CAPOVOLTI O DANZATORI?

di Marco Chilosi e Francesco Masia

Tra le opere d’arte più interessanti e misteriose che caratterizzano il neolitico della Sardegna troviamo i petroglifi detti “capovolti”. Questa definizione/interpretazione è utilizzata ufficialmente, ed è legata alla presenza di queste figure in alcuni siti funerari (in particolare le Domus de Janas di Oniferi, Cheremule, etc.). Questi glifi, formati da linee curve o diritte, sono stati giudicati figure antropomorfe a testa in giù, interpretate come anime di defunti che trapassano nell’aldilà. Anche le figure in rilievo presenti in molte delle stele antropomorfe (maschili) di Laconi e dintorni, per analogia morfologica, sono ufficialmente denominate “capovolti”.

E’ singolare, però, che figure simili presenti nelle grotte del Bue Marino a Dorgali siano annoverate tra i capovolti nei testi del Museo di Laconi, mentre altrettanto ufficialmente sono considerate (le stesse) “danzatori” proprio nei testi del Museo di Dorgali.

Dal sito del Museo di Laconi [https://www.menhirmuseum.it/capovolto] leggiamo:
“Sotto lo schema del volto, talvolta, trova spazio la stilizzazione di un capovolto, un uomo raffigurato a testa in giù, nel trapasso tra la vita terrena e l’aldilà, come appunto capovolto veniva concepito il regno degli inferi nel quale le anime dei defunti volano via dalla terra con un tuffo a testa in giù. Come interpretare altrimenti i motivi petroglifi custoditi in grotte naturali come quelle del Bue Marino a Dorgali, oppure quelle simili di Sa Spilunca Manna a Laconi, o le straordinarie scenografie presenti nelle Domus de Janas di Moseddu e Cheremule e in quelle di Sas Concas di Oniferi, dove il movimento e il volo delle anime ravvivano le pareti mute delle case dei morti?”

Leggiamo, invece, dalla descrizione dei graffiti disponibile nel sito del Museo di Dorgali [http://www.museoarcheologicodorgali.it/…/grotta-del-bue-ma…/]:
“I petroglifi della Grotta del Bue Marino comprendono 20 figure antropomorfe maschili, disposte quasi tutte in gruppo, una coppella (cavità emisferica) e due cerchi con una piccola coppella all’interno. Le figure, alte 30 cm circa e incise con un solco profondo 1 cm circa, sono rappresentate perlopiù con braccia e gambe piegate ad U in opposta direzione e attraversate da un segmento; si distingue una figura un po’ più isolata rispetto alle altre che presenta invece una schematizzazione con arti inferiori multipli. Secondo l’ipotesi più accreditata le figurazioni antropomorfe rappresenterebbero una scena di danza, mentre la coppella e i cerchi con il punto centrale sarebbero da porre in relazione con una simbologia solare …. I petroglifi della Grotta del Bue Marino potrebbero dunque rappresentare una cerimonia-danza connessa al culto del Sole interpretata da oranti maschili neo-eneolitici, forse accompagnati da un sacerdote-sciamano.”

Sappiamo che l’interpretazione del “capovolto” trova una sponda significativa nell’ideologia funeraria egizia, che concepiva il regno dei morti come il mondo dei capovolti (ce lo ha da ultimo ricordato, col citare il Prof. Massimo Pittau, Giorgio Valdes nel suo post del 30 Giugno su questa pagina). E sappiamo che questa ideologia dura in qualche misura almeno attraverso gli Etruschi fino a influenzare la Magna Grecia a Paestum (affresco della Tomba del Tuffatore, 480-470 a.C.).
Potrebbe quindi ben darsi che i Sardi avessero fatta propria questa concezione e magari a loro volta l’abbiano poi trasmessa.
Ora però, in attesa che gli esperti vogliano aprire sulla divergenza tra capovolto e danzatore una discussione pacifica e “scientificamente attendibile”, ci permettiamo di rilanciare una proposta di lettura ancora diversa sull’argomento (sarà il periodo dell’anno: in questi giorni un appassionato ha avanzato la sua interpretazione del “capovolto” sulle stele di Laconi, a suo avviso un pipistrello).
Che quelle figure volessero essere antropomorfe, d’altronde, si è già considerato discutibile per varie ragioni (se ne era parlato in un articolo [1]). Molti di questi petroglifi in realtà presentano forme ragionevolmente improbabili quali raffigurazioni di corpi umani: arti posizionati in modo assurdo; appendici che, a interpretarle come attributi sessuali maschili, apparirebbero “esagerate in misura eccessiva” [2].
Cos’altro potrebbero rappresentare allora questi glifi?

