OLIENA: GROTTA CORBEDDU

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di Piera Farina Sechi

Spesso ci si nasconde nei luoghi più impensati, come, più o meno, si faceva da bambini, alla ricerca di un posto dove la fantasia e la libertà si confondevano con il buio e la paura. “Le viscere della terra sono, da sempre, considerate un rifugio sicuro come il ventre materno; e quale rifugio è più sicuro del grembo della grande madre?” Forse sono queste le motivazioni che hanno portato il “Re della Macchia” a chiudersi in una grotta; a volte, però, è sufficiente chiudere gli occhi per sentirsi libero e protetto.
Giovanni Salis Corbeddu nacque ad Oliena nel 1844, la sua vita trascorse tranquillamente sino all’eta’ di 35 anni, quando venne accusato (forse ingiustamente) del furto di un bue.
Questo fatto determinò un vero e proprio stravolgimento della sua vita. Corbeddu negò sempre con estremo vigore la responsabilità di quell’atto. Iniziò, comunque, per lui un lungo periodo di latitanza, dapprima come semplice bandito per diventare successivamente, con il trascorrere del tempo, uno dei banditi più temuti dell’isola. Scelse come nascondiglio una grotta carsica del Supramonte, nella valle di Lanaithu. Il Re della Macchia (come veniva chiamato), entrava nella grotta attraverso una piccola cavità, spostava una colonna naturale fatta da una stalagmite (che poi posizionava perfettamente una volta dentro, facendo combaciare le fratture) e si calava attraverso un piccolo cunicolo. E’ in quel luogo che trovava sicurezza e protezione: nel grembo della madre terra. All’interno creò una sala di ricevimento, una cucina ed una camera da letto, in un ambiente niente affatto bello e reso ancor più tetro dal buio delle viscere della terra. Una volta datosi alla macchia iniziò la sua vera e propria vita da brigante, ma a differenza degli altri “malviventi” si distingueva per la sua gentilezza e la sua galanteria. Si narra di lui che fosse un vero e proprio bandito gentiluomo: rubava ai ricchi per dare ai poveri. Due episodi resero famoso Giovanni Salis Corbeddu: il primo fu l’assalto alla diligenza sulla strada Nuoro Macomer. Diligenza sulla quale viaggiava il comandante della divisione dei carabinieri reali di Sassari, Michele Angelo Giorgio Spada. Spada si vantava di aver debellato il banditismo in tutto il nuorese. Con la promessa di laute somme di danaro a chi dava informazioni sui latitanti e notevoli riduzioni di pena ai fuorilegge che, spontaneamente, andavano a costituirsi, riuscì nel suo intento. Diversi malviventi (perlomeno i più creduloni) caddero nella sua trappola e si costituirono nella speranza che lo Spada mantenesse le sue promesse. Ma così non fu; una volta costituiti, i latitanti vennero condannati con pene severissime. Ma non solo, non diede un centesimo a chi aveva fornito “informazioni” sui diversi banditi ancora a piede libero. Le famiglie di questi banditi “ingenui” che caddero nella trappola ingannevole di Spada, implorarono Corbeddu affinchè facesse giustizia per tale sopruso. Corbeddu accettò. Nel maggio del 1887, accompagnato da altri malviventi assalì la diligenza. Non fu una strage; la leggenda sottolinea che Corbeddu non era un sanguinario ma un uomo “giusto”. Dopo aver sottratto il danaro e le eventuali armi a tutti i presenti, denudo’ il comandante dei carabinieri Spada e, per ridicolizzarlo, lo lascio’ in mutande. Tra le armi rapinate una piacque al Corbeddu: era la sciabola da Maggiore dei carabinieri. Lunga 60 centimetri e larga 5 portava incisa una scritta “Viva il Re di Sardegna” con diversi stemmi araldici. Corbeddu la portava sempre con sè e, si sentiva dire che la lucidasse tutti i giorni affinchè fosse più evidente capire di che tipo di arma si trattasse e soprattutto quale fosse la sua provenienza.
