Il superamento del regime delle concessioni di scavo. La riforma delle soprintendenze

postato in: Senza categoria | 0

Riprendo alcuni brani di un articolo pubblicato nel 2007 su Academia.edu ne quale vengono esposte delle problematiche i cui dannosi effetti sono riscontrabili quotidianamente, ancor più in Sardegna, regione poco popolata, povera e con un immenso patrimonio archeologico da studiare e valorizzare.

A mio avviso Nurnet e tutte le associazioni che hanno a cuore il problema dovrebbe attivarsi per eliminare queste illiberali strozzature del sistema.

Antonello Gregorini

https://www.academia.edu/1440924/T._Cevoli_Accessibilit%C3%A0_dei_dati_e_libert%C3%A0_di_ricerca_in_archeologia_utopia_o_diritto_in_2_workshop_Open_search_Free_software_e_Open_format_nei_processi_di_ricerca_archeologica_Genova_2007

Riccardo Francovich: Decentrare: premessa per il riassetto della ricerca e della tutela archeologica , in: R. De Marinis – F. Fedele (a cura di), La ricerca archeologica in Italia , pubblicato on line sul sito internet dell’Università di Siena ( http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/LIB/LIBdema.html)

«Se la situazione del patrimonio culturale del nostro paese si trova nelle condizioni disastrate che conosciamo, lo si deve all’amministrazione di una struttura accentrata come il Ministero per i Beni Culturali, che fino ad ora ha gestito tutto il patrimonio in modoegemonico. Pertanto non credo possibile che il trasferimento delle competenze alle Regioni possa peggiorarla. Alle Regioni e già demandata la gestione di settori vitali della società,come l’urbanistica o la salute dei cittadini: perché non dovrebbero essere in grado di gestire  anche questo settore delle risorse nazionali?  […]

Come è infatti possibile gestire la risorsa archeologica o il patrimonio architettonico fuori o contro la materia urbanistica? [ … ]  Per esempio la cartografia archeologica, unico strumento di reale salvaguardia del patrimonio,è lontana da ogni iniziativa ministeriale o di soprintendenza, ed è promossa invece daUniversità, Regioni ed enti locali. [ … ] la forte tendenza all’isolamento nella formazione e nella gestione rendono le strutture di tutela un corpo estraneo alla società civile e agli amministratori. [ … ]

Altro nodo che si potrà sciogliere soltanto delegando alle Regioni, è quello delle inammissibili condizioni di monopolio in cui è praticata la tutela del patrimonio  archeologico e architettonico, dove i funzionari si trovano a svolgere nello stesso tempo il ruolo di operatori e di controllori di se stessi. è ovvio che essi entrino costantemente inconflitto sia con i poteri locali, sia con gli altri soggetti pubblici e privati che generalmente operano con capacità e incisività. In questo quadro, la certezza che le Soprintendenze siano

gli “unici presidii della tutela ancora efficaci” è inconcepibile, anzi castiga le apprezzabilissime iniziative innovatrici promosse sempre più spesso da enti locali e da istituti di ricerca pubblici e privati.

[ …  ]  Quando parlo di decentramento regionale, voglio indicare un sistemanel quale non si riproduca in piccolo il centralismo nazionale. A livello regionale deve esistere una commissione mista, formata di archeologi delle autonomie locali (provenienti dall’amministrazione statale e da quelle degli enti locali), di accademici e ricercatori scientifici,e di amministratori, avente funzione di programmazione e di verifica, mentre la gestione della risorsa archeologica deve essere articolata per province e comuni. Al Ministero centrale devono essere riservati compiti di controllo degli standards operativi e funzioni di surroga nei casi di inadempienza da parte delle strutture regionali. Per venire ai problemi specifici sollevati dai quesiti sulla ricerca archeologica in Italia, devo dire che il generale silenzio della  collettività scientifica sui problemi della gestione dei beni culturali è dettato anche dalla soffocante e illiberale situazione attuale, che in molti casi reprime la possibilità di esprimere la propria opinione, pena l’impedimento a svolgere la ricerca in condizioni di libero e sereno confronto.

Come è possibile che l’unico soggetto che conduce in forma monopolistica la ricerca archeologica (il Ministero con le sue Soprintendenze) sia allo stesso tempo la struttura di controllo di tutti gli altri soggetti concessionari, che non godono di alcuna reciprocità? In una situazione che, per esempio, vede gli organi di tutela detenere il potere in materia di “vincoli” archeologici  sul territorio, non sono mancati casi nei quali le Soprintendenze archeologiche hanno anche oggettivamente ricattato gli enti locali, imponendo loro di orientare investimenti sui propri cantieri e sulle proprie iniziative, e togliendo spazio vitale agli istituti di ricerca e ai soggetti  privati. Quanto affermato (e ampiamente dimostrabile) evidenzia che la ricerca archeologica in Italia non è libera. Per amor di patria preferisco non fare cenno all’accesso ai materiali conservati nelle strutture di tutela, anche quelli scavati o recuperati nel secolo scorso, che sono oggetto di uso personale di singoli funzionari, i quali li precludono ad ogni uso scientifico e  piuttosto li fanno giostrare in funzione di potere, generalmente off limits per il mondo della ricerca. [ … ] In Italia non esiste alcuna forma di programmazione della ricerca archeologica. [ … ] Ancora peggio, non esiste un piano per la cartografia archeologica nazionale (unico paese europeo in questo stato) [ … ] Soltanto un diverso equilibrio tra tutela e ricerca, e quinditra Ministero per i Beni Culturali e Ministero della Ricerca Scientifica, potrà forse iniziare amutare l’attuale disastrosa condizione».

