I tripodi bronzei e loro significato rituale

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I Tripodi bronzei

“I Tripodi, ovvero i sostegno con tre piedi di recipienti bronzei, sono sicuramente pervenuti nella Sardegna nuragica, sia come modello originario che come valenza rituale e di prestigio, da Cipro, dove questa manifattura era specializzata ad altissimo livello artistico… …Resta ormai fuor di dubbio che, come per molte categorie di manufatti di ispirazione cipriota – e generalmente databili al Tardo Cipriota III – ad imitazione di questi, altri ne siano stati prodotti localmente, liberamente o reinterpretando e variando i modelli originali nelle dimensioni e nelle proporzioni, ma non nella tecnica di fabbricazione, che rimane quella della cera persa. Di produzione locale si ricordano gli esemplari integri del ripostiglio di S. Maria in Paulis e dal deposito votivo della grotta Pirosu – su Benatzu di Santadi, mentre frammenti ne sono stati ritrovati a Samugheo, a Villagrande Strisaili e, nella penisola, nel ripostiglio di Piediluco-“Contigliano”, a Terni e nella tomba Romagnoli 10 di Bologna (Lo Schiavo, Macnamara, Vagnetti 1985). Da ultimo si segnalano due frammenti dalla tomba 2 della necropoli di Calaceite, Teruel, nel Bajo Aragon (Rafel 2003; Rafel et alii 2010).”

Da “Archeometallurgia in Sardegna dalle origini al primo ferro” a cura di Sanna, Valera, Lo Schiavo 2011

Nella foto il tripode miniaturistico dalla grotta santuario Pirosu – su Benatzu di Santadi (Museo Archeologico di Cagliari). (rs)

Era Apollo che sedeva sul tripode- scrive Mircea Eliade, nel suo “Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi” – e proprio Apollo è una delle poche figure della mitologia greca che riveste perfettamente i panni del traghettatore di anime, sciamano e pscicopompo.

Strabone scrive invece che “La Pizia”, una sacerdotessa ispirata da Apollo a riferire il volere del padre Zeus, seduta nella concavità d’un grande tripode, risponde “in versi e in prosa”, alle domande di postulanti venuti da ogni parte della Grecia. La Pizia, secondo le leggende narrate dal mito, vede il futuro e il destino dei richiedenti grazie ai suoi poteri profetici resi forti dallo “pneuma enthusiastikon” scaturito dalle esalazioni di un gas ipnotico proveniente dalle viscere della terra fino a lei, tali da provocarle uno stato di trance alterato, perfetto per permetterle di comunicare con gli spiriti dell’altro mondo.

Secondo la tradizione, riferita da Pausania, questo potere (del luogo), invisibile, che permette di entrare facilmente in trance estatica, sembra sia stato scoperto per pura fatalità da alcuni pastori che, inalati i miasmi soporiferi dalla fenditura nel terreno, avrebbero iniziato a vaticinare in nome d’Apollo. Ovviamente, gli archeologi hanno indagato in questo senso effettuando scavi sotto il tempio di Apollo. Tuttavia, stando a quanto hanno rivelato gli scavi, al di sotto la pavimentazione del tempio, non c’è e non c’è mai stata traccia alcuna spaccatura o frattura naturale e, considerato che la platea poggia su uno zoccolo di pietra scistosa, pare assai improbabile che dal di sotto pervenga alcun tipo di esalazione.

Tentiamo di ricostruire il rituale praticato dalla Pizia, cerimoniale che potrebbe essere molto simile al rito praticato dalle sciamane nuragiche all’interno della caverna ipogea di “Su Benatzu” di Santadi, per esempio. Pausania ci dice che prima di discendere nel ‘sancta sanctorum’, cioè nel cuore del Tempio e di salire sul tripode, abbigliata con abiti tutt’altro che appariscenti, essa introduce il rito con delle abluzioni, dopodiché procede con l’accensione di una fiamma nel tripode e a fumigazioni a base d’alloro e farina d’orzo (o in verità  a sostanze vegetali psicotrope?). Il vaticinio inizia col sacrificio di una capra, come dimostrano i resti di residui appiccicosi misti a fango e ceneri di animali rinvenuti anche nella sala di Pirosu (o su Benatzu), a dimostrazione del fatto che i rituali praticati prevedevano il sacrificio di alcuni animali completamente dedicati agli umori della Pizia.

I richiedenti non possono stare nella stessa sala della Pizia ma in un locale attiguo dal quale si esprimono praticamente urlando la domanda: allora, la Pizia, nell’oscurità, articola la sua agognata risposta che non è detto sia una risposta comprensibile ma può anche essere limitata a strani suoni, mugugni o a gesti manuali o movimenti del corpo. All’interpretazione di tali segni provvedono gli aiutanti del culto, sacerdotesse e ministri del culto. Del rito sardo abbiamo solo testimonianze archeologiche, ma del rituale greco è stato testimone diretto nientemeno che Plutarco che ha riferito perfino la cadenza delle consultazioni di tale oracolo vaticinante: il settimo giorno di Byzios, mese sacro ad Apollo, tra febbraio e marzo), “si fa inizialmente col tempo mensile (il sette d’ogni mese), per divenire, infine, quotidiana, nei nove mesi in cui Apollo è presente”.

(mlqrt)