A FAVORE DELLE FONTI RINNOVABILI. OPPOSTI AL CAOS TECNICO E SPECULATIVO.

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Premessa

Il Decreto Draghi, d.lgs n. 199/2021, conseguì a una direttiva con cui la Comunità Europea indicò le potenze di energia da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) aggiuntive che gli Stati membri avrebbero dovuto implementare per raggiungere il Net-­Zero entro il 2050.

La C.E. fissò un certo numero di parametri a cui gli Stati Membri dovevano attenersi per l’individuazione dei territori su cui realizzare gli impianti, tra cui le componenti sociali e la necessità di rendere le produzioni quanto più condivisibili e distribuite.

Lo Stato italiano, nelle proprie scelte, di questi parametri, sostanzialmente, ne utilizzò solo uno, la producibilità in rapporto alle condizioni ambientali. Quindi, al sud, destinando nelle regioni con maggior ventosità e sole i maggiori carichi: Sardegna, Sicilia, Puglia.

Lo Stato aprì un dialogo negoziale con le Regioni a cui le altre regioni parteciparono ottenendo delle migliorie rispetto alle prime indicazioni. La Sardegna non partecipò, accettando, con una forma inopinata di “silenzio-assenso”, i potenziali che il d.lgs.199/2021 imponeva, pari a GW 6,2.

Il decreto Draghi prevedeva l’obbligo di emissione di un decreto d’attuazione riguardante i parametri di individuazione delle aree idonee. L’emanazione di questo decreto “tecnico” è avvenuta incredibilmente solo qualche giorno fa.

La Regione Sardegna (RAS), nei tempi e nei modi di legge, non ha contestato allo Stato l’assenza di questo decreto attuativo e, inopinatamente, incoerentemente rispetto ai suoi stessi Piani di programmazione energetica e ambientale, ha accettato al tavolo negoziale i 6,2GW di potenza previsti nel Decreto Draghi.

La RAS non ha a sua volta individuato le aree idonee per la realizzazione degli impianti. Allo stesso tempo, alla RAS sono pervenute richieste per installazioni di impianti FER nella misura di circa 58 GW di potenza.

Questo caos normativo, burocratico, legale e ingegneristico ha portato alle sollevazioni, presidi e proteste di gran parte della società sarda.

 

Nessuna analisi fisica e ingegneristica era posta alla base di queste scelte, se non alcuni documenti previsionali di Terna spa che, per giustificare i numeri, riportavano delle previsioni di crescita dei consumi della Sardegna altamente discutibili.

Nessuno degli attori istituzionali in quel momento si oppose all’obbligo di implementazione di questi numeri incongrui.

Il grafico nell’immagine sottostante dimostra come le previsioni di Terna di incremento della domanda siano negate dagli andamenti storici che la stessa Terna pubblica nel suo sito istituzionale.

Il crollo della domanda di energia, come ben noto a tutti gli osservatori delle cronache sarde, fu dovuto alla chiusura di importanti industrie fortemente energivore. Per il futuro l’evoluzione più probabile dell’industria sarda e che dovranno chiudere o essere trasformate altre importanti industrie energivore, tra le quali anche la SARAS.

La previsione di crescita della domanda di energia interna alla Sardegna è del tutto fuorviante e, infatti, ha portato alla programmazione errata, al caos normativo e burocratico e, infine, alla sollevazione delle popolazioni.

Sulla previsione di incremento della domanda energetica la società Terna spa dovrebbe fornire dei chiarimenti, dal momento che le sue indicazioni stanno determinando sollevazioni popolari a causa dei prevedibili impatti sul paesaggio e sulle società della Sardegna.

Il Piano Energetico Ambientale della Regione Sardegna

Il PEARS è ormai datato al 2016. In esso gli estensori riportavano i bilanci energetici e fissavano una visione coerente verso la transizione energetica, eliminazione dei fossili e introduzione delle FER. Nel corso della precedente consiliatura il PEARS è caduto in una sorta di oblio e i suoi contenuti non sono stati presi a riferimento per la negoziazione con lo Stato sulle potenze di produzione da FER implementabili in Sardegna, in rapporto alla condizione della rete di distribuzione.

Pertanto, la richiesta di realizzazione di impianti FER incrementali a quelli già esistenti di 6,2 GW appare del tutto ingiustificata e ingegneristicamente incongrua.

