Gli Shardana a Roma

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di Giorgio Valdès Riporto un interessante brano tratto dal saggio dell’etruscologo Marco Guido Corsini, intitolato “Atlantide” e pubblicato nel 2009, in cui lo studioso propone alcune sue considerazioni sui presunti rapporti intercorsi tra gli shardana e Roma, sin dai tempi della sua fondazione: “E' evidente che a partire dal colpo di stato di Romolo gli Shardana fanno sentire il loro peso sulle istituzioni di Roma, tanto che si parla di Romani e Quiriti (Shardana opliti, lancieri). I Romani d’ora in poi si chiamano Quiriti all’interno di Roma, mentre nelle relazioni con l’esterno Romani. Dunque gli Shardana di Romolo hanno “vinto” senza toccare il nome di Roma che rimane intatto qual era. Le istituzioni rimangono in prevalenza quelle fondate da Tirreni ed Egizi. Sostanzialmente, a parte la monarchia unica, solo Yahweh zebaoth/Giove degli eserciti viene introdotto come divinità superiore a tutte le altre, ma convivente con tutte le altre. I tre flamini portano il cappello a punta dei sacerdoti shardana (bronzetti da Vulci e da Teti, Nuoro) e sono tutti e tre al servizio di divinità guerriere Dialis, Martialis e Quirinalis. Il dio è sempre lo stesso Jahveh/Giovè importato dagli shardana di Romolo ma è venerato diversamente a seconda della tribù e cioè dai Sabini del Quirinale e Campidoglio che hanno appunto Giove e forniscono re (fino ai re etruschi, ed eccetto Romolo, i re da Tito Tazio in poi saranno sabini e perciò romani) e sacerdoti latifondisti; dai Shardana del Palatino che venerano Jahveh zebaoth, “degli eserciti” dunque Marte, e forniscono in prevalenza i guerrieri; e infine della restante massa dei Luceri dell’asilo sul Quirinale, che sono la plebs che fornisce la manodopera sia come braccianti e mezzadri nei latifondi, sia come artigiani, mercanti, ecc. Secondo Cicerone (De divinatione, 1, 17) il lituo di Romolo era custodito nella sede dei Salii sul Palatino. I Salii romani (dodici sacerdoti di Marte che sorvegliavano gli scudi sacri e nelle loro feste li portavano in processione attraverso la città eseguendo una danza sacra, la saltatio, e cantando un inno rituale) ricordano le guardie gerosolimitane che portavano in processione gli scudi di bronzo dal palazzo (secondo 2 Re, 11, 10 e 2 Cronache 23, 9 erano depositati nel tempio di Yahweh "lance, scudi grandi e piccoli, già appartenenti al re Davide") al tempio di Yahweh e viceversa (1 Re, 14, 28 e 2 Cronache 12, 11). I Salii dovevano essere i sacerdoti e guerrieri shardana veneratori di Yahweh zebaoth (equivalente a Marte e ad Apollo smintèo, arciere portatore della pestilenza). Sono tipici dei Saka o Saci dal cappello a punta (Sciti orientali, Massageti) e del substrato tracio-slavo e protobulgaro i copricapi conici e due trecce (queste presso gli Avari e i Celti), che ritroviamo nei due bronzetti di druidi shardana da Nuoro e Vulci. Così ne parla Dionisio: " dodici giovani di nobilissimo aspetto; essi conservano i loro sacri arredi sul Palatio e sono detti perciò palatini… Tutti questi salii danzano e cantano inni in onore degli dèi della guerra. La loro festa è sul tipo delle nostre Panatenee, nel mese denominato Marzio, ed è celebrata a spese pubbliche per più giorni, durante i quali danzano attraverso la città fino al foro e al Campidoglio e in molti altri luoghi pubblici e privati; essi indossano tuniche variopinte strette da cinture di bronzo e sopra portano toghe, allacciate con fibbie, adorne di strisce ed orli di porpora, che chiamano trabee (questa è una veste tipica dei Romani, tenuta in gran pregio). Sul capo portano i cosiddetti apici, alti copricapi a forma di cono, che i Greci chiamano kyrbasie. Ciascuno di loro è cinto da una spada e nella mano destra stringe una lancia o un bastone o qualcosa del genere, con la sinistra regge uno scudo tracico; questo è simile a un grande scudo romboidale con i lati piuttosto stretti… prendono nome dal loro intenso movimento. Essi dicono infatti salire lo spiccar balzi e il saltare. Per questo motivo, derivandone il nome dai salii, chiamano tutti gli altri danzatori saltatores, poiché anche le danze di costoro sono caratterizzate da molti balzi e salti… Si muovono infatti ritmicamente al suono del flauto, con indosso le armi, ora tutti insieme ora a turno, e mentre danzano cantano degli inni tradizionali. " (II, 70) Dopo la sua morte Romolo, legato ai Quiriti/Lancieri shardana, ottiene l'apoteosi come Quirino. Anche in Etruria l'arrivo dei signori della guerra Shardana pelagi, popoli del mare (come Aulo Pelasgo/Feluske a Vetulonia), è tardo, e solo da questo momento si può parlare di formazione della lingua e civiltà etrusca come cosa a sé differente dalla precedente civiltà greca di quelli che io chiamo i Tirreni orientali ed occidentali di Roma”. Le immagini, riportate anche nel testo di Corsini, secondo l’autore riproducono rispettivamente due “druidi shardana con trecce e cappello a punta da Teti (Nuoro) e Vulci” e un “aruspice etrusco (Museo Gregoriano Etrusco)”.