FRA SCIENTISMO E PROMOZIONE DELL’ ARCHEOLOGIA DELLA SARDEGNA. UN LIBRO ANCORA BIANCO

Mi sento obbligato, e lo faccio personalmente senza coinvolgere il gruppo e la Fondazione Nurnet, a riprendere l’argomento proposto nel post titolato “LA ZONA GRIGIA, FRA SCIENTISMO E POLITICA” per cercare di mettere ordine e specificare il mio pensiero, essendo la persona che ha proposto il dibattito.

In premessa fatemi dire che chi entra a commentare, senza argomentare e proponendo apoditticamente il proprio punto di vista, non viene preso neanche in considerazione. Chi insulta, noi o altri, tendiamo a “bloccarlo”, ma spesso lasciamo il suo insulto in pagina perché si commenta da sé e lo espone al pubblico giudizio. Invitiamo tutti i commentatori a costringersi a dedicare qualche riga in più alla dialettica, altrimenti si astengano.

Il post è stato da me pubblicato con la convinzione che si capisse che il tema non era Burioni contro i No Vax. Non lo era neanche nell’intervista della immunologa Villa. Non è questo, comunque, un tema che riguarda questa pagina e sarei il primo a dichiararmi non abbastanza competente sull’argomento.

Leggo e rispetto, o cerco di rispettare le posizioni di entrambe le parti in causa su questo problema. In linea di principio tendo a schierarmi a favore della Scienza e degli scienziati, avendo tuttavia coscienza dei limiti o degli errori che qualsiasi attività umana può compiere e che la misurazione della realtà dipende dal soggetto e dal campo di misura che prepara o a cui è sottoposto dal suo stesso ambiente.

 

La questione è rilevante e non penso possa essere “altra” rispetto a Nurnet, poiché affronta il parallelismo tra “scienza”, dogmatismo e prepotenza dei sapienti titolati e con ruolo, la libertà e diritto di poter contestare dei non addetti ai lavori etc.

Vorrei sottolineare come queste posizioni sono corrette, ma viaggiano su dimensioni diverse.

Mi spiego: la scienza si evolve in una continua ricerca della verità. Ma come in “orbitali elettronici” la sedimentazione di dati e prove raggiungono livelli di “certezza” non scalfibili da superficiali contestazioni. Questo vale per numerose evidenze.

Che la terra giri intorno al sole è “certo”, e giustamente i terrapiattisti possono essere a ragione giudicati dei somari invasati. Che la gravità porti a terra i corpi è altrettanto vero, come che esistano le proteine, le cellule, i diversi elementi chimici e tutto ciò che condividiamo. La contestazione di queste evidenze non può essere oggetto di discussione né da addetti, né da dilettanti.

Esistono peraltro numerosi campi in cui la scienza cerca ancora prove, risposte certe, e sono oggetto di studio e discussioni. Esistono poi enormi spazi di incertezza o buio, in cui l'”ignoranza” (in senso buono) è palese e serenamente accettabile. In astronomia, fisica, chimica, etc. la scienza poi affronta temi pratici e di valenza sociale importante.

Nella medicina in particolare. Il metodo scientifico (ad esempio nell’individuazione di farmaci) si assesta su livelli intermedi che possono essere oggetto di discussione, ma non di contestazione. Fa male fumare? certamente. Lo dimostra l’epidemiologia, la biologia sperimentale, le prove in vitro etc.

Chi scrivesse pubblicamente (magari in difesa di multinazionali del tabacco) che è innocuo commette reato. Chi cura il bimbo per otite grave con acqua e rosmarino e lo fa morire commette reato. Chi beve grappa a litri si fa del male ma non commette reato.

Cioè la scienza in questi casi, nonostante le incertezze, raggiunge un grado di attendibilità elevata e regola politica e giustizia.

Per quanto concerne l’archeologia il problema è analogo.