Contrariamente a quanto auspicato dalle buone pratiche internazionali le popolazioni locali non sono state coinvolte nei processi decisionali e hanno preso coscienza soltanto in quest’ultimo anno degli impatti che il processo di transizione e realizzazione degli impianti avrà per il loro territorio e sulle loro società.

Situazione attuale della rete, dei consumi e del mercato delle autorizzazioni

Dalla lettura del PEARS in rapporto alle richieste di realizzazione di impianti per 6,2 GW risulta più che evidente la totale incongruità rispetto alle potenzialità della rete esistente, alle previsioni di ulteriore connessione della rete elettrica della Sardegna a quella nazionale (Thyrrenian Link).

La potenza degli impianti FER di cui è pretesa l’installazione determinerà una produzione superiore di tanto a qualsiasi ottimistica previsione di aumento della domanda di energia. Questa energia prodotta non sarà neanche esportabile per l’insufficienza dei collegamenti. Ne consegue che le modifiche impattanti del territorio e del paesaggio non sono giustificate neanche dagli utilizzi dell’energia e dal suo commercio.

Se realizzati nella misura dei 6,2 GW è quindi certo che gran parte degli impianti dovranno essere fermati, nelle giornate di vento e completo irraggiamento, per evitare i sovraccarichi e gli squilibri nella rete di Terna spa. Saranno quindi costretti ad operare in modo altamente inefficiente con un impatto al rialzo delle tariffe per compensare i costi operativi spalmati su una produzione ridotta. Cosa amplificata dal fatto che impianti FER non pagano l’energia primaria, cioè vento e sole, ma hanno solo costi operativi e di manutenzione.

Questo discostamento da una realtà oggettiva tecnica esiste già con 6.2 gigawatt promessi, figuriamoci con il 57 gigawatt totali delle domande presentate.

L’ottimale e diffusa distribuzione della produzione, rapportata ai consumi, appare quindi disattesa dalla distribuzione delle richieste e dalle modalità anche normative e burocratiche con cui si procede alla loro approvazione.

La somma di queste eccessive pretese di produzione con l’introduzione di incentivi sulle produzioni ha dato impulso alla speculazione finanziaria. Un esercito di sviluppatori di progetti si sono riversati sul territorio alla ricerca di contratti di cessione del diritto di superficie, senza alcuna valutazione di idoneità paesaggistica preliminare.

Attualmente è probabile che diversi migliaia di proprietari di terreni della Sardegna abbiano firmato contratti di cessione del diritto di superficie e siano in attesa di godere di queste rendite. Esiste quindi anche un conflitto interno alle popolazione, disgregatore, fra quelli che godranno di rendite e gli altri che vorrebbero tutelare il paesaggio.

Il quadro attuale è quello di un caos totale, una situazione il cui controllo è sfuggito totalmente ai vari attori istituzionali. Il rischio è che le conseguenze di questo pasticcio verranno pagate dal paesaggio e dalle popolazioni mentre i benefici andranno agli speculatori privati e a Terna spa.

Terna spa, infatti, avrà decenni di lavoro garantiti per la necessità di dover mettere ordine nella rete, garantire gli utilizzi delle produzioni e realizzare le infrastrutture necessarie perché ciò avvenga.

La politica regionale

La Giunta e il Consiglio regionali, a seguito degli impegni presi nella recente campagna elettorale, spinti dalle richieste dell’opinione pubblica e di una parte della stampa, hanno emanato una Legge che introduce una moratoria per la realizzazione di impianti per i prossimi diciotto mesi.

Tuttavia, esistono altre linee di pensiero e azione che considerano questa scelta del tutto aleatoria e impercorribile, in quanto la norma potrebbe avere risvolti incostituzionali ed essere cassata. Ciò potrebbe scatenare un diluvio di conseguenze e di contenziosi fra gli operatori privati e la RAS stessa.

Si sono formati dei comitati di cittadini e di intellettuali che propongono l’utilizzo delle competenze in materia urbanistica riconosciute dallo Statuto d’Autonomia come quelle su cui far leva per annullare, seppur momentaneamente l’assalto speculativo. Approvare, quindi, nel breve tempo, i piani paesaggistici già depositati e presenti negli uffici regionali nei quali soro riportati tutti i vincoli di ordine ambientale, culturale e identitario che i progetti e le autorizzazioni di impianti dovrebbero rispettare.

