Cagliari e gli antichi approdi

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di Giorgio Valdès

Mi è capitato recentemente d’incontrare il professor Vincenzo Santoni, già Soprintendente per i beni archeologici delle province di  Cagliari e di Oristano e ad interim delle province di Sassari e Nuoro. La nostra conversazione si è tra l’altro indirizzata sulle ricerche archeologiche subacquee effettuate da Nicola Porcu, caro amico e socio fondatore Nurnet recentemente scomparso, e quindi sull’ipotesi, sostenuta dallo stesso Nicola, di una diffusa dislocazione di porti nuragici lungo l’intera fascia costiera della Sardegna. Il professor Santoni, a questo proposito, mi ha segnalato un suo articolo, pubblicato qualche tempo fa sul sito dell’Autorità Portuale di Cagliari, che propongo qui di seguito per la parte che sintetizza la situazione degli approdi, in parte presunta, del litorale cagliaritano.

“Le ricerche di archeologi del XIX e del XX secolo hanno fornito un quadro conoscitivo relativamente chiaro sulle preesistenze preistoriche che investono il territorio  urbano di Cagliari. Esse sono distribuite in gran numero sul promontorio di capo S.Elia / Calamosca, con diversi  contesti culturali compresi dal neolitico a ceramiche impresse cardiali dell’area medio – tirrenica (VI mill. a.C) sino all’orizzonte del Bronzo Finale della Grotta dei Colombi (fine XII, inizi IX sec.a.C.). In area urbana, si registrano contesti del neolitico antico di Viale Bonaria, del neolitico antico medio a microliti geometrici dello stagno di Santa Gilla,  del neolitico finale proto eneolitico (fine IV/inizi III mill. a.C.) di Viale Trieste, di via Po / via Brenta (scavi Tronchetti/1993), di via Is Maglias, di Su Planu – Su Pirastru, di Cuccuru Biancu e di Cuccuru Serra. L’orizzonte eneolitico del San Michele attardato (I metà del III mill. a.C) è presente in stazioni di Monte Urpinu, di Terramàini, di Serdiana e di Su Coddu di Selargius e in contesto di plausibile derivazione funeraria dal colle di Bonaria. L’ambito eneolitico di cultura Monte Claro è attestato lungo sezioni parietali di via Is Mirrionis e nelle tombe  Villa Claro / Ospedale psichiatrico, in via Basilicata e a  Sa Duchessa. Le presenze  nuragiche sono limitate a reperti sporadici,  teste di mazza e macinelli litici sui colli di San Michele e di Tuvixeddu, una testa di mazza in andesite dalla grotta di Santa Restituta  ed una forma di fusione litica di via Po, via Brenta (scavi Tronchetti, 1993); nella periferia orientale di Pirri è noto il villaggio di Is Bingias/Terramàini, del BR/BF (XIII – X sec. a. C.).

Volendo individuare i siti di possibile approdo in età preistorica, sono utili le valutazioni del Pecorini, nell’analisi geomorfologica di S.Igia e di altri contesti insediativi dell’evo antico (Nora, Tharros, Bithia, S.Andrea di Quartu S.Elena), interessati da fenomeni di sommersione, e dove il sostrato geologico è rappresentato dalla c.d. panchina tirreniana; facendo riferimento  alla Cagliari attuale, essa si estendeva dalla piazza del Carmine fino a S.Avendrace – Fangario”, areale cittadino  nel cui sottosuolo  esiste una falda freatica da cui attinge il pozzo comunale più ricco d’acqua della città, presso il Mercato, all’angolo con via Nazario Sauro.

Su uno dei tratti della corrispondente linea costiera dobbiamo ipotizzare l’area di  approdo per i prenuragici e nuragici; ciò  alla maniera di quanto poi potrà verificarsi per gli orizzonti fenicio e punico e per le scelte portuali successive dell’evo antico, sino al momento attuale,  con i graduali scostamenti “solo lungo la sponda occidentale del promontorio calcareo di Tuvixeddu S.Elia”, che “presentava una piattaforma ospitale e accessibile”. I ritrovamenti preistorici  di viale Trieste, di via Po / via Brenta e di Tuvixeddu, bene si  coniugano con la ipotesi  di dislocazione del porto lungo il tratto costiero compreso fra via S.Avendrace – Fangario.

