Storie e storielle al tempo che fu

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di Giorgio Valdès
Vogliamo proporvi una storiella, rivolta ai bambini, ma con qualche spunto anche per i grandi.
La giornata era stata lunga e faticosa, ma gli occhi del giovane Kau brillavano ancora per l’eccitazione.
Suo padre, Danu, lo aveva introdotto nel “mondo dei grandi”, regalandogli il piccolo pugnale che ora stringeva in mano con orgoglio, dopo averlo inserito nel suo bel fodero di cuoio.
Provenivano dalle coste del tramonto, dopo aver visitato Tzur (Tharros n.d.a.), l’antico regno di Agenore, padre di Europa, che unitasi a Zeus aveva concepito Radamanto, signore dei Campi Elisi. (1)

La stessa mattina Danu lo aveva accompagnato all’interno del grande nuraghe che sorgeva su un’altura in prossimità dei “monti dell’argento”, per raccontargli che un tempo, in quel luogo sacro, si svolgeva il rito del lavacro degli occhi, al quale veniva sottoposto chi era sospettato di furto di bestiame o di altri misfatti che la grande dea madre non ammetteva.
“Vedi”, disse Danu “spesso la dea madre era stata clemente, ma tante altre volte l’acqua toglieva la vista a chi non aveva osservato le regole che tutti devono seguire”. (2)

“Devi anche sapere” continuò “che a quei tempi la stessa vita aveva un altro valore e se un uomo diventava vecchio e non poteva più badare a se stesso, non veniva assistito come facciamo adesso con gli anziani, che sono sempre al centro delle nostre amorevoli attenzioni, ma veniva condotto alla rupe “babaieca” e la sua vita terminava nel sottostante dirupo.
Ed anche ai malati venivano risparmiate ulteriori pene quando “sa femmina accabbadora” (la donna che dà il colpo di grazia n.d.a.), vestita di nero e velata, arrivava con il suo martello di legno d’ulivo e con un rapido e pietoso gesto, poneva fine a tutte le sofferenze”.
Le parole del padre avevano profondamente colpito la fantasia di Kau, ma la fame si faceva sentire e si sedettero entrambi all’ombra di un grande leccio -che sembrava voler affondare le radici nella scura roccia di basalto-, giusto il tempo per rifocillarsi e quindi riprendere il cammino verso casa.
Il pasto comprendeva sardine salate, pane di ghiande e la carne affumicata di un “prolago”, abbattuto con il bastone da lancio che Danu utilizzava con maestria. (3)

L’acqua non mancava di certo e sgorgava fresca dalle tante “mitzas” che alimentavano il grande fiume che scorreva verso oriente.
Il padre si voltò un attimo ed indicando uno spuntone di roccia che svettava alle loro spalle disse a Kau: “sappi, figlio mio, che quella sporgenza si chiama “Bruncu Crisaone” o “Crisaore”, proprio come si chiamava il padre di Gerione, primo signore di Tartesso, che aveva governato queste terre tanti e tanti anni prima dell’ultimo re Argantonio. (4)

Argantonio proveniva da una terra molto lontana, dove un giorno di tanto tempo fa scoppiò l’interminabile guerra di Troia, che vide contrapposti i greci ed i troiani, a loro volta alleati dei guerrieri Shardana, in testa ai quali era un nostro antico progenitore, chiamato Per-Ra.
In quel lontano paese, bagnato dal mare d’oriente, esisteva un rilievo che portava il nome di Argantonio il quale, una volta giunto nella nostra isola, volle a sua volta dare il suo nome ad un monte che si trovava presso il suo nuovo regno, e lo chiamò appunto Arzanadòlu.
Lo vedi, è proprio quella punta che svetta lì in alto tra le cime dei Monti dell’Argento”.
Ripreso il cammino verso il villaggio, Danu proseguì il suo racconto: “ti dicevo che Gerione era figlio di Crisaore, “quello dalla spada d’oro” e di Calliroe.
Una leggenda racconta che Crisaore ed il fratello Pegaso fossero nati da Medusa, figlia di Phorkys e di Ceto, dei del mare, dopo che Perseo, giunto dalla lontana Grecia, le aveva
mozzato il capo. (5)

Medusa possedeva qui in Sardegna, dove regnava suo padre, due castelli ancora esistenti, uno dei quali si trova nei pressi del porto degli Iliensi (Tortolì o Portus Ilii n.d.a.), e l’altro è vicino al corso del Tyrsus (Samugheo n.d.a.), il grande fiume che sbocca ad occidente.
A sua volta Gerione aveva avuto una figlia di nome Erizia, che essendosi unita ad Hermes aveva
Generato Norace, fondatore di Nora, una città che si trova sulle sponde del Golfo che guarda verso Cartagine.
Si racconta anche che un tempo la nostra isola si chiamasse Erithia, in onore della figlia del re.
Ma Gerione non ebbe vita lunga perché un giorno arrivò Ercole e dopo aver ucciso il mandriano Eurizio, uccise anche lui per rubargli i buoi rossi; che peraltro erano della stessa razza di quelli che tuo zio Ka-Nu porta al pascolo nelle valli circostanti il Monte del Ferro. (6)

L’isola venne poi chiamata Gadira e più tardi ti dirò perché, ma adesso termino di raccontarti i fatti successivi….” (il seguito nei prossimi giorni)