Nessuno in Sardegna è contro l’introduzione delle FER

A causa di questo caos, della diffusione di notizie false e informazione mediatica spesso fuorviante, nell’opinione pubblica internazionale è purtroppo passata l’idea che il Popolo Sardo sia pregiudizialmente contro le FER. Ciò è assolutamente falso.

Non esiste una dichiarazione ufficiale, un documento in cui ciò è affermato.

Si afferma, invece, il diritto alla tutela dell’Ambiente e del Paesaggio, del Cultural Heritage da parte delle popolazioni, della propria identità storica e ambientale, così come riconosciuto dai trattati internazionali e dalle leggi nazionali e locali.

Il caos creato dalle incapacità della politica nazionale e locale, dalla “mano” del mercato, dagli appetiti degli operatori finanziari e dei costruttori, dall’attrattività di possibili rendite per i proprietari di terreni, per i futuri proprietari di impianti, dagli stessi interessi incongruenti della società Terna, sta vedendo le popolazioni come unici eroici oppositori.

A questo deve aggiungersi che la posizione decisa e pubblica delle multinazionali ambientaliste Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, partner dei maggiori produttori di energia e delle società di distribuzione rende ancora più confuso il quadro. È difficile capire come le associazioni note per le battaglie di difesa dell’ambiente e del paesaggio possano chiedere con forza la devastazione speculativa del paesaggio da loro stesse, teoricamente, tutelato.

Che fare. Il modello ideale per la transizione energetica della Sardegna

In Sardegna esistono da sempre le condizioni per la realizzazione di un modello di regione totalmente libera dall’utilizzo delle fonti energetiche fossili, quello che è mancato e manca è la programmazione politica di questo modello.

Il modello ideale vede la distribuzione delle produzioni nelle più immediate vicinanze delle aree di maggior consumo e delle sottostazioni di trasformazione. Vede l’utilizzo massimo delle coperture degli edifici, dei paesaggi e dei suoli già compromessi. Vede le popolazioni locali godere dei benefici anche economici.

Sotto l’aspetto sociale e finanziario questo modello ideale deve prevedere che anche le popolazioni locali debbano godere dei benefici con un minor costo dell’energia o con la partecipazione ai profitti che in parte compenserebbero le esternalità ambientali.

Alle produzioni da FER deve essere affiancata una rete di impianti di conservazione ambientalmente sostenibili. La conservazione chimica, le batterie industriali, hanno una durata media di una decina di anni ma, soprattutto non possono garantire forniture per più di uno o due giorni. Esistono forme di conservazione dell’energia ambientalmente sostenibili e meno impattanti. Fra queste, la più rilevante e accessibile è quella idroelettrica, ma ormai anche le tecnologie che utilizzano l’aria liquida e l’aria compressa sono abbastanza mature per essere introdotte.

In Sardegna esistono 75 bacini artificiali dei quali soltanto alcuni sono dotati di sistemi di accumulazione e recupero di energia per pompaggio e sollevamento. Mentre l’impatto ambientale della costruzione dei bacini è già stato assorbito dal territorio, nessun significativo impatto sarebbe determinato dalla realizzazione sullo sbarramento artificiale degli impianti di generazione e pompaggio necessari e delle linee di collegamento elettrico fra questi e le sottostazioni di Alta Tensione.

I bacini sono già gestiti e nel possesso dell’ENAS, l’Ente Regionale di gestione della risorsa idrica, che potrebbe in proprio operare come Agenzia Energetica Regionale, così come già auspicato e tentato nei decenni trascorsi, senza successo.

Queste politiche si integrerebbero perfettamente con la necessità della RAS di gestire le acque per prevenire periodi di siccità e sopperire agli obblighi di adattabilità che la transizione climatica impone e sempre più imporrà.

Perché questo processo possa avvenire in maniera indolore è necessario più tempo rispetto a quello attualmente imposto dalle leggi statali. La modifica dei tempi previsti non deve essere vista come una imposizione ma semplicemente come una esigenza fisica, ingegneristica e burocratica, conseguente all’evidenza, sopra ben spiegata, dello spreco e dell’inutilità oggettiva della realizzazione di 6,2GW di impianti come mal-pianificato attualmente.

Inoltre, la costruzione di generatori eolici sui profili delle colline e delle montagne sarde è un delitto contro l’identità del paesaggio e delle popolazioni. La realizzazione di impianti a mare, offshore, in relativa prossimità dalla costa (si parla di 15 miglia), potrebbe evitare la distruzione suddetta.