Come è noto, sono rari e parziali i ritrovamenti subacquei di reperti preistorici intorno all’isola. Uno di essi è riferibile ad un relitto nuragico “di imbarcazione che trasportava, tra l’altro, un carico di piombo”, non lungi dal Rio Dom’e S’Orcu di Arbus, a non più di 200 m. dalla costa. Altri ritrovamenti sono dati dalle  ancore di pietra di Nora, con un foro, utili per l’ ormeggio, secondo la lettura datane dal Cassien e da altre due  ancore, con un foro di Plage ‘e Mesu di Gonnesa, confrontate con quelle restituite, presso le coste della Turchia, dai relitti di Ulu Burun, naufragato intorno allo scorcio del XIV sec. a.C. e di Capo Gelidonia, del c.d. Tardo Elladico IIIB /IIIC, con reperti compresi fra il 1300 e il 1050 a.C. e di Porto Cugnana di Olbia. Altri ritrovamenti costieri di ancore litiche subtrapezoidali a tre fori, c.d. composite,  interessano l’isola della Bisce presso La Maddalena e i centri di Stintino e di Santa Teresa di Gallura. Una testa di mazza in roccia dura, del tipo abbastanza comune nei siti nuragici dell’entroterra del golfo di Cagliari del BR/BF,  fu rinvenuta intorno alla metà degli anni “80 del secolo scorso dall’Ispettore Onorario Sig. Nicola Porcu, nei fondali marini presso punta Piscinnì di Teulada. Non è da escludere l’ attribuzione ad ambito nuragico dei due esemplari di ziri rinvenuti nelle acque di Villasimius, rapportabili in linea di massima con i noti ziri del Bronzo Finale e/o I Età del Ferro.

In merito alla fisionomia delle imbarcazioni in uso in età preistorica, per l’ambito prenuragico non è erroneo fare riferimento al relitto culturale dei fassois o fassonis  di Cabras, già documentato in uso, insieme con riscontri etnologici nella balsas peruviane del Lago Titicaca,  su documento dell’Archivio di Stato  di Cagliari del 12 dicembre 1616, e forse già rappresentato sui graffiti parietali dell’ipogeo di San Salvatore di Sinis, secondo la lettura datane da D.Levi, per riconoscervi il possibile  modello di imbarcazione idoneo per le attività di pesca all’interno dello stagno di Santa Gilla e in aree prossimali del golfo, già da età preistorica.  Altra imbarcazione proponibile per la sua adattabilità in aree lagunari e sub costiere è data dalla piroga del neolitico antico del Lago di Bracciano, ricavata da un tronco di quercia, con molta probabilità quercia – rovere (Quercus sessilis Ehch), inquadrata in termini di cronologia calibrata intorno al 6565  +/- 64 B.P., cioè al 5450 a. C..

Nulla sappiamo delle imbarcazioni neolitiche che  hanno portato l’ossidiana sarda in regioni  centro – settentrionali della penisola italiana, in Corsica e nel Midì francese e, nell’eneolitico avanzato, i frammenti di vasi tripodi  Abealzu che approdarono  in piazza della Signoria di Firenze. Nulla sappiamo sulle imbarcazioni che, fra l’eneolitico finale e il Bronzo Antico (fine del III / inizi del II mill. a.C.) hanno introdotto in Sardegna le idee e le sollecitazioni  di cultura campaniforme, perchè poi venissero rielaborate nel segno e nel timbro isolano  e  ritrasmesse nel Bronzo Antico, insieme con altri inputs  culturali del megalitismo dei nuraghi a corridoio, in direzione del versante centro occidentale della Sicilia, come stimoli  per la realizzazione dei sesi di Pantelleria e per l’attivazione del campaniforme siciliano, secondo le attendibili ipotesi di lettura proposte di recente da S.Tusa.  Disponiamo invece di sufficienti informazioni sulla tipologia delle imbarcazioni preistoriche e protostoriche  in uso nel  Bronzo Finale (fine XII – inizi IX sec. a.C.)  e nella prima Età del Ferro (inizi IX, metà VIII sec. a.C.),  stante la ricca documentazione di modellini di barchette in bronzo, di varia provenienza da santuari e da edifici di culto; tali barchette sono la trasposizione dal reale di ben articolati tipi formali, di barche e navi a fondo piatto e di navi a scafo tondo della classificazione di Marco Bonino, “corrispondenti alle sutiles naves, “navi cucite” documentate dall’età arcaica all’età romana”.

Il tipo di imbarcazioni dovette essere utilizzato per i collegamenti trasmarini con l’ambito Ausonio II di Lipari, forse proprio a partire dal golfo di Cagliari e/o da Oristano, e più in generale  dalla Sardegna e per i collegamenti con le restanti aree del Mediterraneo, in aree villanoviane di Etruria, in Campania e Calabria, a Kaniale Tekkè di Creta, a Cartagine, e nella penisola iberica, a El Carambolo, a Huelva e a Gadir. Non è escluso che tali imbarcazioni o affatto simili siano state utilizzate per i collegamenti trasmarini con l’Ausonio I di Lipari, con Cannatello di Sicilia, e con Kommos  a Creta, nel quadro del Bronzo Recente di XIII – XII sec. a.C.. E’ in questo periodo che i contesti micenei del XIII/XII sec. a. C. arrivano all’Antigori di Sarroch, nel cuore pulsante del golfo di Cagliari, insieme con la ricca produzione della ceramica grigia dell’entroterra del Campidano, assimilabile a quella prodotta in aree meridionali della penisola italiana, a  Broglio di Trebisacce (Cosenza)…”.

 

Nell’immagine: la Grotta dei Colombi (Cagliari – S.Elìa).