BRACCIALE DI PRESUMIBILE EPOCA PREISTORICA SARDA RICEVUTO DA ANONIMO MITTENTE

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Attraverso posta è arrivato presso la sede di Nurnet un plico, da uno pseudo mittente, contenente un reperto archeologico, all’apparenza un bracciale di epoca preistorica.
Mi piace supporre che qualcuno, avendo seguito per mesi e mesi le narrazioni di Nurnet, la campagna “Adotta un Nuraghe”, le reiterate note morali sul patrimonio unico dell’antica Civiltà Sarda, l’azione di acquisto dei quattro bronzetti presso la casa d’aste londinese dell’anno scorso, e in ultimo l’appello del 31 dicembre per “restituire ciò che è di tutti”, si sia convinto che un oggetto del genere non potesse restare nascosto agli appassionati.
I simboli riportati sul coronamento possono avere un significato molto importante per l’interpretazione delle tradizioni e della spiritualità di chi lo realizzò e/o portò al braccio.
Mi piace anche sognare che il precedente possessore del reperto abbia voluto essere d’esempio e suscitare uno spirito di emulazione per tutti quelli che, come lui, tengono i reperti di famiglia nei cassetti, pur soffrendone la presenza, avendo tuttavia paura di liberarsene.
Oggi stesso ho scritto a Soprintendenza e Carabinieri, per segnalare l’accaduto e mettere a disposizione delle autorità il reperto.
Prima della consegna ho fotografato il bracciale su tutti i lati, per conservarne comunque memoria e rendere pubblica la sua esistenza.

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Problematiche in ordine all’emersione dei reperti archeologici
La vicenda porta a riflettere su alcuni aspetti che riguardano l’esistenza di un enorme patrimonio di reperti conservato nelle case dei cittadini.
Alcuni di questi, a mio avviso, non intendono certamente restituirli ma altri, invece, vorrebbero ma si rifiutano di compiere il gesto della restituzione per le stesse paure provate, presumibilmente, dall’anonimo donatore del bracciale.
In tre anni di post e commenti sulla pagina della Fondazione Nurnet abbiamo capito che l’opinione pubblica sarda, in generale, a volte non apprezza o, a volte, semplicemente, teme l’istituzione. Infatti la narrativa corrente vuole che la segnalazione del possesso comporti, al minimo, il doversi sottoporre a spiegazioni e chiarimenti che, in realtà, sono sempre sul filo della legalità, per cui i più evitano di esporsi.
Esiste anche una corrente di pensiero con cui si afferma la mancanza di garanzie adeguate che i reperti possano realmente essere studiati per poi essere esposti in un museo. La presenza di decine di migliaia di oggetti negli scantinati di musei e soprintendenza, o le chiacchiere in merito alla sparizione di molti di questi, non aiutano certamente il cittadino ad essere probo.
Sarebbe quindi opportuno che il legislatore trovasse una formula che risolvesse una volta per tutte questo problema.

 

Descrizione dell’oggetto

Il bracciale di bronzo riemerso è di forma ellittica frontale e di sezione ellittica trasversale.

La sezione frontale ha il diametro grande interno di mm 52 ed esterno di mm 61; quello minore di mm 44.

La sezione trasversale ha il diametro maggiore di mm 8;  il minore di mm 5, così come, grossolanamente riportato nel disegno sottostante.

L’apertura da cui verosimilmente veniva infilato il polso è di due centimetri, il che, insieme alle misure complessive del bracciale, farebbe pensare ad un abbellimento realizzato per un bambino o per una donna esile, e non certo per il polso di un forte, nerboruto e muscoloso guerriero.

Il metallo, sulle superfici esterne, è fortemente degradato dal tempo e lesionato da scalfitture, in particolare sui lati, dovute verosimilmente ad abrasioni precedenti il suo ritrovamento.

Il coronamento esterno è decorato con dei simboli in bassorilievo ripetuti più volte: nella parte nascosta del polso, con le braccia distese sul corpo, sono riportate simmetricamente 14 figure geometriche che ricordano i cosiddetti Chevron, o denti di lupo, presenti a decoro dell’esedra di tante Domus de Janas della Sardegna e ben noti in tutto il mondo neolitico.

A riempiere la parte alta del coronamento, contigue agli chevron e unenti le due file di essi, precedute da una doppia spirale posta di traverso, una trentina di spirali analoghe a quelle ricorrenti nelle Domus de Janas ma presenti anche nella simbologia nuragica.

Ipotesi sul significato dei simboli

I segni a “V” per la Gimbutas erano l’emblema  “della Dea Uccello sin dal Paleolitico Superiore, derivato da un triangolo (triangolo pubico, vulva)… Uno dei segni principali nelle iscrizioni sacre dell’Europa antica”.

La doppia V potrebbe avere rappresentato “sia il ciclo della Luna, sia l’immagine della vulva (la losanga come vulva è un’interpretazione di C. Henze, condivisa anche dalla Gimbutas). Il simbolo, …composto da due segni a “vu”: uno dritto (V) simbolo del triangolo pubico e uno capovolto (Ʌ) simbolo del tempo che andavano a formare un rombo che ricorda, appunto, una vulva “stilizzata”. (Donatello Orgiu, La Dea Bipenne. M. Gimbutas 1990, p. 325.)