L’occasione di questo articolato e durissimo j’accuse di Francovich fu un dibattito acceso anni fa da alcune provocatorie domande rivolte alla comunità scientifica da Raffaele De Marinis, docente alla Facoltà di Lettere dell’Università di Milano, con precedenti esperienze nelle Soprintendenze Archeologiche, e Francesco Fedele, docente alla Facoltà di Scienze dell’Università di Napoli. Domande tanto provocatorie quanto schiette. Le riporto alla lettera: «1) L’articolo 33 della Costituzione stabilisce che l’arte e la scienza sono libere: la ricerca archeologica in Italia lo è? 2) L’attuale sistema delle “concessioni di scavo”, l’unico in Italia a consentire a ricercatori o istituti di “fare” archeologia sul terreno, è valido o deve essere rivisto? 3) Esiste in Italia una programmazione scientifica della tutela e della gestione dei siti archeologici? 4) è produttivo che al Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica sia negato ogni potere decisionale nel campo dello scavo archeologico e in generale delle ricerche archeologiche sul terreno, oggi monopolio esclusivo del Ministero per i BeniCulturali e Ambientali? 5) Bisogna mantenere l’attuale controllo statale e centralizzato dei beni culturali, archeologici in particolare, o è auspicabile progettare un decentramento? ».

Invece Francesco D’Andria scrisse:

«  La ricerca in Italia nonostante l’art. 33 della Costituzione, è vincolata da una serie incredibile di prescrizioni, di leggi e di regolamenti, da pregiudicare gravemente il libero  svolgimento. [… ]  Il sistema delle “concessioni di scavo” costituisce a tutt’oggi l’unico quadro di riferimento normativo al quale devono attenersi quanti svolgono la ricerca archeologica sul terreno (Istituti universitari, Scuole di Specializzazione in Archeologia, Musei Archeologici civici e provinciali, Istituti Archeologici stranieri ecc.). La struttura del Ministero Beni Culturali, rigidamente accentrata, burocratizzata e in molti casi inefficiente, tende costituzio-nalmente ad esercitare un controllo su tutte le attività di ricerca, dallo scavo alla prospezione,  alla catalogazione dei materiali conservati nei Musei. Il Ministero Beni Culturali svolge nei fatti un’azione di chiusura verso l’esterno. […]  Né la normativa giuridica vigente, né laorganizzazione del Ministero, né la formazione del personale sono in grado di svolgere unaefficace azione di conoscenza, tutela e conservazione del patrimonio archeologico [ …] Il  Ministero Beni Culturali ed il MURST, pur avendo siglato un accordo di programma per la collaborazione nella tutela dei Beni Culturali, hanno sinora sistematicamente disatteso tali impegni. L’attuale situazione di frattura tra i ministeri diventa sempre più perniciosa man mano che si attivano i Corsi di Laurea in Beni Culturali creati per formare tecnici in un settore  strategico nello sviluppo economico del Paese con enormi possibilità occupazionali per le masse di giovani disoccupati. Appare chiara l’impossibilità nell’attuale struttura del Ministero di far fronte ai crescenti impegni per la tutela della nostra maggiore risorsa nazionale. è evidente che bisognerà superare l’attuale sistema di controllo centralistico e burocratico dei Beni Archeologici e la separazione tra enti di tutela e di ricerca. L’unica strada per superare l’attuale gravissima situazione sta nel decentramento delle competenze del Ministero al quale come nel resto d’Europa, dovranno essere riservati compiti d’indirizzo e di coordinamento.  Per quanto riguarda la ricerca sul terreno, essa andrà svolta in un quadro di programma- zione e di stretto coordinamento tra l’Università e uffici periferici del Ministero Beni Culturali, il che implica il superamento del regime delle concessioni di scavo e l’attivazione di forme di convenzione tra l’altro previste all’art. 36 DPR 805/75».

In sintesi, dunque, D’Andria critica il sistema delle concessioni di scavo vigentein Italia ed il conseguente monopolio sull’archeologia detenuto dal Ministero dei Beni Culturali, che d’altra parte non riesce a tener testa alla sempre crescente mole di lavoro da svolgere.

La soluzione da lui prospettata è quella di una più stretta collaborazione, finora scarsa,se non pressoché assente, tra Ministero Beni Culturali ed il Ministero dell’Università e della Ricerca. La ricerca su campo potrebbe essere affidata, tramite accordi tra SoprintendenzeArcheologiche e Università presenti sul territorio, a queste ultime, lasciando al Ministero un ruolo d’indirizzo e di coordinamento. Ciò dovrebbe comportare, però, il superanto dell’attuale sistema delle concessioni di scavo, a favore di un sistema di convenzioni, già realizzabile, tra l’altro, in base alla normativa vigente. A tal proposito ritengo che una

presenza più attiva delle Università italiane nella ricerca archeologica su campo sarebbe un fattore estremamente positivo, così come sarebbe auspicabile una regolamentazione di tale presenza non solo nei confronti del MiBAC, ma anche al fine di evitare sovrapposizioni e confusioni di ruoli tra le stesse ed altri soggetti, pubblici e privati, operanti nel mercato del lavoro. …

….