Il culto nuragico di Marduk o Elu

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Il Culto di epoca nuragica  di Marduk/Elu che ancora si canta nei cori a tenores.*

(di Mlqrt R)

Grazie ai bronzetti di Marduk (probabilmente quasi tutti i bronzetti sardi di epoca nuragica che rappresentano guerrieri) del primo ferro o del bronzo finale (se le datazioni lo confermeranno) abbiamo la rappresentazione di questo Dio creatore, che con le sue armi scaccia la vecchia Era (Il Toro, ovvero il matriarcato) sopratutto nei rituali di tipo esorcizzante, praticato presso i pozzi sacri dei santuari nuragici. Pur continuando a praticare gli antichi rituali animisti, ove le stesse forze spirituali di un tempo continuano e perseguono nel loro ruolo, ecco che la figura di un Dio sovrano e fecondatore entra finalmente in gioco ponendosi ed elevandosi sopra tutti e tutto. Si tratta di un Dio solare e nello stesso tempo vegetale e sovrano, e la sua rappresentazione in Terra è affidata al suo delegato, il capo e guida, che ne diventa personificazione sia sul piano cosmico che sul piano sociale, politico e materiale. Siamo in un momento in cui la cultura nuragica assume il suo aspetto spirituale più materialista (ma anche maschilista). Non si tratta di una contraddizione, semplicemente si sta avviando, con molto ritardo,  verso l’uscita dall’Era del Toro, dal suo “grande anno” come avrebbero detto gli antichi egizi. E’ tuttavia un epoca considerata d’oro per il popolo nuragico, completamente immerso in traffici e scambi di varie merci, minerali e metalli da un capo all’altro del Mediterraneo, fino all’atlantica Huelva. Una volta l’anno, in corrispondenza della stagione delle piogge, le ataviche genti nuragiche, celebrano la grande solennità di Marduk. Egli è solitamente indicato come ‘’Elu’’ (Bel per i babilonesi, ovvero Signore, Il Grande, Il salvatore) e ancora oggi nel XXI secolo il suo nome è invocato in alcuni canti a tenores.  Il rituale ha la durata di un intera lunazione. E’ teso ad assicurare la pioggia (il seme fecondatore della terra), la fertilità e la ricchezza della comunità. Secondo le popolazioni dell’epoca, il Sole sarebbe sceso su un albero di fico per fecondare sua moglie (la Madre Terra). Un maschio della comunità è stato incaricato direttamente dal Capo (Re) di  assicurare al grande albero di fico una scala (come simbolo di una dimensione celeste sulla quale ascendere). Davanti all’albero di fico, vengono sacrificati gli animali prescelti per il rituale, quelli più grassi e floridi, i capretti, gli agnelli e i maiali. Il loro sangue viene conservato dentro vasi di terracotta e distribuito a pioggia sulla terra, come psicometafora della fecondazione. Il banchetto, accompagnato dai forti vini della zona, ha luogo con l’arrosto delle carni presso il focolare di una delle torri del nuraghe: un luogo apposito per questi riti. Infine, in mezzo ai canti e alle danze rituali, si scatena un’orgia collettiva, carattere certo di una mistica agraria. Al termine della danza, quando i corpi esausti e madidi di sudore, non sono più in grado di proseguire, i celebranti, caduti nella loro trance  estatica, recitano le preghiere, portandosi nella torre delle tante porte e accedendovi dall’alto con la stessa scala a pioli che in precedenza era stata fissata all’albero di fico. “O sole”-  recitano gli offerenti nel loro stato di trance – “Antenato Sole, Elu onnipotente, ora scendi tra noi, le nuove gemme del fico sono spuntate per te. Le carni del porco e del capro sono pronte, tagliate a pezzi per il tuo consumo. Le barche sono di ritorno dalla laguna, cariche di doni, pesci, stoffe, spezie e metalli.   Elu, Signore nostro, sei invitato al nostro banchetto: taglia, mangia la carne e bevi il nostro vino, vieni da noi. Aspettiamo molto stagno e molte merci, accresci il numero dei nobili e moltiplica il nostro popolo. Sostituisci  gli animali a te sacrificati con altri animali vivi e forti. Sostituisci l’orzo e i ceci, e riempi di grano i nostri cesti ormai vuoti.” Anche se si fa fatica ad accettare l’evidenza che i dispositivi cardine della civiltà sarda, anche precedentemente al 1000 a.C, i nuraghe, fossero edifici sacri e a carattere fortemente rituale, questi culti agrari, le suddette ierofanie, venivano sempre celebrati intorno ai grandi nuraghes complessi e nelle piazze dei villaggi attigui.  Sconcerta che questi, anche nel loro utilizzo pratico e quotidiano, contestualmente alle funzioni legate alla sfera del sacro, potessero comprendere altre funzioni e utilizzi. Probabilmente, a parer mio, si rimane disorientati da una religiosità che nei secoli muta sensibilmente, cambia pelle ma lo fa senza traumatici stravolgimenti. Si tratta di un sincretismo continuo tra culti e cambiamenti sociali, che da matriarcali diventano sempre più patriarcali, e poi ierocratici. Anche Marduk/Elu non resterà immune da tutto questo trascinandosi, dietro il sipario del suo tardivo passaggio, alcune divinità minori vegetali, relitto dei neolitici culti animisti e sciamanici per cedere il passo, dopo qualche secolo, al più conosciuto, e ancora più vicino al monoteismo ebraico, culto di Baal.

 

 

 

* Si precisa che non si è potuto procedere alla citazione delle fonti per questioni inerenti alla privacy. Pertanto questo articolo non ha valenza scientifica, più o meno come accade per tantissime pubblicazioni degli ultimi 50 anni prive di reali riferimenti scientifici relative alla presunta colonizzazione della Sardegna da parte dei "Fenici".