L’ altro episodio è del 1894 quando collaborò con le autorità per la liberazione di due francesi, commercianti di legname (Louis Paty e Regis Proll) sequestrati in zona. Gli fu offerta una grossissima somma di danaro che rifiutò con sdegno (odiava il vile danaro). Accettò, invece, l’offerta di poter girare per ben 10 giorni, indisturbato, tra la vie del suo paese, sotto gli occhi increduli dei più che lo vedevano passeggiare “liberamente” lungo le vie di Oliena … lui che era considerato dalla “legge” uno dei più grandi e pericolosi banditi. Corbeddu fu accusato di tutto, omicidi (che quasi sicuramente non ha mai commesso), rapine, assalti e via dicendo. Gli attribuivano di tutto, ma si sa, con un latitante che non può difendersi, è facile addossargli la responsabilità di qualunque crimine commesso nel raggio di cento chilometri… Amava leggere, Corbeddu, e amava la giustizia, quella vera, quella che i carabinieri non sapevano manco cosa fosse: la giustizia degli uomini. “Si Deus cheret e sos carabineris nos lu permitint” (se Dio vorrà e se i carabinieri lo permetteranno) era questa la frase in voga in Sardegna, terra che da sempre ha mal visto l’invasore rappresentato dai militari e dai cosiddetti “tutori dell’ordine”. Giovanni Salis era anche molto religioso; di lui si racconta che ogni notte, prima di andare a dormire, leggesse un libricino di preghiere, inseparabile opuscolo che teneva sempre con se, nel taschino interno sinistro del pastrano, quasi a voler proteggere il cuore. Morì il 3 settembre del 1898, in seguito ad un conflitto a fuoco con i carabinieri di Oliena. Il “Re della Macchia” (detto anche l'”Aquila del Supramonte”), finì i suoi giorni, all’età di 54 anni, dopo quasi 19 anni di ininterrotta latitanza. Un cronista dell’epoca descrive il suo corpo: “egli giace inerme, con la sua folta e lunga barba bianca, pare molto più vecchio dei suoi 54 anni, quasi disteso per terra, il busto leggermente sollevato come il capo, le braccia tese lungo il corpo. Colpisce la sciabola, in bella vista sul davanti. Vestito con l’abito tradizionale olianese, camicia bianca, dalla quale spiccano i due bottoni d’oro; dal taschino del gilè si nota l’orologio d’argento da un lato e dall’altro un mazzo di carte. Ma ciò che colpisce è il suo volto serafico, come se fosse in uno stato di serena ed eterna beatitudine. Pare strano che questi sia il grande bandito che tutti descrivono come un sanguinario.” Nessuna traccia di sangue, dunque, i suoi abiti appaiono puliti, l’unica nota è un piccolo foro sul petto, dalla parte del cuore, dal quale non fuoriesce sangue, ma piccoli brandelli di pagine, pagine del suo piccolo opuscolo di letture religiose che custodiva sempre nel taschino interno sinistro, vicino al cuore. L’assenza di sangue fa pensare che sia stato tradito da qualcuno. Dicono che morì avvelenato per mano di un suo uomo di fiducia che lo tradì, e dopo venne architettata la messinscena di un assalto da parte dei carabinieri. Muore un malvagio che tuttora si ricorda come essere stato un uomo “giusto”. Tra verità e fantasia Corbeddu è entrato nella leggenda. Ora sicuramente è diventato un uomo libero, quella libertà che in vita gli è stata negata.
Nella grotta Corbeddu si respira la sua presenza e questo la rende più affascinate. Oltre Corbeddu, delle illustri persone hanno reso famosa questa spelonca. Nel 1967 degli scavi portarono alla luce reperti attribuibili al Paleolitico superiore, insieme ad altri reperti datati al Mesolitico ed al Neolitico antico, ma la scoperta più sensazionale fu il ritrovamento di una mascella e di un osso temporale (entrambi umani) riferibili, più o meno, al Paleolitico di 13.500 anni fa, secondo le analisi fatte al radiocarbonio (che consentono un margine di errore di poco più’ di 120 anni).
Dal 1967 la grotta divenne importante a livello mondiale per gli scavi effettuati non solo dal punto di vista archeologico ma anche paleontologico. Un certo Paul Sondaar paleontologo olandese continuò gli scavi nella grotta; studioso di fama internazionale, era specializzato nello studio delle specie animali delle varie isole del mondo. I suoi scavi erano sempre aperti a chiunque, curiosi, visitatori o studiosi. Trovò anche la falange di una mano datata 20.000 anni a.C. ritrovamento del tutto eccezionale Questi sono i più antichi reperti umani rinvenuti in un contesto insulare del Mediterraneo e presentano, inoltre, caratteristiche morfologiche che parlano in favore di uno spiccato endemismo della specie rispetto alle altre attestazioni di “Homo” dell’Europa contemporanea. Vennero ritrovate, inoltre, tracce di diversi animali (nello stesso strato in cui furono rinvenuti i resti ossei umani) e dei fossili del “Megaceros cazioti”, un cervide, e del “Prolagus sardus”, un roditore (tutti e due estinti da tempo) assieme a manufatti del Paleolitico superiore. Inoltre vennero alla luce frammenti di carbone misti a ossa di animali selvatici, con tracce di fuoco, che sono stati datati a 25.700 anni a.C. Insomma, una grotta carica di storia, di leggende, di vite vissute e di animali preistorici. Non vi racconto la sua bellezza naturale, quella la si può scorgere dalle foto, ma consiglio vivamente il lettore di visitare questo meraviglioso grembo della nostra Madre Terra.
Piera Farina-Sechi
Foto Bruno Sini / Piera farina