ASPETTI SCIENTIFICI DEL PROGETTO NURNET

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di Nicola Dessì (OTTOBRE 2013)

Tra gli scopi prefissati dal progetto NURNET, oltre il censimento e la valorizzazione turistica di numerosi siti di età preistorica e nuragica del territorio sardo, vi sono anche quelli legati all’indagine archeologica e la divulgazione scientifica dei succitati monumenti. Nonostante non sia stata elaborata a tutt’oggi una carta che ci restituisca il numero esatto dei nuraghi, s’ipotizza che essi raggiungano un numero compreso tra gli 8.000 e i 10.000, collocati indistintamente su tutto il territorio sardo con una maggiore concentrazione nel Marghine, nella Planargia, nel Sulcis e nel Logudoro. A questo già consistente numero vi si debbono aggiungere poi i circa 100 villaggi nuragici sprovvisti di nuraghe di riferimento, i circa 300 protonuraghi, gli oltre 250 pozzi e fonti sacre di età nuragica, i 50 templi a megaron, le 3.500 domus de janas, le circa 1200 tombe di giganti prenuragiche e nuragiche, i 400 dolmen, circa 1500 menhir (tra aniconici e antropomorfi), un centinaio di ripari sotto roccia paleolitici e neolitici. Basterebbero solo questi dati , tra l’altro riferibili solo al periodo preistorico e protostorico, a fare della Sardegna la terra con la più alta densità di emergenze archeologiche di tutto il mondo occidentale! Sui circa 15000 monumenti preistorici e protostorici solo una piccola percentuale di essi è stata tuttavia sottoposta a indagine scientifica dai primi anni del ‘900 fino ad oggi (circa 600) in maniera senza tra l’altro aver mai conosciuto una degna conclusione, lasciando spesso così campo libero agli scavatori clandestini. Non di rado inoltre i regolari scavi non hanno mai conosciuto una ufficiale pubblicazione, e quand’anche questa sia stata effettuata era priva di carattere divulgativo, ma intrisa di tecnicismi comprensibili solo agli “addetti al mestiere”, non soddisfacendo dunque pienamente le esigenze di conoscenza della cultura nuragica del vasto pubblico. Su 600 siti scavati in maniera scientifica, ben meno della metà sono oggi fruibili dal punto di vista turistico, ovverosia gestiti da cooperative ove talvolta si è tristemente riscontrato che le guide che vi prestano servizio non sono all’altezza delle loro mansioni poiché non provviste di titolo di studio o bagaglio culturale necessario per poter eseguire una visita guidata, limitandosi perciò ad imparare e ripetere a memoria una relazione sul sito nella però più totale assenza di conoscenza del background sulla civiltà nuragica e sulle civiltà prenuragiche della Sardegna. Altre volte ancora ho avuto modo di constatare personalmente che le cooperative si limitano a far pagare un biglietto d’ingresso al sito senza offrire alcun servizio di guida, nonostante esse siano stipendiate per farlo. A questo si aggiunga poi il deplorevole costume di alcuni colleghi archeologi di mostrare atteggiamenti assai reticenti nei confronti della divulgazione dei dati scientifici dedotti dagli scavi e dalle ricerche archeologiche. In sintesi dunque si assiste dunque ad una mancata conciliazione tra ricerca scientifica e fruibilità turistica che spesso porta gli amministratori comunali a scegliere di rinunciare ad azioni di valorizzazione del proprio patrimonio archeologico a causa della lenta e talvolta ingiustificata burocrazia messa in essere dal Ministero dei Beni Culturali, ovverosia dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici. La maggior parte dei monumenti è dunque in stato di completo abbandono, vittime dell’incuranza delle amministrazioni comunali e della natura che col suo incontrastato percorso non solo li priva alla vista dei visitatori, ma ne mette a serio rischio l’incolumità. A causa di questo, il nostro enorme patrimonio è misconosciuto e inaccessibile ai più, privandoci così del diritto inalienabile di qualsiasi popolo che si ritenga civile, ovverosia la conoscenza e la fruizione delle proprie radici storiche. Aspetto non di certo secondario è anche il mancato sviluppo turistico-culturale e dunque economico della nostra terra. Riteniamo dunque sia necessario che i comuni sardi possano dotarsi quanto prima di una carta archeologica georeferenziata dei propri siti archeologici. La conoscenza e la divulgazione appaiono oggi come le uniche maniere per salvaguardare i nostri monumenti e la loro frequentazione turistica l’unico deterrente per distogliere dai loro biasimevoli intenti gli scavatori clandestini. Il coinvolgimento inoltre dei locali, mediante gruppi di volontari che periodicamente puliscono i siti dagli arbusti, contribuisce ad instillare nelle comunità un senso di protezione e di appartenenza che assicura incolumità duratura al patrimonio archeologico