IL SARDO, PORCHEDDU, NON È SOLO E ISOLATO. Come viene vista all’estero l’origine delle lingue neolatine

COME VIENE VISTA ALL’ESTERO L’ORIGINE DELLE LINGUE NEOLATINE.

Di Valeria Putzu.

 

Mi inserisco anche io nel dibattito sulla derivazione del latino dal sardo o viceversa. Non essendo io una linguista, non posso citare studi miei personali, ma vorrei ugualmente apportare il mio granello di conoscenza parlandovi degli studi che in questo campo vengono sviluppati al di fuori dell’Italia. L’ipotesi che alcune delle lingue cosiddette “romanze” (lingue che sarebbero derivate dal latino), in realtà abbiano un’origine non dovuta alla conquista romana (o non interamente dovuta a questa), non è infatti una novità inventata di sana pianta dal ricercatore sardo Bartolomeo Porcheddu, come vorrebbero farci credere alcuni degli archeologi che stanno insorgendo in questi giorni contro le sue teorie; si tratta invece di ricerche che vengono portate avanti da alcuni anni da vari studiosi europei.

Per esempio interessanti studi provengono dalla Romania. Secondo Lucian Boia[1] i romani avrebbero conquistato la Dacia, quindi solo un’area corrispondente a meno di un terzo dell’attuale Romania per un periodo di tempo di 165 anni, un periodo troppo breve e un territorio troppo ristretto per poter aver avuto un’influenza tanto profonda nelle generazioni successive. Mentre nel resto dell’impero solo le province sotto il dominio romano per più di 500 anni avrebbero continuato a parlare latino sviluppando poi una lingua romanza[2], il rumeno sarebbe l’unica eccezione. Oltretutto gli storici trovano difficile da giustificare il fatto che i colonizzatori romani fossero rimasti nella regione dopo l’abbandono della provincia sotto la pressione delle invasioni barbariche, ritengono molto più probabile che tali colonizzatori fossero tornati nei paesi di origine. Inoltre Izzo e Schramm sottolineano come la lingua rumena abbia molti elementi in comune con altre lingue parlate nei paesi balcanici, suggerendo che queste lingue si sarebbero sviluppate fianco a fianco per secoli, con un minimo apporto dei Romani.

Un altro contributo interessante a queste ricerche ci viene dalla Spagna, dove la linguista Carme Jiménez Huertas ha sviluppato importanti ricerche sull’origine delle lingue iberiche neolatine (spagnolo, portoghese e catalano) e del loro legame con le lingue ibere pre-latine (in Spagna si sono conservate molte iscrizioni ibere che consentono di avere indizi sulle lingue pre-romane). Oltretutto ha analizzato le varie lingue neolatine dal punto di vista linguistico, giungendo alla conclusione che le lingue romanze non deriverebbero dal latino, ma che tanto queste come il latino deriverebbero da una lingua comune molto più antica[3]. L’evoluzione naturale delle lingue implicherebbe che queste divergano progressivamente rispetto a una primigenia lingua comune. Le lingue romanze, invece, mostrerebbero una inspiegabile convergenza tra loro e in opposizione al latino. Esattamente questo elemento avrebbe portato l’autrice a ipotizzare una più antica lingua comune. Tale lingua, di tipo agglutinante e non flessiva come il latino e il greco, sarebbe stata priva di casi (nessuna lingua romanza ha mantenuto i casi latini). In origine doveva mancare una differenziazione tra maschile e femminile, si usavano semplicemente parole diverse (vacca – toro, uomo – donna, ecc.), in altre lingue Europee come basco e inglese non c’è alcuna differenziazione di genere. Il suffisso di genere (maschile in –o e femminile in –a) sarebbe un residuo dell’articolo, che infatti nella lingua rumena si trova ancora oggi alla fine della parola. Ai morfemi base si sono andati aggiungendo suffissi determinativi che a volte cambiano la categoria grammaticale del morfema di base, per esempio il suffisso  –re  trasforma un morfema nominale in un verbo (canto – cantare), il suffisso –tore  al contrario trasforma un verbo in un sostantivo (lavorare – lavoratore),  il suffisso –tà trasforma un aggettivo in un sostantivo (debole – debilità). Particolare è il caso del futuro: tanto in Spagnolo e Catalano quanto in Italiano la forma del futuro è data dall’infinito più il verbo avere (lavoreró = lavorare ho, letteralmente ho da lavorare, in sardo il futuro è apo a trabagliai).

Anche in Francia sono state sviluppate interessanti ricerche da Danielle Corbin[4] e Yves Cortez[5], evidenziando una serie di paradossi:

– perché se italiano e francese derivano entrambe dal latino, si somigliano più tra loro di quanto somiglino al latino?

– perché applicando i principi di ricostruzione della lingua madre non si arriva al latino?

– perchè la terminologia colta in generale deriva dal latino, ma non i termini di uso quotidiano, per esempio non quelli afferenti alla guerra (bellum), stessa cosa per  termini afferenti a geografia, abbigliamento, ecc.

