di Giorgio Valdès
Nella guida all’esposizione delle sculture restaurate di Monte ‘e Prama, edita nell’anno 2011 e denominata “La Pietra e gli Eroi”, l’archeologo Alessandro Usai esponeva il suo autorevole parere in un articolo titolato “La civiltà nuragica, dai nuraghi a Mont’e Prama”. Articolo particolarmente interessante che proponiamo nella sua interezza, suddiviso in due post che verranno come sempre richiamati anche nella pagina facebook della nostra Fondazione.
“ Quando ai piedi della collina di Mont’e Prama si componevano la necropoli e il complesso di sculture, e nell’intera Sardegna templi e santuari si riempivano di bronzi e di ambre, i nuraghi erano già vecchi. Nuraghi e “tombe dei giganti” da una parte, templi, bronzetti e statue dall’altra sono certamente opera dello stesso popolo, inteso come ceppo etnico radicato in Sardegna già da millenni che sviluppò nel tempo una propria tradizione culturale; non sono però opera della stessa gente, bensì di diverse generazioni portatrici di esigenze materiali, ideali e sociali diverse, pur nella continuità della stessa tradizione culturale. Parlare oggi della civiltà nuragica impone a tutti uno sforzo per liberarla dall’immagine astratta di mitico eden isolano; costringe tutti ad accettare una difficilissima sfida, riportare nel concreto dei tempi, dei luoghi e delle azioni non solo i monumenti e i manufatti ma soprattutto quella umanità che fu protagonista di una singolare esperienza storica, che segnò la Sardegna in modo indelebile e tuttavia attraversò crisi e cambiamenti e infine si consumò e si dissolse lasciando il posto ad altre esperienze. Riprendendo e adattando lo schema elaborato da Giovanni Lilliu, possiamo suddividere la civiltà nuragica in due grandi periodi e ciascuno di essi in due fasi, che si potrebbero definire come le fasi della formazione, maturità, trasformazione e degenerazione. È ovvio che si possa parlare di civiltà nuragica solo a partire dal momento in cui compaiono i nuraghi. Le ultime ricerche hanno messo in evidenza i sintomi di sviluppo che caratterizzano le società del periodo immediatamente precedente (Bronzo Antico); tuttavia la comparsa dei ciclopici nuraghi arcaici e delle prime maestose “tombe dei giganti” appare un salto di qualità, ancora arduo da descrivere e spiegare, rispetto all’altalenante svolgimento delle millenarie culture “prenuragiche”. La costruzione dei nuraghi, delle “tombe dei giganti” e dei connessi insediamenti segna un periodo di circa quattro secoli, approssimativamente dal 1600 al 1200 a.C. (Bronzo Medio e Bronzo Recente), che corrispondono appunto alle fasi di formazione e maturità. I nuraghi arcaici, propri della fase formativa, sono tozzi e bassi, inizialmente provvisti di corridoi e nicchie ma non di camere; in seguito presentano camere ellittiche o rettangolari. Gli insediamenti, sia adiacenti ai nuraghi arcaici che isolati, sono costituiti da piccoli gruppi di edifici circolari singoli oppure da fosse scavate nel terreno con sovrastrutture deperibili in legno e frasche. Nella stessa fase compaiono anche le prime “tombe dei giganti”, sepolture megalitiche di tipo dolmenico composte da un vano funerario allungato (galleria) e da un emiciclo frontale cerimoniale (esedra); la loro denominazione tradizionale allude alla forma della galleria che ricorda il cassone di un individuo gigantesco, mentre invece era destinata alla deposizione di decine o centinaia di persone. La tholos, la falsa cupola costituita da anelli di pietre via via più stretti dalla base alla sommità, è la grande invenzione degli architetti nuragici della fase della maturità, che diede al nuraghe classico la caratteristica forma di torre troncoconica. Questa ingegnosa semplificazione consentì sia la costruzione in serie di edifici a una sola torre, sia l’elaborazione di monumenti complessi con più torri, quindi con diverse camere al piano terreno e su uno o due livelli sovrapposti. Nello stesso tempo le diverse tribù organizzavano i propri territori come “cantoni” policentrici, caratterizzati dalla moltiplicazione degli insediamenti e delle sepolture. Così fu attuata una prodigiosa colonizzazione di pianure, colline, altipiani e montagne; il processo di popolamento si accompagnava al disboscamento e allo sviluppo di un efficiente sistema economico integrato. Tra le varie migliaia di nuraghi esistenti in Sardegna, quelli complessi richiamano l’attenzione non solo per l’arditezza e la monumentalità quanto per l’espressione di una gerarchia strutturale, funzionale e territoriale, in rapporto alle esigenze di controllo e gestione delle risorse e della rete viaria. I grandi nuraghi suggeriscono anche emulazione e competizione fra comunità vicine, in vario modo cooperanti e concorrenti. Tuttavia non è chiaro in quale misura la gerarchia territoriale si traducesse in stabili differenze di rango e potere all’interno delle società nuragiche. Un fattore di sviluppo che agisce in alcune zone più che in altre è il contatto con le civiltà micenea, minoica e cipriota, che procurava oggetti di lusso e prestigio e contribuiva a sviluppare la gerarchia sociale. Tuttavia le nascenti differenze di rango non si estendevano alle usanze funerarie; infatti nelle “tombe dei giganti” di tipo evoluto, spesso più piccole che in passato e costruite con blocchi perfettamente squadrati, il culto degli antenati continuava ad esprimersi in forme collettive ed egualitarie basate sulla consanguineità. Da sempre, studiosi e curiosi si interrogano sulla funzione dei nuraghi; tuttavia spesso la domanda è mal posta, in quanto non appare appropriato all’organizzazione delle società che li costruirono chiedersi se i nuraghi fossero regge o fortezze o torri di avvistamento o templi o tombe, per non dire di ipotesi più stravaganti. In particolare la funzione militare dei nuraghi poteva essere accettata finchè si riteneva che la loro costruzione fosse continuata fino alle guerre coi fenici e i punici e persino coi romani; ma da tempo si è accertato che la costruzione dei nuraghi cessò molto prima dell’inizio delle colonizzazioni storiche della Sardegna…”