di Giorgio Valdès
Anche qui il mito ammanta della sua aura cangiante una realtà sottostante che ancora appena si percepisce, ma che di volta in volta fornisce conferme e non smentite alla pallida memoria degli antichi. Il sito di Palattu, Palatium (Palazzo), su uno dei tre rilievi gemelli che si stagliano contro il cielo, inizia ora a raccontare la storia di una comunità che accoglie le preziose ceramiche greche, all’indomani –ma forse ancor prima- della conquista dell’isola di Herakles da parte della città di Elissa e di Melqart, Cartagine, ma la presenza del dio meglio si coglie altrove. Brulicano nel sottosuolo di S.Giuseppe le innumerevoli offerte votive di terracotta, dei tempi in cui Orgyle è ormai la Gurulis romana, dedicate in un santuario di ignota ubicazione, forse nello stesso sito di Palattu, ma del quale va chiarendosi l’identità del divino signore: ancora lui, l’onnipresente onnipotente Herakles-Melqart-Iolao-Ercole. Chiedono salute, guarigione, fertilità, protezione, e rendono grazie le mille e mille mani, arti, animali, frutti volti…chè l’Ercole romano anche elargitore di grazie quotidiane, di vita, di prosperità, per un popolo di miseri e sofferenti che a lui si rivolge con fiducia e fede. Ma dal mare degli ex-voto ecco affiorare pomi come quelli dorati che il serpente Ladone custodiva arrotolando le sue spire all’albero del giardino delle ninfe del paese del Tramonto, le Esperidi, ed ecco il serpente medesimo vittima delle frecce del dio, ma anche simbolo di guarigione nell’ambiguo e polivalente bestiario degli antichi, e ancorala stessa clava nodosa che si abbatteva infallibile sulle fiere e sui nemici, e leoni e addirittura frammenti dell’immagine medesima del figlio di Zeus che indossa la leontè, la spoglia del leone di Nemea, la prima vittima di una gloriosa storia di prevalenza sul Male e sull’Inumano. Abbiamo detto che qui il mito ammanta una storia che solo ora l’archeologia inizia a pecepire, ma può essere solo un caso se Olbìa e Orgyle, quelle che la memoria degli antichi ricorda come le due fondazioni iolee in Sardegna, restituiscono importanti testimonianze di culti del divino gemello del padre di Iolao Ificle, l’amato “eraste” e padre “Herakles”?”. C’è poco da dire, il mito e le leggende, inscindibili complementi della storia, affascinano, e questo breve racconto, intitolato “Il dio di Olbia”, porta la firma di Rubens d’Oriano, che analogamente a Paolo Bernardini, Raimondo Zucca, Aomar Akerraz, Ahmed Siraj e Pier Giorgio Spanu si sono cimentati nella descrizione delle avventure del mitologico e forzuto Ercole in terra sarda. Storie affascinanti e coinvolgenti, tutte contenute in un libretto, edito nel 2004 e denominato “L’isola di Herakles”, che ha potuto beneficiare delle prefazioni di Vincenzo Santoni e di Francesco Nicosia, e dell’introduzione di Attilio Mastino. Benissimo e niente da obiettare, salvo tentare di comprendere se la mitopoiesi sia da considerarsi lecita solo se provenga dall’Accademia, e se al contrario meriti d’essere duramente esorcizzata quando a trattarla sono i semplici appassionati o comunque i “non addetti ai lavori”. Nell’immagine è riportata la figura di un toro, riprodotta nella pagina finale del pamphlet “L’isola di Herakles”, integrata dalla didascalia “I tori di Gerione sono ritornati nel paese del tramonto”. Considerato che la frase allude ai tori rubati da Ercole a *Gerione, re di Tartesso, e che nel libretto sono raccontate, in maniera dettagliata e dotta le avventure di Ercole in Sardegna, “terra del tramonto”, presumo che l’immagine volesse metaforicamente identificare la nostra isola con Tartesso, la biblica terra dei metalli. Ma è solo la supposizione di un “non addetto” ai lavori.