acque sotterranee, orientati astronomicamente, zone vulcaniche, dove si trovano o vengono utilizzate pietre con determinate percentuali di radioattività’ come per il Basalto in Sardegna e il tufo in Toscana.

Avevamo visto che l’archeoacustica, la radioestesia e altre scienze, hanno dimostrato che ci sono, effettivamente, suoni particolari, vibrazioni, radiazioni che influiscono sul cervello e sullo stato psicofisico dell’individuo, l’archeologia dovrebbe approfondire questi discorsi piuttosto che fare una caccia alle streghe ; non fermarsi alle apparenze dando spiegazioni banali per timore di essere tacciati come favoleggiatori, basterebbe esaminare queste opere antiche anche solo da un punto di vista simbolico per capire che non sono dei muti e statici monumenti  ma hanno dinamiche e funzioni  complesse .

Inoltre non ci sono chiavi di lettura univoche proprio perché si va per tentativi, in molti casi non ci sono prove scritte contemporanee ai monumenti, per cui, in base agli indizi raccolti, ho dato unicamente dei suggerimenti, spunti che rimangono, al momento, tali.

A partire da Gobekli Tepe, passando per Catal Huyuk e Nevali Cori, e altre città’ neolitiche mediorientali, passando per Urkesh, abbiamo esaminato dei rituali molto particolari tra cui la scarnificazione , il culto dei teschi, la necromanzia, lo sciamanesimo, questi rituali li abbiamo ritrovati qui in Sardegna e in alcune zone della penisola, centinaia di anni dopo, nel nostro periodo  neolitico fino al bronzo, riti pervenuti  per vie dirette o indirette dove il simbolismo  e l’archetipo che sta dietro, in alcuni casi, ha anche carattere universale e collettivo dovuto soprattutto alla sua antichità.

Per completare l’analisi del sito di monte d’Accoddi, dove abbiamo scovato queste pratiche e altri aspetti che ci potrebbero ricollegare a temi analizzati in precedenza torniamo nelle Domus del sito sassarese e non solo.

Le Domus sono tombe ma anche luoghi dove si svolgevano rituali legati alla morte e all’oltretomba.

Non vengono costruite solo nel neolitico, ma, a detta del Pittau, anche nel periodo nuragico, specialmente quelle che sono rappresentazioni di case col tetto, con le finestre, le porte e il “focolare”, molto simili a tombe etrusche di alcuni secoli dopo.

Proprio su un aspetto particolare vorrei soffermarmi: le false porte che sono la dimostrazione di un delimitare una zona all’interno di una zona già delimitata simbolicamente, dove, forse, si ha il passaggio tra una dimensione e l’altra.

La porta che permette al defunto di andare ma anche, eventualmente, di tornare, tramite particolari riti sciamanici, per poter essere interrogato per scopi oracolari e divinatori.

Lo stesso focolare della domus di Perfugas sempre nel sassarese ma anche quello di Sa Lo Phasa a Orgosolo, definito cosi’ dagli archeologi, mi lascia alquanto perplesso anche perché non c’è un foro sul tetto, reale o rappresentato che sia, perche’ e’ perfettamente circolare e  ricorda invece il “cerchio magico” della fossa necromantica di Urkesh, fatto con i pugnali(scolpiti sui muri di altre Domus) anch’esso ha una leggera depressione, che sta appunto a delimitare la zona di comunicazione fra i due mondi, anch’esso palcoscenico unico dove solo e unicamente lì il morto può, liberamente presentarsi e colloquiare con i vivi.Una curiosità, lo ssviluppo planimetrico di diverse Domus e’ a forma di T come i monoliti di Gobekli, come il monte d’Accoddi visto dall’alto e lo stesso altare di Urkesh.

Questi luoghi sono ricchi di altre simbologie quali spirali, corna di tori o bovidi, dee madri incontrati anche nei siti mediorientali.

Simboli scolpiti con una raffinatezza estetica impressionante che ci mostra come concepivano sia la morte che la vita e il desiderio di far rivivere, in qualche modo, il defunto. Le spirali e i cerchi concentrici rappresentati alludono chiaramente a una interruzione della vita non definitiva, a una sorta di continuità’, di forza rigeneratrice, rappresentata dalle forze che sono sotto e sopra la Domus, quali forze astrali, acque sotterranee, ecc.

 

In conclusione questi luoghi sono durati millenni più dell’impero romano, probabilmente molti non sanno nemmeno dell’esistenza di queste magnifiche opere, che vennero riempite di detriti, terra e ricostruite o inglobate, eccetto Gobekli che venne coperta definitivamente, nonostante ciò, sono arrivati

fino ai giorni nostri e sono stati realmente una profezia per l’intera umanità.

 

Bibliografia

Ercole Contu ,L’ altare preistorico di Monte d’Accoddi

Archeologia Viva  Domus de Janas. Dal mito alla realtà archeologica –

Dolores Turchi, sciamanesimo in Sardegna

Massimo Pittau,  Origine eparentela dei sardi e degli etruschi

Giorgio Buccellati, Dal profondo del tempo

Klaus Schmidt, Costruirono i primi templi

Alberto Cecon, Femminile e saperi illeciti:la necromanzia nel mediterraneo antico

Giovanni Feo, Prima degli Etruschi – I miti della grande dea e dei giganti alle origini della civiltà in Italia,

Giovanni Pettinato Angeli e Demoni a Babilonia

Mirce Eliade Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi/, Cosmologia e alchimia babilonese,

Giulio Magli,  I segreti delle antiche città megalitiche

http://www.nurnet.it/it/259/HOME.html

Prof. De Bortolis, http://sbresearchgroup.eu/

Mario Aresu, http://www.uomoterra.it/

http://maimoniblog.blogspot.it