Spiega D. Orgiu nel suo libro che, le due V contrapposte rappresentino il Sole e la Luna, quindi la ciclicità del tempo. “Il simbolo, in entrambi i versi, si presta bene a raffigurare l’idea interiorizzata di un fenomeno che nasce, cresce, raggiunge il suo apogeo per poi diminuire in un eterno salire e scendere… È il cammino del nostro satellite che ha un andamento a zig-zag tra le stelle a cavallo dell’Eclittica simile al modo di procedere del serpente (Cfr. Brennan 1994.)”

E ancora: “Attribuendo il significato di ciclo ai segni a V che compongono sia lo Chevron sia le linee

a zig-zag delle decorazioni, se ne ricavano due diverse immagini del tempo. Mentre le linee a zig-zag restituiscono un’idea di ripetizione, di cicli che si susseguono, lo Chevron invece, essendo formato da una serie di cicli inseriti uno dentro l’altro, trasmette un’idea di un qualcosa che si auto-rinnova…”

 

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Immagine da D. Orgiu (Ibidem)

 

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La presenza della Dea si rivela anche negli Chevron, nei triangoli e nei motivi a  tenda, i quali, in associazione ai simboli che rappresentano  l’acqua (reti, meandri, zig zag, linee parallele, puntini),  sottolineano l’aspetto primario della Dea come dispensatrice e  fonte dell’umidità che dà la vita. Le losanghe, con uno o più  punti al centro, simboleggiano la Dea gravida, il seme nel  grembo materno, la fertilità. Invece segni quadrangolari, spire,  spazzole, uncini, svastiche e vortici sono espressione di  energia oppure stimolatori del processo del divenire. Salendo,  scendendo o muovendosi in circolo, essi simboleggiano il  tempo ciclico.

(http://culturadaunia.altervista.org/)

Gli antichi popoli nordici, i nativi del nord america, gli uomini primitivi dell’Africa, i primi popoli mediterranei e le civiltà precolombiani usavano il simbolo della spirale per descrivere i movimenti del Sole.  La spirale e la doppia spirale rappresenta il Sole nel suoi ciclici movimenti stagionali nel cielo. Anche se gli antichi potevano vedere soltanto il percorso che il Sole compiva durante il giorno, immaginavano che facesse lo stesso anche sotto l’orizzonte, dato che lo vedevano comparire la mattina seguente dalla parte opposta.

(http://civiltaanticheantichimisteri.blogspot.it/2015/08/significato-dellantico-simbolo-della.html)

il significato della Spirale si lega ai concetti di emanazione, estensione, sviluppo e in particolare all’idea di continuità ciclica progressiva e a quella di creazione, espresse dalla rotazione. … Essa è perciò anche un simbolo di energia e di fecondità, acquatico e lunare. In molte culture essa rappresenta il viaggio dopo la morte. …

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Reperti simili nei musei della Sardegna

Dal blog http://monteprama.blogspot.it/2013/04/nuragico-o-altomedievale-questo-e-il.html si apprende dell’esistenza di pochissimi altri bracciali nei musei della Sardegna.

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Immagini sopra – A sx, sec. IX-VIII a.C. bronzo fuso, inciso, Ø max 6,5 cm, Sassari, Museo Nazionale “G.A. Sanna”. Bracciale a capi aperti; presenta tracce di decorazione incisa sulla superficie esterna; rinvenuto a Posada, presso il nuraghe Pizzinnu, località Abba.

A dx, Bracciale, sec. IX-VIII a.C. bronzo fuso, Ø max 7 cm, Sassari, Museo Nazionale “G.A. Sanna”. Bracciale a fascia; 5 linee sono incise sulla superficie esterna, parallele ai margini; rinvenuto a Posada, presso il nuraghe Pizzinnu, località Abba

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Immagine sopra – Nell’immagine sopra bracciale in argento esposto al Museo Nazionale Sanna di Sassari in una bacheca contenente oggetti di epoca medievale. Lo stesso tuttavia al museo di Irgoli (Nu), paese dove l’ oggetto fu ritrovato è indicato fra i 20 manufatti d’argento oggi conosciuti di età nuragica (ibidem).

Conclusione

Il bracciale di bronzo qui descritto è di epoca incerta, anche se il racconto del ritrovamento sembra farlo risalire a un corredo funebre interno a una tomba dei giganti di epoca nuragica.

I simboli in esso rappresentati appartennero alla Sardegna già nei periodi di Bonnannaro e Abealzu, Ozieri, Filigosa, e in letteratura vengano indicati come i simboli che rappresentavano entrambi i cicli della vita, della rigenerazione, Sole e Luna, Uomo e Donna. In buona sintesi un simbolo di augurio portato al braccio in vita che avrebbe avuto ancora più senso nella post vita per la speranza o certezza di rinascita e rigenerazione.

La sua restituzione può portare un ulteriore elemento di conoscenza dell’Antica Civiltà Sarda.

NURNET

Antonello Gregorini

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