I Racconti, nella notte, all’alba dei tempi

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 di Melqart Re

Nella Sardegna antica, esisteva già il diavolo. Sembra che il fenomeno magico-religioso abbia avuto origine nel neolitico, epoca nella quale comincia ad essere attestato anche nell’Asia mongolica con identica struttura. Mammuthone, oppure Mammunt, o ancora Mommoth, o forse Ammuntha erano i suoi molteplici nomi: era uno spauracchio spiritico che rappresentava il male contrapposto al bene proveniente direttamente dagli inferi, un luogo che gli abitanti delle montagne conoscevano bene. Ignoriamo se queste forme di sciamanesimi non siano esenti dall’influenza esterna, ma è molto probabile che durante il neolitico dal centro-Asia alla Sardegna, come sembra avere dimostrato la studiosa Maria Gjmbutas, esse siano nate di pari passo col matriarcato, in un periodo tra il 5 mila e il 3 mila a.C.

Durante la Notte, momento temporale associato alla morte, il Diavolo appariva nelle strette gole dei monti, nel canyon granitico de «Su Gorroppu» (inaccessibile gola tra i monti di Orgosolo, Urzulei e Oliena). Si narra, nelle antiche leggende, che un giovane ragazzo sardo era stato spinto dalle donne della sua famiglia a recarvisi per trascorrere la notte tra quelle spaventose e gigantesche voragini colme di  pietre accatastate in un groviglio impenetrabile. Quelle streghe, con fare aspro e deciso, lo avevano sfidato a passare una notte con il diavolo. Ne andava del suo onore: se avesse avuto paura, sarebbe tornato al villaggio e loro, lo avrebbero denudato davanti a tutto il paese, denigrato e riempito di botte. S’intravede, nel delinearsi del racconto, il relitto rituale del viaggio sciamanico nel quale l’adepto (uno sciamano) si spinge nel mondo degli inferi e deve lottare contro numerose entità spirituali avverse. Anche le donne della sua famiglia, le sorelle, le cugine, potevano contrattare con Ammuntha ma, in cambio di ricchezza, amore e gloria, dovevano vendergli il loro corpo e anche l’anima. Nelle tradizioni popolari, e nei miti sulla stregoneria femminile, che fanno pensare agli antichi rituali sumeri della ierogamia, il re degli inferi (il maligno) si accoppiava abitualmente con le streghe e lo faceva con grandi rituali a cui tutti gli “iniziati” dovevano assistere e cercare di “imitare”. La riproduzione dell’essere umano era cosa molto difficile, all’epoca. Tutti i riti dell’accoppiamento avevano un enorme valore, ne andava di mezzo la continuazione della specie e, per renderli “magici” e quindi vincenti ai fine di una procreazione, le sciamane e i sacerdoti dei culti, dovevano inventarsi le “psico magie” più spettacolari. La Notte è sempre stata lo sfondo preferenziale per il racconto delle storie tradizionali. Quasi cantate e narrate con enfasi davanti ai fuochi, le forredde e i foghiles. Sono sempre le donne che raccontano: donne indaffarate di giorno, ma dolcissime cantastorie di notte. E il fuoco è sempre il protagonista principale (una casa senza focolare, nella cultura sarda, non è una casa degna). Il fuoco, così spesso ritualizzato in alcune sagre molto diffuse in Sardegna (oggi ribattezzata sagra di S.Antonio) è l’elemento cardine della spiritualità animista protostorica. La leggenda arrivata fino a noi, e adattata ai crismi del cristianesimo, narra che Sant’Antonio rubò dagli inferi una scintilla e la donò alla terra, attraversata da temperature glaciali, portando luce e calore. Si ripercorre così il mito sciamanico di un universo tripartito: Cielo, Terra, Inferi.

I sardi non hanno lasciato ai posteri testi e scritture delle loro più antiche tradizioni, tuttavia hanno sempre messo in mostra un fervida intelligenza nelle loro rappresentanti di genere. Le donne hanno una memoria vivida, e sono state in grado di raccontare le storie trasmesse loro oralmente dalle proprie nonne quando erano bambine. E tutti gli studi antropologici ci dicono che i bambini sono in grado di memorizzare fino a cinquanta volte di più di un maschio adulto. Nel racconto sardo, l’oscurità della notte è la costante. E’ il velo sensoriale che impedisce alla realtà del quotidiano di emergere, disturbando la fantasia e l’ascolto, come fosse un processo di trans meditativo. Grazie alle donne il racconto tradizionale rimane vivido nei secoli, forse nei millenni. Oggi tutti scrivono e il web è diventato un mezzo molto potente per trasmettere la memoria. E’ quindi importante più che mai, che quel sottile filo della memoria che unisce le narratrici del passato con quelle del presente, non si spezzi mai.

 

 

Foto di Su Gorroppu (Urzulei) – Nu- di Jamie Featherstone.