Mitopoiesi istruzioni per l’uso

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di Giorgio Valdès “Lo aveva detto il suo divino fratello Apollo per bocca dell’oracolo: fondare una colonia in Sardegna. Herakles ricordò allora un’isola di mare tra le terre, il golfo di Olbìa “la felice”, riparatissimo tra tutti quelli che aveva visto sulle coste di Sardò. L’altro fratello Hermes ne annunciava la via, facile ai naviganti, ben indicata dall’alta isola di Tavolara, Hermaia nesos, da lungi visibile con la cima che si perde tra le nubi. Lì spedì, coi figli ancor giovinetti avuti in una sola notte dalle 50 figlie di Tespi, re di Thespiae e con un gruppo di Ateniesi, il nipote Iolao, a portare la nuova luce del vivere da cittadini, con regole e diritti, in armonia e libertà, secondo la promessa dell’oracolo. Iolao, come Sardo figlio di Makeris-Melqart, è un successore: sono i successori, è la seconda generazione divina a portare la pace e la civiltà nelle terre dell’Ovest rese accessibili dal possente progenitore, che aveva sconfitto prima Ladone il serpente delle Esperidi, Gerione tricorpore*, Anteo gigantesco, Caco tricipite, i non umani mostri del chaos. Iolao, l’amato “eromenos” dell’Herakles greco, era divino e venerato anche per i Fenici, Iolao-Eshmun invocato anche da Annibale nel suo solenne giuramento. Dunque Iolao è “figlio” di Herakles ma anche di Melqart, sacro a Greci e Fenici, nell’inestricabile nodo che stringeva i due popoli intraprendenti e coraggiosi esploratori dei misteriosi lidi del Tramonto. Olbìa li accolse entrambi, terra di frontiera proiettata verso gli indigeni dell’entroterra e verso i Tirreni d’oltremare, li accolse tutti attorno al santuario del dio sulla bassa collina e fino al porto, e il sottosuolo della città racconta frammenti di questa storia di rapporti, di convivenza, di avvicendamento delle genti del dio, forse prima i figli di Melqart dall’VIII alla fine del VII sec. e poi quelli di Herakles fino al VI secolo, divenendo così in quel tempo l’unico insediamento greco di Ichnoussa. E il dio li guidò da Olbìa ancora più a Occidente, fin nella lontana Mauretania, ove diedero aiuto contro i Libii di Diodoro, nato da Sophax, figlio suo e di Tingi, moglie di Anteo da lui sconfitto: ricongiungimento e fratellanza della stirpe eraclea, che civilizza i lidi dell’estremo mondo verso il calar del sole. E la forza del dio, la profondità del suo operare, la potenza del suo simbolo trapassano il tempo: Melqart è dio fondatore e re di città e colonie, ecista, anche per Cartagine, padrona di Olbia per i tre secoli successivi, e persino quando Herakles è ormai divenuto l’Ercole romano e forse i fedeli non ne coglievano più il valore fondante e di legittimazione mitica di un’ideologia di espansione, gli abitanti di Olbia romana non smisero mai di tributargli gli onori dovuti al padre sommo, protettore della città: rare coppe che recavano la sua figura e che narravano ancora, dopo 1500 anni, le sue imprese, continuarono ad essere ricercate e predilette dai cittadini, fatte arrivare anche da lidi d’oltremare, fin dalla lontana Corinto. E forse non è un caso se a Melqart-Herakles-Iolao-Ercole si sostituì, nel santuario dal quale aveva vegliato per 1300 anni sulla sua città, il santo navigatore e evangelizzatore dell’Occidente, portatore anch’egli della luce di una nuova civiltà sulle rotte per le colonne d’Ercole, quel Paolo di Tarso che del coraggio da guerriero fece strumento di propaganda di un amore universale. Iolao si spinse fin nel cuore di Ichnoussa, fedele alla missione affidatagli dal “padre” Herakles di spargere il fecondo seme della civiltà, del vivere “urbanamente”, allo scopo di dare agli uomini “tutte quelle cose che contribuiscono a rendere la vita felice”. La narrazione vuole che con i Tespiesi figli di Herakles e con un gruppo di Ateniesi egli fondò oltre che Olbìa anche