Chi sostenesse che i nuraghi sono prodotti edificati da Garibaldi direbbe una sciocchezza inaccettabile. Chi negasse l’esistenza dei romani o dei greci idem. Ci sono cioè evidenze innegabili. Ma anche spazi di opinabile enormi, specialmente se dalla archeologia si ricavano ipotesi di valenza storica.

Quindi se un titolato con ruolo si scagliasse (alla Burioni) contro gruppi che sostengono che i nuraghe sono in realtà quadrati, o che i romani fossero precedenti ai nuragici avrebbe diritto a gridare e fare il prepotente. Se invece contestasse ipotesi alternative su questioni ambigue, oggetto di studio e interpretazioni varie, brandendo la clava della “scienza” contro gli infedeli sarebbe un beota.

Dove fosse Atlantide e se esistesse non lo sa nessuno, e tanto meno lui.

Questi piani diversi del problema sono innegabili e vanno considerati.

Il nostro tema è il paesaggio archeologico, della Sardegna nello specifico, e la sua valorizzazione. Di questo una delle componenti fondamentali sono gli studi archeologici svolti con METODO SCIENTIFICO. Esse sono certamente uno dei riferimenti di rango o, se preferite, lo dico senza alcuna difficoltà, di maggior rango.

All’interno di quel dominio di studi si opera e si approfondisce a un livello tale che, normalmente, non provoca l’interesse del lettore ordinario, ancor meno del turista.

Tuttavia, usciti da quel dettaglio si entra, anche in archeologia, ma ancor più nel trattare il paesaggio archeologico, in un ambito in cui il metodo diventa il pensiero razionale, logico, di deduzione e di buon senso.

Quando dall’Archeologia di scavo, tassonomica, si deduce pubblicazioni di Storia o Antropologia, il discorso cambia. Ancor più cambia quando si tratta di comunicazione e valorizzazione. Non è l’archeologo strettamente inteso che può decidere cosa comunicare, come e quale marketing adottare.

Un fisico chiamerebbe quest’ambito come “gli esperimenti mentali”, in attesa di maggiori prove, di conferma matematica o sperimentale. Einstein. Per dire, ne fece largo uso nello sviluppo e nella spiegazione delle sue teorie.

Spesso si porta l’esempio dell’ingegnere a cui far progettare un palazzo, o del medico a cui affidare le cure di una malattia. In realtà la metafora è fallace perché l’ingegnere che progetta il ponte, lo progetta per terzi che lo dovranno valorizzare, vendere, quindi comunicare. Il biochimico che inventa una molecola farmacologica non si occupa della progettazione della pillola e tantomeno della produzione e della vendita. Tanto meno ne assume il project management. Sono ambiti e specializzazioni diverse.

Trasferire questo discorso al comparto che interessa Nurnet è un impegno arduo, perché i dati scientifici nel campo archeologico preistorico e protostorico si limitano alle stratigrafie o poco più, che purtroppo forniscono ridotti elementi di conoscenza, a fronte di un’infinità di ipotesi scientificamente non dimostrabili.

Tali ipotesi possono legittimamente essere proposte anche dai semplici appassionati, che molto spesso studiano e approfondiscono i singoli temi con impegno e dedizione superiore a quello degli addetti ai lavori, i quali generalmente snobbano tutto ciò che non ha contenuto scientifico.

Gli archeologi “tirano fuori” degli elementi e sono certo i più autorevoli nell’interpretarli, come pure quanto ad aggiornare il quadro delle conoscenze che con essi si arricchisce; ma non saranno gli unici a poter dire la loro su questo quando chi interviene rispetti i dettami della loro e, in generale, delle altre discipline.

Mutatis mutandis, credo il principio valga anche per la plausibile ricostruzione della storia dai reperti archeologici, senza nulla togliere agli imprescindibili archeologi, e senza nulla aggiungere a chi si lancia alla leggera in castelli per aria, più o meno sottilmente elaborati.

Noi di Nurnet non siamo archeologi, però leggiamo, studiamo e ci documentiamo. Al nostro interno esistono diverse competenze, ma tutti amiamo fotografare, riprendere, pensare, scrivere per divulgare e valorizzare, organizzare, gestire. Per fare ciò non serve nessuno specifico titolo o particolare iscrizione ad albi, per fortuna sono diritti garantiti.