Nelle Domus de Janas le rappresentazioni più frequenti sono protomi taurine.
Il simbolo del toro rappresenta, non solo in Sardegna, la divinità principale, simbolo di potenza, virilità, procreazione, nascita. Le rappresentazioni sono multiformi, da realistiche a geometriche, singole o multiple, con una varietà strabiliante di stili e sensibilità, ma costantemente presenti a simboleggiare la “rinascita”, non certo la morte (figure 1 e 2).
E in Sardegna appare rilevante, per questo simbolo, una posizione privilegiata e costante, centrale e reiterata: sulla parete centrale delle Domus de Janas, sopra le false porte, accanto alle colonne (o anche su queste). Alcune rappresentazioni sono palesemente riconoscibili, con muso, corna, talvolta anche le orecchie. Altre volte, rispettando evidentemente sensibilità e capacità artistiche differenti sviluppate lungo i secoli del Neolitico sardo, molte rappresentazioni mostrano gradi cangianti di astrazione e maestria, con stili differenti: tori realistici, stilizzati, reiterati, come sculture in bassorilievo o semplici graffiti; pareti in cui si ripete, come in una litania arcaica, il nome del dio, il simbolo della rinascita, a invocazione e preghiera perenne per i defunti.
È certamente da sottolineare che il simbolo “toro” nelle più arcaiche scritture è stato utilizzato come “geroglifico” e, per progressiva astrazione, come “lettera” alfabetica. Se consideriamo le varianti del cosiddetto capovolto o tridente, si possono trovare analogie molto convincenti con le diverse raffigurazioni del simbolo taurino divenuto lettera (la prima ed importantissima lettera, in tutti gli alfabeti): dal glifo taurino degli Egizi a quello dei Sumeri, alla aleph dei Fenici, all’alfa dei Greci, alla A di Etruschi e Romani, alla alif arabica, comprendendo anche la niù del Cinese antico e moderno; tutti caratteri ispirati dal simbolo taurino di nascita/inizio, tutti a rappresentare la prima lettera dell’alfabeto, con analogie morfologiche sorprendenti nonostante le molte variazioni, rotazioni, etc. (figura 3). Simboli identici al capovolto o tridente sono descritti da Gigi Sanna nell’ambito della variabilità del pittogramma “toro” [3].

In conclusione, persistere nel convincimento che questi petroglifi siano “capovolti” o “danzatori”, senza porsi il problema delle incongruenze di queste interpretazioni (fino a risultare ignavi rispetto alle critiche già avanzate sul punto), impedisce lo sviluppo di ipotesi alternative magari più rilevanti: ci si riferisce, nella fattispecie, alla possibile (e relativamente veloce) transizione dal simbolo alla lettera, elemento fondante della nascita della scrittura. Nella splendida sequenza di petroglifi presenti nelle Domus sembra quasi di “leggere” il desiderio di rappresentare diverse versioni del simbolo taurino, isolato o “agglutinato” con altri, ignoti, significanti (la coppella come simbolo femminile?).
Non sosteniamo naturalmente si tratti di una “invenzione sarda”, essendo la distribuzione geografica del “toro/aleph” così ampia da suggerire un’origine comune verosimilmente più lontana; ma sottolineiamo che acquisterebbe (ulteriori) ragioni l’inserimento della stessa Sardegna pre-nuragica nel processo di evoluzione linguistica e nascita della scrittura (IV-III millennio), tappa fondamentale e rilevantissima nella storia dell’uomo.

1. https://www.nurnet.net/blog/le-braccia-e-il-capovolto/

2. http://pierluigimontalbano.blogspot.com/…/il-capovolto-nei-…

3. Sanna G. I geroglifici dei giganti. PTM editrice, 2016. Tab.3, pag. 49