Il calumet

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di Giorgio Valdès Mi è capitata tra le mani un’edizione del 2008 dei “Quaderni di Darwin”, in cui tra l’altro è presente un interessante articolo dell’archeologo Mario Sanges, dove si parla dei lavori di scavo archeologico e di restauro della Tomba dei Giganti di Osono, in territorio di Triei. Il contenuto dell’articolo mi ha fornito lo spunto per alcune riflessioni di cui riferirò in questo post, ma intanto ritengo interessante proporre l’”incipit” dell’articolo: “La tomba di Giganti di Osono è situata nell’omonima vallata a circa tre chilometri dal centro urbano di Triei, nell’alta Ogliastra e a due chilometri dal complesso nuragico di Bau Nuraxi, il cui scavo ha fornito preziosissime testimonianze che si riferiscono all’intero arco temporale della Civiltà Nuragica e oltre. La valle altopiano di Osono è circondata a Nord a Ovest e a Est da una serie di colline, mentre a Sud Sud Est questo fantastico anfiteatro naturale si apre e domina dall’alto, come un’immensa terrazza, la sottostante piana di Ardali e il mare di Arbatax. Le circostanze che hanno portato alla scoperta della tomba sono state quanto mai singolari. Un operaio che lavorava allo scavo del Bau Nuraxi, accanito cacciatore, raccontò un giorno, a chi scrive, che nella vallata di Osono, ai margini dei seminativi, c’era un enorme e intricatissimo cespuglio di lentischio e rovi con all’interno una fila ordinata di enormi lastroni di granito, da cui regolarmente, nel corso delle battute di caccia grossa, uscivano i cinghiali. Un rapido e tempestivo sopraluogo permise di accertare la presenza di una grande tomba di giganti, apparentemente in ottimo stato dio conservazione della quale non si aveva alcuna notizia. Il successivo intervento di decespugliamento e di pulizia ha quindi permesso di riportare alla luce l’intero impianto tombale, dando così corso ai lavori di scavo archeologico e di restauro che si sono protratti per alcuni anni…”. A parte l’affettuoso pensiero per i poveri cinghiali sfrattati dal loro rifugio, dall’articolo si desume tra l’altro che mentre procedevano i lavori di scavo del sito di Bau Nuraxi, si sono reperite con relativa rapidità le risorse per l’ulteriore intervento sulla TdG di Osono, appena scoperta. Dalle immagini che si allegano risulta che i lavori sono iniziati nel 1993, 22 anni fa, quando sicuramente accedere ai finanziamenti pubblici era più agevole. Ma se il ritrovamento di quell’operaio fosse avvenuto oggi, possiamo ipotizzare un sollecito inizio dei lavori? Presumo proprio di no, anzi non sarebbero proprio iniziati, semplicemente perché la situazione economica complessiva non lo avrebbe consentito e probabilmente non lo consentirà, a maggior ragione, in un prossimo futuro. Difficile quindi pensare, per quanto si possa essere ottimisti, che per la tutela, scavo e mantenimento del nostro “esagerato” patrimonio archeologico si possano mai trovare finanziamenti pubblici adeguati, mentre è molto più realistico ipotizzare un suo progressivo e purtroppo rapido degrado. Detto ciò, vorrei proporre un’altra riflessione. Se le antiche popolazioni nuragiche avessero avuto astratto sentore della funzione del “calumet”, utilizzato molto tempo più tardi dagli indiani d’America per farsi una bella pipata in segno di pace, mi piace pensare che avrebbero adottato anch’essi questa simpatica abitudine. Sta di fatto che, anche se in forma diversa, il gesto di pace era usuale tra i nostri progenitori, come lo è tuttora. Un tempo si manifestava con la mano alzata che appare in tantissimi bronzetti e, oggi con l’analogo saluto che si ripete di frequente quando nei nostri paesi ci capita di passare di fronte ad un gruppo di vecchietti intenti a scambiare quattro chiacchiere. Tutte considerazioni che si manifestano spontanee se si pensa alle polemiche, accuse e offese insensate che giorno dopo giorno avvelenano sempre più il dialogo che si svolge soprattutto sulla rete e che meriterebbe invece, nell’interesse comune, maggior pacatezza e rispetto reciproco. In anni tanto difficili come quelli che stiamo vivendo, credo che tutti abbiamo il dovere morale di unire le rispettive forze e le intelligenze per superare la crisi e cercare di costruire un futuro migliore per noi stessi, ma più ancora per le generazioni future. Questo è lo spirito che ha determinato, nel settembre del 2013, la costituzione di Nurnet, che sin dai primi giorni di attività ha cercato continuamente di interloquire con chiunque potesse offrire una collaborazione fattiva al conseguimento dei suoi obiettivi statutari. Abbiamo creduto, e lo crediamo ancora, che il nostro interlocutore privilegiato non possa che essere la Sovrintendenza e più in generale il comparto archeologico. Ci amareggia, pertanto, questo diffuso travisamento delle finalità della Fondazione e diventa altrettanto snervante e per certi versi deprimente, doverci difendere da accuse che non hanno né capo né coda e che comunque impegnano tempi che si potrebbero utilizzare diversamente e sicuramente in maniera più proficua. Nessuno dei soci Nurnet si sognerebbe mai di mettere in discussione i risultati scientifici di uno scavo stratigrafico, e non ci sarebbe tra l’altro alcun motivo per farlo, ma ciò non ci impedisce ovviamente di interessarci delle testimonianze del pre-nuragico e nuragico, patrimonio di tutti i sardi. Tuttavia la Fondazione è nata essenzialmente allo scopo di diffondere la conoscenza di un particolare periodo storico che sicuramente si caratterizza per la sua unicità, auspicando che ciò possa contribuire a creare progresso economico e contestuali opportunità lavorative e ad attrarre le risorse necessarie per la sua tutela e valorizzazione. Tale conoscenza non può prescindere dal continuo confronto e da un dialogo che si espanda oltre i confini regionali ma che in primo luogo coinvolga le popolazioni locali, che devono essere assolutamente consapevoli della loro storia e in special modo di quella più remota che per troppo tempo è stata relegata in un angolo buio della soffitta. Concetto puntualmente espresso nel “Manifesto” Nurnet, distribuito il 6 gennaio scorso nel corso della manifestazione popolare tenutasi a Monte ‘e Prama. E’ infine evidente che il futuro dell’isola non possa prescindere dallo sviluppo di forme di turismo integrato e sostenibile, dove le predette unicità, rappresentate soprattutto dal patrimonio archeologico ereditato dalla preistoria (cui si connetteranno tante eccellenze territoriali), costituiscano il principale motivo di richiamo in grado di distinguere la destinazione Sardegna da tutte le altre proposte dal mercato globale dell’offerta. Ma per poter avviare un cammino virtuoso che ci faccia uscire dalle secche della recessione, è necessario poter contare sulla collaborazione di tutti coloro che vorranno mettere a disposizione le proprie competenze, e come abbiamo teso la mano al comparto delle guide turistiche della Sardegna, così lo facciamo, ancora una volta e con amicizia, nei confronti di tutti coloro che mostrano una fattiva volontà di collaborazione e in primo luogo degli archeologi, che vorremo che considerassero Nurnet una risorsa e non un avversario da combattere o un’entità diabolica da esorcizzare.