Stonehenge vs. nuraghi

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di Giorgio Valdès

Miti e le leggende, da che mondo è mondo, sono stati sempre un complemento inscindibile o il “sale” della storia, dei cui fatti sono spesso un’enfatizzazione; ma nessuno si è mai scandalizzato per le vicende degli Orazi e Curiazi, per le fatiche di Ercole o per le beghe degli dei o degli eroi greci o romani.

Solo in Sardegna non si può neanche proferire la parola mito, perché tutti ti saltano addosso gridando allo scandalo.

Si prenda ad esempio un sito come Stonehenge, “mitizzato” come calendario solare. Eppure questa nomea costituisce una semplice presunzione, come confermato dagli archeologi dell’English Heritage, organismo pubblico che gestisce il patrimonio culturale inglese, i quali dichiaravano testualmente che senza tutti questi lavori Stonehenge avrebbe un aspetto molto diverso. Pochissime pietre sono ancora esattamente nel posto dove furono erette millenni fa.

Il fatto è che in Inghilterra non sono così schizzinosi come da noi e comprendono bene quale interesse mediatico derivi dall’interpretare quel circolo megalitico come calendario solare e non si scandalizzano neanche quando in occasione del solstizio il sito si riempie di visitatori, druidi e figuranti compresi

E soprattutto gli inglesi sono consapevoli dei benefici che ne conseguono sotto il profilo turistico; ciò che a noi  interessa poco o niente, perché potendo fortunatamente contare su un’economia florida, non ci passa neanche per l’anticamera del cervello l’idea di mischiare storia e turismo.

Per quanto invece riguarda il mitico regno di Atlante, non vedo perché non potesse esistere davvero una terra felice con  caratteristiche simili a quelle elencate da Platone.

Che poi si chiamasse Atlantide o il paese dell’eterna nutella poco importa, ma affermare apoditticamente che un posto del genere non fosse mai esistito, credo costituisca quantomeno un peccato di presunzione.

Se mi è permesso un consiglio, darei un’occhiata agli studi del professor Francesco Cucca -del dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Sassari, genetista e ricercatore CNR-, che portano alla conclusione che da circa 40.000 or sono e quantomeno sino all’età del bronzo la nostra isola era stata la meta turistica più gettonata, sia dalle popolazioni che fuggivano dai ghiacci che lambivano la costa ligure e sia, in seguito, dai popoli africani e medio orientali, afflitti dalla carestia e dalla sete, che giunti in Sardegna si erano accorti di essere capitati nel paese del bengodi, ricco d’acqua, di foreste, di frutti, di metalli, di pesci, di molluschi e di animali per niente pericolosi ma tutti commestibili.

E consiglierei anche una riflessione su quanto è scritto negli antichi testi egizi, quando si parla dell’isola dei beati posta nel bell’occidente, l’isola della creazione da cui si narra provenissero i loro primi re stellari.

Personalmente non voglio affermare che si trattasse della Sardegna, ma non ho neanche elementi per asserire il contrario, anzi…

D’altro canto l’Università spagnola di Huelva, quella americana di Hartford ed uno stuolo stratosferico di studiosi, hanno speso vagonate di soldi alla ricerca di Atlantide e Tartesso al largo di Cadice, nell’ambito di un vasto ed impegnativo programma, seguito passo dopo passo da National Geographic e diffuso in tutto il mondo dalle reti Sky.

Delle due l’una: o sono tutti ingenui e creduloni e noi i più “toghi” di tutti o altrimenti c’è qualcosa che non quadra ed allora urge un serio e sereno esame di coscienza.

Ed a questo proposito calza ancora una volta, alla perfezione, il pensiero di Antonio Simon Mossa, che prima della sua prematura scomparsa così scriveva: “Non credo affatto che noi Sardi abbiamo una qualsiasi idea della storia di questo paese. Non abbiamo mai fatto cose positive per la nostra terra. Abbiamo la testa piena delle “glorie romane” di “pace romana” di “giustizia romana” e di tutto quanto spiegano malamente le cosiddette scuole umanistiche. Di quest’isola non ne sappiamo niente. La nostra storia è stata fatta da altri. La nostra personalità non è minimamente intervenuta. La nostra ignoranza è la causa del disprezzo verso tutto ciò che è nostro”.

Nelle immagini: affollamento in corrispondenza circolo megalitico di  Stonehenge (foto di autori vari) e dei nuraghi S.Barbara di Sindia (Nicola Castangia), Nieddu di Codrongianos (Franco Serreli) e Ruinas di Arzana (Alessandro Pilia). Una fase del riposizionamento delle “pietre” di Stonehenge, avvenuto nella prima metà del XX secolo. “Copertura creativa” tramite viadotto del nuraghe Belveghile di Olbia (Romano Stangherlin). “Violazione creativa” tramite cava di marmo del nuraghe Polcu di Tempio Pausania (Olbia.it).