L’eutanasia presso gli antichi sardi

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di Giorgio Valdès

In un quaderno pubblicato dall’Università di Sassari, è compreso un articolo di Massimo Pittau, datato 1991 e intitolato “Geronticidio, eutanasia ed infanticidio nella Sardegna antica”. Argomento ricco di attrattiva e  mistero, che il nostro celebre linguista tratta con competenza e dovizia di riferimenti bibliografici. Non è agevole operarne una sintesi, per cui rimando al link emarginato e mi limito a citare un passo particolarmente interessante che si riferisce ad una leggenda riportata da Dolores Bellodi Turchi con queste testuali parole: «Zia Juvannedda, una vecchia di Oliena, mi racconta un’antica storia udita dal nonno, il quale a sua volta l’aveva sentita dai suoi avi, che la facevano risalire a tempi assai remoti. Quando i figli portavano i vecchi genitori in campagna e li abbandonavano lontano dall’abitato, davano loro il cibo necessario per alcuni giorni, dopo di che dovevano arrangiarsi. Prima del distacco, sia il padre sia i figli si ubriacavano, forse per superare più agevolmente il momento critico. Un giovane portò sulle spalle il padre infermo verso la montagna. Poiché il vecchio pesava e la salita era ripida, percorso un buon tratto di strada, il giovane lo depose per terra e si riposò presso una grossa pietra. “Anch’io quando portavo mio padre sulle spalle mi riposai su questa pietra!” esclamò il vecchio. Il figlio rifletté un istante e, considerando che anche a lui sarebbe toccata la medesima sorte, rabbrividì. Si caricò di nuovo il padre sulle spalle e lo riportò a casa. Da allora nessun vecchio fu più allontanato dal villaggio».Sempre in merito all’argomento dell’eutanasia presso le antiche popolazioni sarde, riporto qui di seguito un breve articolo, sempre a firma di Pittau, apparso sul sito di “sardegnasoprattutto”, omettendo per brevità i riferimenti ai vari autori citati dallo stesso Pittau: Era una forma di “eutanasia” anche la “uccisione dei vecchi”, attestata pur’essa fra i Nuragici. Riporto la notizia di questa usanza come viene attribuita allo scrittore greco-siceliota Timeo […]: «Timeo dice che colà [in Sardegna] i figli sacrificano a Kronos i loro genitori di oltre 70 anni ridendo e percuotendoli con bastoni e spingendoli verso dirupi profondi». Su questa particolare usanza si deve precisare che essa è stata propria di molti popoli antichi e primitivi: la praticavano gli abitanti dell’isola di Ceo nel Mar Egeo (…), gli Sciti (…), i Massageti (…); la praticavano anche gli Eschimesi fino a un secolo fa, lasciando morire di assideramento i vecchi chiusi negli “iglò“. La giustificazione razionale che era al fondo di questa usanza, stava nel fatto che il gruppo famigliare o la tribù, in continua e assillante lotta per la propria sussistenza, vi ricorreva nei confronti di individui i quali, a causa della loro età avanzata, non fossero più in grado di sostentarsi da se stessi con la caccia o la pesca e anche a causa del grave impedimento che essi costituivano per la tribù nel suo continuo spostarsi per esigenze di caccia, di pascolo o di pesca. Si deve supporre che una operazione così grave e drammatica come questa dell’uccisione dei vecchi da parte dei loro stessi figli sarà stata rarissima, dato che in quei lontani tempi gli individui che arrivavano all’età di 70 anni saranno stati di certo pochissimi. Inoltre si sarà svolta in un clima di totale e profonda religiosità; ciò anche al fine di dare ai primi un certo qual conforto religioso per la dura sorte che subivano, ai secondi una certa tacitazione morale del loro agire crudele. E infatti il testo greco citato riferisce che i vecchi venivano «sacrificati a Kronos», cioè al dio – identificato poi col latino Saturno – che regolava la vita e la morte degli uomini.Nel recinto sacro di Monte Baranta di Olmedo (SS), che è di avanzata epoca nuragica e nient’affatto risalente all’età del rame – come è stato scritto con grande superficialità – si trova un edificio circolare grande quanto un piccolo nuraghe, ma non lo è affatto, sia perché non risulta che abbia mai avuto la copertura a tholos, sia perché ha un largo tratto del muro di chiusura del tutto aperto a un dirupo a strapiombo; è insomma a forma di ferro di cavallo. Si intravede che l’edificio servisse per iniziare e portare a termine il sacrificio dei vecchi, sia effettuando su di essi preliminari atti rituali, sia infine precipitandoli nel dirupo. Lontani ricordi della uccisione dei vecchi si trovano in leggende documentate in varie località della Sardegna: Macomer, Orotelli, Oliena, Gairo, Lanusei e in Gallura.

Nelle foto di Paolo Soletta: il complesso megalitico di Monte Baranta a Olmedo (SS)

http://eprints.uniss.it/3242/1/Pittau_M_ContrCongresso_1991_Geronticidio.pdf