Orgyle, nel luogo dell’attuale Padria, sullo sfondo dei tre colli suggestivi, tra la fertile piana della Nurra e i passi di discesa verso il Campidano, la “iolaeia pedia”, le piane iolee. Anche qui il mito ammanta della sua aura cangiante una realtà sottostante che ancora appena si percepisce, ma che di volta in volta fornisce conferme e non smentite alla pallida memoria degli antichi. Il sito di Palattu, Palatium (Palazzo), su uno dei tre rilievi gemelli che si stagliano contro il cielo, inizia ora a raccontare la storia di una comunità che accoglie le preziose ceramiche greche, all’indomani –ma forse ancor prima- della conquista dell’isola di Herakles da parte della città di Elissa e di Melqart, Cartagine, ma la presenza del dio meglio si coglie altrove. Brulicano nel sottosuolo di S.Giuseppe le innumerevoli offerte votive di terracotta, dei tempi in cui Orgyle è ormai la Gurulis romana, dedicate in un santuario di ignota ubicazione, forse nello stesso sito di Palattu, ma del quale va chiarendosi l’identità del divino signore: ancora lui, l’onnipresente onnipotente Herakles-Melqart-Iolao-Ercole. Chiedono salute, guarigione, fertilità, protezione, e rendono grazie le mille e mille mani, arti, animali, frutti volti…chè l’Ercole romano anche elargitore di grazie quotidiane, di vita, di prosperità, per un popolo di miseri e sofferenti che a lui si rivolge con fiducia e fede. Ma dal mare degli ex-voto ecco affiorare pomi come quelli dorati che il serpente Ladone custodiva arrotolando le sue spire all’albero del giardino delle ninfe del paese del Tramonto, le Esperidi, ed ecco il serpente medesimo vittima delle frecce del dio, ma anche simbolo di guarigione nell’ambiguo e polivalente bestiario degli antichi, e ancorala stessa clava nodosa che si abbatteva infallibile sulle fiere e sui nemici, e leoni e addirittura frammenti dell’immagine medesima del figlio di Zeus che indossa la leontè, la spoglia del leone di Nemea, la prima vittima di una gloriosa storia di prevalenza sul Male e sull’Inumano. Abbiamo detto che qui il mito ammanta una storia che solo ora l’archeologia inizia a pecepire, ma può essere solo un caso se Olbìa e Orgyle, quelle che la memoria degli antichi ricorda come le due fondazioni iolee in Sardegna, restituiscono importanti testimonianze di culti del divino gemello del padre di Iolao Ificle, l’amato “eraste” e padre “Herakles”?”. C’è poco da dire, il mito e le leggende, inscindibili complementi della storia, affascinano, e questo breve racconto, intitolato “Il dio di Olbia”, porta la firma di Rubens d’Oriano, che analogamente a Paolo Bernardini, Raimondo Zucca, Aomar Akerraz, Ahmed Siraj e Pier Giorgio Spanu si sono cimentati nella descrizione delle avventure del mitologico e forzuto Ercole in terra sarda. Storie affascinanti e coinvolgenti, tutte contenute in un libretto, edito nel 2004 e denominato “L’isola di Herakles”, che ha potuto beneficiare delle prefazioni di Vincenzo Santoni e di Francesco Nicosia, e dell’introduzione di Attilio Mastino. Benissimo e niente da obiettare, salvo tentare di comprendere se la mitopoiesi sia da considerarsi lecita solo se provenga dall’Accademia, e se al contrario meriti d’essere duramente esorcizzata quando a trattarla sono i semplici appassionati o comunque i “non addetti ai lavori”. Nell’immagine è riportata la figura di un toro, riprodotta nella pagina finale del pamphlet “L’isola di Herakles”, integrata dalla didascalia “I tori di Gerione sono ritornati nel paese del tramonto”. Considerato che la frase allude ai tori rubati da Ercole a *Gerione, re di Tartesso, e che nel libretto sono raccontate, in maniera dettagliata e dotta le avventure di Ercole in Sardegna, “terra del tramonto”, presumo che l’immagine volesse metaforicamente identificare la nostra isola con Tartesso, la biblica terra dei metalli. Ma è solo la supposizione di un “non addetto” ai lavori.