Sardegna, isola nuragica. Quale significato?

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L’isola è isola o diventa isola soltanto se abitata? O sono le vicende umane a graduare il tasso di "insularità"? La "insularità" è quindi un concetto relativo, in quanto le isole non possono costituire dei sistemi autonomi, ma si sviluppano sotto l’influsso di più ampie tendenze economiche, sociali e culturali, verso le quali manifestano alternativamente apertura o chiusura. [Péron 1993]. E’ noto il giudizio glottocronologico che il sardo sia stato influenzato dal latino (anche se qualche studioso giura che sia avvenuto l’esatto contrario); ma se così fosse per quale motivo le sue origini romanze hanno fatto fatica ad essere accettate perfino dal gotha della cultura medievale italiana? Il noto giudizio icastico di Dante sulla lingua dei Sardi, i quali imiterebbero il latino come le scimmie imitano gli uomini (De vulgari eloquentia, I, XI), va di pari passo con la mancanza di simpatia che egli dimostra in genere verso gli abitanti dell’isola, o più esattamente verso alcuni personaggi [Vivanet 1879/1994; Scano 1962/1982; Alziator 1976]. “Il senso profondo di questa caratterizzazione ironica, beffarda e iperbolica del sardo consiste nell’impossibilità di conciliare, da parte di Dante, innegabili indizi di parentela linguistica romanza (tra sardo e latino) con istituzioni sociali proprie della Sardegna medievale e funzioni linguistiche (come quelle esplicate dal sardo medievale scritto) vigenti nell’isola e sentite come estranee e distanti (in fondo, dunque, barbare).” Perciò il sardo, pur essendo percepito affine persino al latino ma proprio per questa affinità rifiutato come aberrante (scimmiesco), viene collocato in una dimensione di umanizzazione imperfetta. Per un’analisi più puntuale delle valutazioni dantesche a proposito della lingua sarda si rimanda a Lőrinczi [2000]. Ma allora, se prendiamo per buoni gli studi di Pèron (e di Guilaine 1994), vi siete mai chiesti quale significato abbia mai potuto avere nell’epoca del Bronzo sardo (1800- 900 a.C) l’edificazione di tanti palazzi nuragici se da nessuna parte in Europa si ritrova una tendenza simile di strutturazione? Chi, quale entità esterna e proveniente da dove ha condizionato, nel bene e nel male (chiusura o apertura) lo stato fisico della Sardegna preistorica? Dobbiamo ragionare sul fatto che 10 mila nuraghi in un’isola di soli 24.090 km² significa avere una densità di 1 nuraghe ogni 2,4 km quadrati. Se poi a quel numero di coni turriti vogliamo aggiungerci, 900 tombe dei giganti, 3 mila e 500 domus de janas, 150 pozzi sacri, un numero imprecisato di menhir e dolmen ma nell’ordine di alcune centinaia, e altro ancora, significa che ogni km quadrato di territorio è permeato di “cultura autoctona e, anche se ogni struttura non è del tutto originale, e circoscritta soltanto alla nostra isola sarda, l’estrema abbondanza ne fa, per forza di cose, uno straordinario “unicum” edilizio. Pertanto se, per quanto riguarda in particolare i nuraghe, questa strutturazione massiva è stato il risultato di una “chiusura” verso l’esterno, in forza di un aggressione venuta dall’Iberia forse, è probabile che si debba dar ragione ai sostenitori delle teorie degli edifici difensivi, di Taramelliana memoria. Ma se, di converso, si dà retta alla teoria di un “apertura di credito” nei confronti di correnti culturali esogene, quali quella egizia, in primis, quella minoica e quella micenea, allora è probabile che stiamo parlando di un immenso e mistico tempio a cielo aperto, nel quale ad ogni sardo ma anche ad ogni visitatore veniva concesso di alimentare la propria spiritualità.

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Foto Nuraghe Nuraddeo- Suni (Or) di Giuseppe Fozzi