Un mistero chiamato Shardana

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di Giorgio Valdès
Sull’origine dei guerrieri Shardana il dibattito è sempre aperto con posizioni spesso difformi o addirittura contrastanti. Si tratta, come evidente, di un argomento particolarmente interessante e di un quesito che, qualora risolto, ci consentirebbe di compiere un deciso passo avanti nella ricostruzione dell’antica storia della Sardegna. Il quadro generale degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della nostra isola a decorrere quanto meno dal periodo nuragico, diverrebbe ancora più chiaro se si potesse finalmente affermare, senz’ombra di dubbio, a quale funzione o funzioni fossero adibiti i nuraghi e se, nel corso dei secoli, si sia modificato il loro utilizzo e per quale ragione.
In quest’articolo titolato “Shardana, gli indomiti popoli del mare” e pubblicato su “La Nuova Atlantide”,
l’archeologa Emanuela Katia Pilloni fornisce il suo contributo conoscitivo, argomentando sull’origine di questa stirpe guerriera:
E’ il celebre faraone eretico Akenaton a consegnare alla storia, per la prima volta, il nome Srdn-w, i terribili Shardana. che nel 1350 a. C appaiono già come pirati e mercenari, pronti ad offrire i loro servizi ai signori locali. Gli indomiti guerrieri saranno costretti alla resa, un secolo più tardi, nella memorabile battaglia navale vinta dalla flotta di Ramses II, che ne ricorderà il valore in un’iscrizione a Tanis:“I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli”.
Spetterà però a Ramses III porre fine al loro strapotere in quell’epico scontro il cui resoconto è raffigurato presso un tempio di Tebe: “Gli Shardana e i Wešeš del mare fu come se non esistessero, catturati tutti insieme e condotti prigionieri in Egitto, come la sabbia della spiaggia. Io li ho insediati in fortezze, legati al mio nome. Le loro classi militari erano numerose come centinaia di migliaia. Io ho assegnato a tutti loro razioni con vestiario e provvigioni dai magazzini e dai granai per ogni anno” Indegna fine per un popolo tanto valoroso. Ma chi erano dunque i misteriosi Shardana, dotati di lunghe spade, lance e pugnali che si difendevano (pressoché unici fra le civiltà dell’epoca) con uno scudo tondo? Da dove mai provenivano questi mitici popoli del mare, la cui fama di terrore li precedeva? E quanto avevano in comune con i costruttori dei nuraghi questi “abitanti delle isole”, che nelle pitture egizie erano rappresentati con il corto gonnellino, la corazza e l’inconfondibile elmo bicorne? Tantissimo, stando a quanto sostiene l’archeologo Giovanni Ugas, a partire dal nome. Come non ricordare, infatti, la celebre (quanto contestata) iscrizione in lingua fenicia incisa nella stele di Nora, che menzionerebbe appunto la Sardegna come “SHRDN”? Al di là dell’analogia semantica, per il celebre studioso, fondamentale risulterebbe però tanto la corrispondenza cronologica (“..la loro cultura si manifesta in Egitto per un lungo periodo di circa tre secoli, coincidente con l’apogeo della civiltà dei Sardi nuragici”) quanto i riscontri geografici: “Per gli Egiziani essi sono uno dei Popoli del Mare, ma più precisamente sono il popolo delle isole che stanno in mezzo al grande verde.. E’ ragionevole pensare che per gli Egiziani le isole che stanno in mezzo al grande verde, non fossero Creta o le isole dell’Egeo molto più vicine all’Egitto della Sardegna e che “il grande verde” fosse il Mediterraneo occidentale.” Dunque abili navigatori, fieri guerrieri prima e fidata guardia del faraone poi, “mercenari al servizio dell’Egitto che costituivano un corpo scelto, posto a difesa delle fortezze, oppure impiegato durante gli assedi”. Non potrà dirsi certamente un caso che le numerose navicelle votive, i bronzetti e le armi nuragiche disegnino, per gli antichi Sardi, un quadro certamente non dissimile da quello degli Shardana, cui sarebbero da attribuire anche le costruzioni rinvenute dall’archeologo Adam Zertal presso il sito israeliano di El Ahwat, che presenta alcuni parallelismi con i nuraghi. Un altro probabile modello di architettura nuragica al di fuori della Sardegna realizzato ad opera degli Shardana sarebbe, sempre stando alle tesi del professor Ugas, il pozzo sacro di Garlo, non lontano da Sofia (l’antica Sardica).
Per quanto notevoli e convincenti appaiano le prove di un’origine tutta Sarda dei temuti guerrieri dalle corna ricurve, ad onor di cronaca vanno ricordate anche posizioni divergenti espresse recentemente da alcuni studiosi. E’ il caso, tra gli altri, del prof. Paolo Bernardini che vede negli Shardana una popolazione di provenienza orientale, insediatisi in Sardegna solo nel XIII secolo a.C, che si sarebbero sovrapposti alle popolazioni nuragiche già esistenti con le quali, dunque, non potrebbero essere identificati. Anche il ricercatore Leonardo Melis propende per una genesi non occidentale, addirittura mesopotamica: da Ur dei Caldei si sarebbero stanziati però nell’Isola già nel III millennio a. C e a riprova di questa teoria ci sarebbe il cosiddetto “ziggurat” di Monte d’Accoddi (SS), indizio della presenza shardano – mesopotamica nell’isola. Per Alberto Areddu, infine, gli Shardana sarebbero da annoverare piuttosto fra le genti sardo-illiriche, dotate di una spiccata vocazione marinaresca. Eppure, benché altre ipotesi si affaccino di tanto in tanto nell’ancor inesplicabile mondo degli Shardana, la suggestione di vedere in essi i modelli e gli autori dei bronzetti nuragici, rimane forte. Non resta che sciogliere, dunque, con macedonica risolutezza il nodo gordiano, avendo l’ardire di affermare con convinzione che, se qualche civiltà conosciuta ha diritto di essere identificata con “i ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere”, è di certo quella nuragica.
Nell’immagine: una tavola tratta dal libro “L’alba dei Nuraghi” di Giovanni Ugas, in cui sono ritratti presunti “principi Shardana” rispettivamente con lingotto a “pelle di bue”e spada in spalla; il faraone Tuthmosis II mentre trafigge un lingotto e un re riprodotto su vaso cretese con spada e “smanicato” simile alla “best’e peddi” padronale sarda e alla “mastruca” dei Sardi Pelliti.