La “bella età” dei nuraghi

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di Giorgio Valdès

A metà del XII secolo a.C., in un periodo coevo alla caduta di Troia, la civiltà nuragica raggiungeva in Sardegna il suo apice. I proto nuraghi o nuraghi a corridoio risalenti al “bronzo antico” (1800/1650 a.C.), erano stati soppiantati da strutture “monotorre” e quindi da nuraghi complessi circondati da poderosi bastioni che includevano cortili interni e un numero di torri che variava da due a cinque. All’interno della muratura perimetrale della “tholos” centrale, la cui altezza toccava a volte i 25/30 metri, era inoltre generalmente presente una scala in pietra che conduceva al piano o ai piani superiori. Di questi monumenti, espressione di una civiltà unica a livello planetario e realizzati con conci litici di enormi dimensioni, oggi se ne contano circa settemila, per quanto possa stimarsi che in origine il loro numero fosse prossimo a ventimila, e rappresentano il patrimonio archeologico più esteso e denso esistente al mondo.

E’ peraltro intuitivo immaginare quale fosse l’impatto visivo di chi raggiungeva la nostra isola, magari provenendo da altri regioni mediterranee dove la dimensione edilizia prevalente era assimilabile a quella di una capanna, nel trovarsi di fronte questi giganti di pietra che dovevano apparire come proto- grattacieli che svettavano dalle alture e dai costoni rocciosi in prossimità della costa o che sbucavano dalla fitta vegetazione che un tempo qualificava il paesaggio della Sardegna. Di questi straordinari monumenti, evidente icona identitaria della nostra isola, si parla in uno dei volumi della collana “Sardegna Archeologica” (guida n° 57 a cura di Emerenziana Usai e Raimondo Zucca – Carlo Delfino editore, 2015), da cui sono tratti i brani che seguono:

“Giovanni Lilliu ha definito la << bella età dei nuraghi >>, il periodo più rilevante e produttivo della civiltà nuragica, riportabile al Bronzo Recente e Finale (sec. XIV-X), la sua fase III che oggi si attribuisce all’arco cronologico fra Bronzo Medio, Recente e inizi del Bronzo Finale (sec. XV-XII), in cui si dispiegò questa straordinaria esperienza costruttiva dei Sardi, durata tre o quattrocento anni, che strutturò l’intero territorio regionale attraverso l’edificazione di circa 7000 nuraghi e 800 tombe di giganti. Il << popolo dei nuraghi >> ha elaborato forme di controllo del territorio sardo, secondo modelli in parte già sperimentati nell’età del Rame e in quella del Bronzo Antico, ma è stata innovativa nello sviluppo di una architettura standard – il nuraghe – che muovendosi attraverso esperimenti e tentativi falliti, come avviene per i  nuraghi non terminati, giunge ad elaborare, in forme non sempre evolutive, i nuraghi “a corridoio” ed i nuraghi “a tholos” del tipo a torre unica e a torri plurime sia nella forma “a tancato” con due torri raccordate da cortine alla torre originaria, sia nella forma dei nuraghi “polilobati” con una torre centrale che svetta all’interno di un “bastione” triangolare con tre torri, quadrangolare con quattro torri, poligonale con cinque o più torri. I nuraghi potevano essere inoltre racchiusi da un “antemurale” turrito con sei, sette, otto o più torri, costituendosi in forme gerarchiche. I nuraghi contrassegnavano il territorio di una comunità, in funzione di una “colonizzazione” o antropizzazione di aree dissodate o migliorate per le colture, i pascoli e per altre attività economiche. Caratterizzavano fortemente il territorio nel quale si inserivano, come punti di controllo, sistemi di comunicazione visiva, delimitazione, abitazione e fortezza. Erano e sono l’elemento più caratteristico della civiltà nuragica, un segno rilevante che diventa simbolo. I villaggi della << bella età dei nuraghi >> non sono molto conosciuti, anche se sono documentate forme insediative in capanne circolari o ellittiche, con zoccolo in pietra ed elevato in mattoni crudi o ugualmente in pietra, con copertura stramine.” (omissis) “La << bella età dei nuraghi >> si evolve al principio del I millennio a.C. in una cultura protosarda che, arricchita dal confronto con le culture mediterranee con cui si relaziona, guarda al passato architettonico dei nuraghi e delle tombe di giganti, di cui serba i segni nel passaggio, talora riutilizzando gli uni e le altre, talaltra abbandonandoli. Sorgono villaggi all’ombra del nuraghe o in aree di nuovo insediamento privo di nuraghe. L’elemento catalizzatore è, ora, il santuario (il tempio a pozzo, il tempio “a megaron” la “rotonda”), la cui edificazione rimonta già in diversi casi allo scorcio del II millennio a.C. Gli “edifici costruiti (in Sardegna) al modo arcaico dei Greci”, secondo la frase dello scritto attribuito ad Aristotele “Intorno alle cose meravigliose”, sono i nuraghi e le altre architetture nuragiche dell’età del Bronzo, che non hanno conosciuto un cantore come Omero che narrò in versi l’epopea degli eroi achei alla guerra di Troia o lungo le perigliose rotte di ritorno ai loro regni di terraferma o insulari. Ma il racconto della << bella età dei nuraghi >> è forse riconoscibile nel Sinis, nel luogo di Mont’e Prama, dove nel 1974, all’alba della nascita della provincia di Oristano, si iniziarono a scoprire frammenti di modelli di nuraghe e di statue in calcare che narrano storie la cui decifrazione vede impegnati da quattro decenni gli archeologi”.

Nella foto di Giovanni Sotgiu: il nuraghe “Loschiri” di Semestene.