Rubrica Legale Nurnet – dell’avvocato Antonio Leoni – 1

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E’ possibile vendere un monumento archeologico?

La recente notizia della messa in vendita di un terreno con all’interno un nuraghe quadrilobato in quel di Uras ha ingenerato in un altissimo numero di iscritti ai vari gruppi facebook dedicati all’archeologia sarda l’interrogativo sulla liceità di tale vendita nel presupposto che si tratti di un bene culturale. A tale proposito il Codice dei Beni Culturali e del paesaggio definisce “beni culturali” le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico; nell’ambito della stessa normativa, peraltro, è dato scorgere alcuni differenziazioni tra le quali, per ciò qui interessa, quella attinente alla qualità pubblica (in senso lato) ovvero privata del titolare del bene; ed infatti, quando il proprietario del bene sia lo Stato o un altro Ente Pubblico, o la Chiesa o una persona giuridica privata senza fine di lucro (prevalentemente si tratta di associazioni o fondazioni) il bene che presenti il detto interesse è definito senz’altro “culturale”; quando, invece, la proprietà del bene appartenga a soggetti diversi da quelli appena indicati e quindi a soggettività collettive aventi scopo di lucro (ad esempio società commerciali) ovvero a persone fisiche, affinchè il bene possa assumere la qualifica di “culturale”, è necessario che l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico sia notevole e che, perciò, sia intervenuta una dichiarazione ufficiale di interesse culturale. Ciò posto, è evidente che i beni di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico non solamente possono essere di proprietà pubblica ma possono essere anche di proprietà privata e, quando siano di proprietà privata, perchè siano considerati culturali è necessario che abbiano un notevole interesse e questo sia stato dichiarato secondo le procedure di legge. Quanto detto significa, almeno dal punto di vista teorico, che quando il detto interesse manchi e/o non sia stato dichiarato, il bene privato ancorchè “antico” non potrà essere considerato “culturale”. E’, dunque, scontato che per questa categoria di beni di proprietà privata non esiste alcun limite alla libera circolazione non avendo natura di beni culturali. In relazione ai beni che ci interessano, cioè a quelli dei privati che siano da qualificare come culturali (che abbiano cioè notevole interesse e questo sia stato dichiarato ufficialmente) e volendo circoscrivere, per brevità, la disamina ai soli beni di interesse archeologico, deve rilevarsi come nessuna norma vieta che questi possano essere trasferiti mediante atti di disposizione tra vivi (venduti, permutati, donati) ovvero a causa di morte (ereditati con o senza testamento) pignorati, sequestrati e venduti in sede di esecuzione forzata. L’unico limite a tale potere dispositivo è dato dal diritto di prelazione che la legge riconosce al Ministero e dal correlativo obbligo di denuncia dell’atto di trasferimento. In altre parole, quando un bene viene venduto, donato, permutato, assegnato, ereditato o ricevuto in legato deve essere presentata una denuncia alla competente soprintendenza entro trenta giorni dall’atto di trasferimento o dalla presentazione della denuncia di successione all’Agenzia delle Entrate; la denuncia è necessaria affinchè il Ministero (o altro Ente territoriale delegato) possa esercitare sul detto bene il diritto di prelazione ossia il diritto di prendersi il bene corrispondendo il relativo prezzo ( in caso di avvenuta vendita) o il corrispettivo del suo valore ( nei casi di avvenuta permuta, successione o comunque trasferimento senza determinazione di prezzo). Ovviamente, dal punto di vista pratico, numericamente ben più esigua è la rilevanza dei mobili rispetto agli immobili; ed infatti, mentre per questi ultimi la possibilità di continuare ad essere oggetto di proprietà privata non è mai cessata, per i reperti archeologici è cessata in buona parte nel 1909 con la legge Rosadi (che introduceva il principio che essi fossero dello Stato fatta salva la possibilità di assegnarne una quota al proprietario del fondo dove fosse stato eseguito lo scavo ) e definitivamente con la Legge Bottai del 1939 (che aboliva anche la detta possibilità). Pertanto mentre nuraghi, , tombe dei giganti, pozzi sacri, domus de janas, tempietti, dolmen e altri manufatti costituenti beni immobili possono essere, oltre che di proprietà pubblica, anche di proprietà privata e quindi, in quest’ultimo caso, compravenduti, ereditati ecc. bronzetti, navicelle, lance, tripodi, olle, lingotti e via dicendo possono essere oggetto di proprietà privata solo se rinvenuti a seguito di scavo nei fondi privati avvenuta prima del 1939 o addirittura del 1909. Antonio Leoni, avvocato.