Non abbiamo niente a che vedere con chi propugna teorie fantastiche, giusto per portare degli esempi, di ossa giganti; di nuraghi come antenne proiettate verso il cielo, o del potere taumaturgico delle pietre in sé, per quanto la fede in un fenomeno penso possa provocare effetti benefici sulla psiche, quindi sul sistema immunitario.

Per quanto concerne le teorie di Sardegna Atlantide, Tartesso, Tsunami, scrittura dei nuragici Shardana, pensiamo che sia nel diritto di chi le propone farlo, e che per questo non debba essere deriso ma, eventualmente, confutato con pacatezza e prove.

Uscita dalla sfera strettamente scientifica, delle stratificazioni di scavo, delle cronologie di dettaglio, della denominazione dei periodi ecc., esiste un mondo vastissimo che possiamo definire della valorizzazione e della divulgazione, che è il nostro e per il quale non consentiamo a chiunque di non riconoscere il nostro diritto a operarvi.

Questo è un tema che in altri paesi, più laici, meno corporativi, non ci sarebbe neanche la necessità di trattare. Qui da noi, in Sardegna, in Italia, visti gli eventi e i fatti che ci hanno visti coinvolti, nel nostro piccolo, sembra essere necessario discuterne e difendere le posizioni.

Fra gli argomenti trattati, sulla pagina Nurnet, vi è il riconoscimento del diritto di ogni cittadino alla partecipazione, a manifestare le proprie credenze, e valorizzarle come crede, riguardo le tradizioni, la cultura e il patrimonio culturale del proprio paese. La Convenzione di Faro, reperibile facilmente in internet, trattato ratificato dalla gran parte degli stati europei e anche dal Senato della Repubblica, afferma chiaramente questo diritto. E’ Legge, chi vuole la legga, poi ne parliamo piacevolmente e liberamente.

Fra i vari commenti vi è quello di Luigi Calvia che, ben argomentando, cerca una definizione del cosiddetto “fantarcheologo”.

“Per quanto riguarda poi la formazione del pensiero storico, fu proprio l’invasione della politica nel campo della storia che ha determinato invenzioni, vere e proprie falsificazioni e visioni di parte.
La scienza storica dovrebbe essere imparziale o almeno non troppo condizionata dalle classi dominanti (sappiamo perfettamente, è scientifico, che così non è. NdA).

Non si affida affatto a tutti la palma di fanta-archeologi. E talvolta chi lo fa ha ancor meno competenza dei fanta-archeologi. Ma alcuni elementi sono in genere comuni nella fanta-archeologia:

  • La contestazione della comunità scientifica, quella di Università e centri di ricerca, accusata di essere legata a supposti interessi diversi da quelli scientifici (cosa che peraltro talvolta puo’ verificarsi).
  • L’accusa alle Universita’ e alla scienza di rappresentare una visione unica e corporativa della realta’, mentre in genere sono presenti all’ interno di essa molte divisioni, tendenze e scuole di pensiero.
  • Ancora piu’ interessante e’ nella fanta-archeologia la fascinazione per il mistero e il mito. Il termine ricorre insistentemente o e’ implicito negli atteggiamenti. Il “mistero etrusco”, il “mistero dei popoli del mare”; il piu’ diffuso in tutto nel mondo sembra essere “il mistero di Atlantide”, cosi che in molti paesi dell’oriente e dell’ occidente ,alcuni pretendono di identificare il mito nella propria storia,( il caso della Sardegna e di Frau e’ solo uno dei centomila),
  • Il fanta-archeologo e’ inoltre quasi sempre uno che non ha mai diretto uno scavo archeologico, men che mai degli scavi importanti o che hanno condotto a scoperte significative. Uno che ignora i metodi scientifici della ricerca, della datazione, dei processi. (Archeologia processuale).
  • Ma anche la fanta- archeologia e’ una forma di cultura, di intrattenimento e di ispirazione della mente creativa. A mio parere, essa dovrebbe porre i limiti delle sue ambizioni precisamente in questo campo ed abbandonare quelle pretese scientifiche che non gli appartengono. Oppure coniugare una fantasia archeologica di cui e’ importante che l’ archeologo sia dotato, ma quando coniugata e integrata da un severo metodo scientifico, acquisito sul campo. Senza la sua vivace fantasia e senza la sua Iliade sotto braccio il grande Heinrich Shliemann non avrebbe mai scoperto le citta’ di Troia e di Micene.
  • Altri elementi accomunano il fantarcheologo, Sensazionalismo: Le grandi “scoperte rivelatrici”; Autoglorificazione o glorificazione della propria storia: dappertutto si vedono giganti o esseri divini e si rinuncia a una vera spiegazione. “Tombe dei giganti”, “Giganti di monte Prama”. “Megalopoli di monte Prama”. Un fenomeno di pirateria viene enormemente ingigantito fino ad attribuirgli caratteri di civilta’, mentre non vi e’ nulla di piu’ lontano (quale? Gli Shardana Popoli del Mare? Rimandiamo allo studio del professor Ugas, non certo classificabile come fanta-rcheolo. NdR). Iperscetticismo di fronte ai metodi moderni e scientifici della storia.
  • Per cio’ che riguarda il ricorrere del termine “mistero”, basta digitare su Google o su pagine fb ricerche come: I misteri dell’archeologia. Archeologia e mistero, ecc.”

 

Per stare al concetto espresso da Luigi Calvia: “A mio parere, essa dovrebbe porre i limiti delle sue ambizioni precisamente in questo campo ed abbandonare quelle pretese scientifiche che non gli appartengono”.

Noi non abbiamo mai avuto pretese scientifiche. Miriamo semplicemente a valorizzare l’identità della Sardegna utilizzando le tecniche della comunicazione, cercando di tenerci aggiornati e colti quanto più possibile, esattamente come farebbe un bravo giornalista o un tecnico promotore del territorio.

Riguardo i “misteri” avrei poco da dire: “E’ sufficiente citare, genericamente, uno stuolo di grandi fisici, compreso Einstein, che nelle note biografiche raccontano di essere rimasti affascinati dal mistero della natura, della fisica, sin dall’infanzia. Su questo si trova abbondantissima lettura e il fascino del mistero non è mai considerato scandalo ma, anzi, valore.

Einstein fu affascinato e portato verso le sue scoperte dal “mistero della luce” e sempre, sin da bambino, si domandò cosa potesse provarsi a cavalcare un raggio di luce. Infine, in un certo senso lo cavalco e andò oltre.

Davvero volete togliere il fascino del mistero e la possibilità di farsene trascinare a noi tutti, fanta o no, e tenerla per una classe di titolati e con ruolo?

Che poi, a parte valorizzare e congetturare, il compito che ci occupa non poco, che potremmo valutare soprattutto necessario nel nostro panorama culturale, è quello di evidenziare le, almeno apparenti, trascuratezze, omissioni, che sembrano ostacolare quel più radicale cambio di paradigma riguardo il ruolo e la dimensione dell’antica Civiltà Sarda.

Giusto per portare degli esempi vedi la vigna a Mont’e Prama, i siti che non si scavano o si scavano sempre nella solita direzione, gli scavi fatti ma non pubblicati, certi reperti che non si studiano o che proprio spariscono, la mancanza ancora oggi di un catasto digitale e pubblico dei dati. Tutto ciò nonostante nel settore la comunità abbia investito fior di risorse finanziarie.

L’espressione “cani da guardia”, della Civiltà Sarda, della nostra Identità storica, magari può non piacerci, ma indica un compito che, nel contesto, si direbbe necessario; un ruolo quindi che qualcuno, in mancanza di migliori interpreti, deve pure assumersi, come può e con responsabilità civica.

 

Immagine da https://gaetaniumberto.wordpress.com/