In diversi precedenti post ho riferito di una pittura parietale rinvenuta in Egitto, a Hierakonpolis, all’interno di una tomba risalente alla cultura di Naqada II (circa 3200 a.C.). A tale proposito rilevavo l’analogia tra le imbarcazioni che vi erano ritratte e alcuni petroglifi incisi all’interno della così detta “tomba delle corna” a Villaperuccio, anch’essa risalente presumibilmente all’inizio del neolitico finale (3200 a.C. circa) se non addirittura ad un periodo precedente di qualche secolo. Tali petroglifi sono difatti straordinariamente simili alle barche ritratte nel dipinto egizio. Alcune di queste barche sono dotate di una prua particolarmente pronunciata e presentano sulla tolda il “naos” o il doppio “naos”: una sorta di struttura templare in cui, in particolare, alloggiava la divinità solare nel corso del suo tragitto notturno lungo la volta liquida del cielo (nella figura 1 compare appunto il dio del sole all’interno del naos a sua volta posto sulla barca che lo porterà ad affrontare il buio della notte). Nella figura 2 è invece rappresentata la dea del cielo Nut, con il corpo cosparso di stelle, mentre il padre Shu, dio dell’aria, la tiene lontano dal fratello Geb, dio della terra, per evitarne l’accoppiamento (tentativo tuttavia fallito perché dalla loro unione nasceranno Osiride, Iside, Seth e Nefti). Gli egizi pensavano che il dio del sole, con barca e annessi penetrasse la sera nella vulva di Nut e dopo avere traversato il suo corpo nelle ore notturne (al tramonto), ne fuoriuscisse dalla bocca il mattino successivo (all’alba).
Mi son permesso di proporre questo “pippone” perché nella tomba “delle corna” di Montessu non sono presenti solo le presunte barche con o senza naos, ritratte nel bellissimo scatto di Marco Secchi, ma anche un altro petroglifo evidenziato in uno degli allegati, che a sua volta richiama l’ideogramma egizio del cielo (N1 della lista Gardiner).
Pertanto, se con l’antico Egitto abbiamo intrattenuto lunghe e remotissimi rapporti, è presumibile che nella tomba di Montessu siano rappresentate delle barche cerimoniali intente a percorrere, appunto, le vie del cielo.
Questa ipotesi si collegherebbe in particolare a quanto scritto da Sir E.A. Wallis Budge, insigne egittologo, filologo e orientalista inglese (1857-1934) in merito agli “Shemsw Hor” o “Horo Harakhty”, (i compagni del dio solare Horus). Questi ultimi, secondo Budge, facevano parte “di una razza (o cultura) venuta dall’Occidente, cui si deve “ la formazione delle prime dinastie egizie”.
Saranno forse giunti dalla nostra Sardegna? Non ci sono certezze ma l’ipotesi è particolarmente intrigante. g.v.