– dal punto di vista grammaticale: nessuna lingua romanza ha i casi (solo, in minima parte, il rumeno); le lingue romanze possiedono articoli e il latino no; il latino ha il genere neutro, ma nessuna delle lingue romanze lo ha.

– la sintassi latina non ha nulla a che vedere con quella delle lingue romanze (nota mia, giusto con il sardo condivide la posizione del verbo alla fine della frase).

– come mai nelle lingue romanze si sono perse tutte le congiunzioni latine e non troviamo traccia in nessuna di tamen, nam, sed, preter, igitur, ecc?

Tutte queste considerazioni portano Yves Cortez a ipotizzare l’esistenza di un doppio linguaggio, il latino delle classi colte e una sorta di “paleo-italiano-volgare” per la plebe, che sarebbe quello che ha dato origine alle varie lingue romanze.

Non essendo una linguista non sono in grado di dare alcun giudizio di validità o meno sulle teorie esposte, ma, da perfetta profana, mi permetto alcune considerazioni generali.

Prima di tutto vedo che la teoria di Bartolomeo Porcheddu non è una sparata isolata, ma che al contrario condivide alcuni elementi (assenza dei casi latini nelle lingue romanze, formazione del futuro, che in sardo è ancora più evidente, articoli, neutro ecc.) con varie teorie elaborate al livello internazionale. Inoltre queste altre teorie non solo opera di fantaricercatori isolati dall’ambiente accademico, da una rapida ricerca in rete vedo infatti che Lucian Boia era un pluripremiato professore e rettore della Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest e vicepresidente della Commissione Internazionale per la Storia e la Storiografia;  Herbert Isso è stato professore di Linguistica all’Università di Toronto; Gottfried Schramm era professore di storia all’Università Albert Ludwigs di Friburgo, anche lui pluripremiato per le sue ricerche da varie associazioni e università tedesche, polacche e cecoslovacche; Carme Jiménez Huertas è laureata in Filologia Catalana con una tesi sulle iscrizioni ibere, specializzata in Linguistica, Tecnologie della Lingua, Scienze Cognitive, collabora con varie università spagnole, Danielle Corbin laureata in linguistica a Parigi, professoressa alle Università di Tübingen e Lille III; Yves Cortez era un urbanista e linguista, profondo conoscitore di latino, greco antico e ebraico, oltre che di altre 8 lingue. Quindi se tante autorevoli voci, indipendentemente tra loro, parlano di una possibilità di non derivazione delle lingue romanze dal latino, forse c’è effettivamente qualche motivo che porta mettere in dubbio delle conoscenze finora date per acquisite. Mi auguro che questo dilemma venga risolto con un dialogo pacato sui contenuti, non con un rifiuto talebano a qualunque forma di confronto, e che le elite culturali sarde rispecchino quanto accade negli ambienti accademici esteri, dove il conclave culturale è più aperto a discutere le teorie innovative e magari ad accettarne le parti che possano essere scientificamente dimostrate. Mi piacerebbe che si evitasse in futuro la secca chiusura dimostrata dagli articoli che abbiamo visto nei giorni scorsi sui giornali, il rifiuto di informarsi sui concetti che stanno dietro alle nuove ipotesi, la acritica negazione della semplice  possibilità che possano avere alcun genere di fondamento. Tali comportamenti ricordano le ragioni degli aristotelici rinascimentali contro le scoperte astronomiche di Galileo Galilei nel “Dialogo dei Massimi Sistemi”, piuttosto che un serio dibattito scientifico.

.

[1] Boia, Lucian (2001). History and Myth in Romanian Consciousness 

[2] Izzo, Herbert J. (1986). On the history of Romanian. In Marino, Mary C.; Pérez, Luis A. The Twelfth LACUS Forum, 1985. Linguistic Association of Canada and the United States. pp. 139–146. Oppure: Schramm, Gottfried (1997). Ein Damm bricht. Die römische Donaugrenze und die Invasionen des 5-7. Jahrhunderts in Lichte der Namen und Wörter [=A Dam Breaks: The Roman Danube frontier and the Invasions of the 5th-7th Centuries in the Light of Names and Words] (in German). R. Oldenbourg Verlag.

[3] Jiménez Huertas, C. (2013) Los romances derivan de una lengua madre de carácter aglutinante.Barcelona.

Jiménez Huertas, C. (2015) No venimos del latín. Edición revisada y ampliada.  Barcelona

 

[4] Corbin,  Danielle (1987).  Morphologie dérivationnelle et structuration du lexique 1,  Tübingen .

Chevalier,  Jean-Claude;  Corbin,  Danielle;  Danjou-Flaux,   et al. (1976) Grammaire transformationnelle : syntaxe et lexique. Villeneuve-d’Ascq : Publications de l’Université de Lille III.

[5] Cortez, Yves (2007) Le français ne vient pas du latin! Essai sur une aberration linguistique.Paris