di Giorgio Valdès
Il paese di Giave, anticamente chiamato Jaffes, trae probabilmente il suo nome da Jahwè, parola con la quale gli ebrei designavano il loro Dio ma che, secondo alcune teorie, potrebbe anche indicare il Dio unico dei sardi nuragici. Il territorio, compreso nella regione storica del Meilogu, presenta interessanti rilievi, come la “Pedra Mendalza”, esempio di antico condotto vulcanico formato da lava consolidata, che le intemperie hanno quindi “ripulito” dalla terra circostante. Lo stesso territorio si caratterizza, tra l’altro, per la presenza di moltissime testimonianze dell’età del bronzo, tra le quali va sicuramente menzionata la vasta struttura di “Oes”, in merito al quale l’archeologa Lavinia Foddai osserva che “ include un nuraghe complesso con antemurale, un esteso villaggio, una tomba di giganti ed un’area con tempio ‘a mègaron’ ed annesso recinto. Il nuraghe, noto sin dall’Ottocento e rilevato dal Lamarmora, è costituito da una torre principale alla quale si addossa un bastione che include due torri secondarie ed un cortile”. A questa costruzione ciclopica si era interessato, oltre che il Lamarmora, anche il naturalista e botanico nizzardo Jean Baptiste Barla (1817 – 1896), giunto in Sardegna, nel 1841 per incontrare la sorella Luigia, moglie del capitano dei Granatieri di Piemonte Bruno Boglione, allora di stanza a Cagliari. A Barla si deve la tavola a colori che ritrae appunto il nuraghe Oes, che tuttavia sembra ricalcare il disegno prospettico del monumento, a suo tempo rilevato dal Lamarmora.