di Giorgio Valdès
Riproponiamo volentieri quest’articolo di Fiorenzo Caterini dedicato a Giovanni Lilliu e pubblicato su Sardegna Blogger ieri, 13 marzo 2016, centoduesimo anniversario di nascita del nostro grande archeologo (13 marzo 1914).
“Giovanni Lilliu, figura centrale dell’archeologia e più in generale della cultura sarda del ‘900, nasce il 13 marzo del 1914 a Barumini, il paese del sito nuragico considerato, oggi, grazie ai suoi scavi, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Lilliu sapeva, fin da ragazzo, che quella collinetta disseminata di pietre doveva in realtà essere qualcosa di grandioso, che aveva a che fare con gli spiriti ancestrali dei sardi. Un destino che, fin dalla nascita, univa la passione dell’uomo con la storia antica dell’isola. Ora, dei meriti scientifici e culturali di Lilliu, dei suoi riconoscimenti, del suo essere stato nominato Accademico dei Lincei e Sardus Pater, si è detto già tutto. Meno conosciute sono, forse, le sue battaglie a favore di una Sardegna libera da “i teorici della megalopoli, il mandarinato politico inquinato dal denaro, certi tecnocrati schiavi della propaganda programmatoria” e contro “un’opinione pubblica distratta o estraniata o corrotta da un’informazione monopolistica cui l’area della democrazia e della libertà non ha saputo trovare ancora mezzi di una necessaria controinformazione.”
Lilliu ha sempre levato la sua voce contro gli obbrobri, gli sconci edilizi non solo sul mare, ma anche nelle zone interne. Tuttavia, oggi, l’opera di Lilliu, sia quella scientifica che culturale, è sottoposta, in alcuni ambienti culturali e politici, ad una profonda opera di revisionismo critico, che non risparmia, del resto, molti intellettuali del passato, in particolare quelli di riferimento dell’area nazionalista.
Lilliu paga certamente il fatto di essere stato per mezzo secolo l’archeologo di rifermento dell’accademia, della scienza ufficiale, oggi accusata di aver sottovalutato e persino occultato, per ragioni di stato, l’importanza della civiltà nuragica e di altre importanti emergenze storiche della cultura sarda.
Personalmente ho rimproverato a Lilliu e in genere agli intellettuali sardi di quegli anni, quella sorta di determinismo vittimista, che dipingeva l’isola come aspra e povera per natura, e che forgiava esseri umani destinata ad una vita condizionata da quella natura matrigna, dove banditi e pastori finivano per essere il frutto di una condizione geografica piuttosto che della storia. Un clima generale che finì, nella stagione della cosiddetta politica contestativa e dei piani di rinascita, per creare un condizionamento nella cultura politica e nell’immaginario collettivo, un complesso fatalistico che richiamava scelte di politica economica improntate su modelli di sviluppo di importazione. Era l’epoca in cui gli intellettuali provavano, con gli strumenti culturali del contesto, a risollevare la Sardegna da quella idea artefatta dell’egemonia culturale italiana che voleva i sardi arretrati e incapaci di progredire.
Oggi, con il senno di poi, possiamo incolpare, in parte, gli sforzi difensivi di quegli intellettuali, per essere, insomma, restati comunque dentro quella retorica, di non avere respinto le accuse come irricevibili, di aver cercato attenuanti piuttosto che scardinare i presupposti del discorso egemone.
Con il senno di poi.
La Costante Resistenziale di Lilliu è, oggi, con uno scarto forse eccessivo, generalmente considerata un pacchetto obsoleto, ridotto a favoletta mitologica. Ed in effetti, se leggiamo l’articolo del Babai Lilliu, ci rendiamo conto che la sua teoria è viziata da numerosi presupposti errati, come quello che vede la resistenza dei sardi raccogliersi attorno alle genti di montagna. E’ chiaro che Lilliu vorrebbe in qualche modo, giustificare, agli occhi dei “mainstream” dell’epoca, le intemperanze delinquenziali della Sardegna interna. La tensione giustificativa degli intellettuali dell’epoca, portava evidentemente a delle deformazioni.
Per noi, oggi, fuori da quel contesto, viene difficile comprendere. Cornus, infatti, non era in montagna, e Amsicora non era un pellito. Le decine di migliaia di morti che i romani proclamavano nei loro trionfi, non potevano provenire solo dalle aspre zone montagnose dell’isola. La resistenza, durata oltre un secolo, dei giudicati sardi, grazie anche al lavoro della Fondazione Sardinia, è stata rivalutata nella sua dimensione di lotta anche popolare e sarda. Generazioni di sardi, infatti, all’epoca hanno combattuto facendosi macellare dagli Spagnoli, pur di non lasciare nelle loro mani la propria isola. E che dire degli Arabi che, unico caso nel Mediterraneo, non sono riusciti a conquistare l’isola? Chi li ha respinti gli arabi, i pelliti barbaricini o i contadini delle coste a costo di enormi perdite umane? E i francesi napoleonici che, a La Maddalena e negli stagni quartesi sono stati cacciati a pedate, nonostante l’arrendevolezza e lo scetticismo piemontese, cos’erano, tutti barbaricini? E gli eroici fanti della Brigata Sassari erano sardi, mica solo barbaricini, e i decorati venivano da ogni parte dell’isola, anche dalle pianure.
Persino il Lilliu archeologo è stato certamente condizionato da quel clima di accusa nei confronti dell’arretratezza sarda, tanto da finire, anche lui, per immaginare sardi chiusi nella loro isola a litigare tra di loro, con le loro fortezze, in una perenne guerra civile. Una cosa che, secondo le acquisizioni dell’antropologia culturale, avrebbe distrutto la civiltà nuragica in pochi decenni, quando invece è durata ben oltre un millennio.
Queste cose, Lilliu, le ha dette negli anni ’60. Poi, nel corso degli anni, ha ammesso di essersi parecchie volte sbagliato, come nel caso dei sardi che, secondo lui, non navigavano. Insomma, nel corso degli anni, in un certo senso, Lilliu ha finito per dare ragione a chi oggi gli dà torto. E di questo occorre tenerne conto. Anche perché molte responsabilità, se alcune teorie non sono state emendate e rilette alla luce del contesto, sono nostre.
Mi pare di cogliere, in questo senso, un vizio accidioso che scarica sul passato colpe intellettuali che, invece, sono del presente. Anche perché, dalla scure del revisionismo, non si scampa. Chi mi dice che in futuro certe retoriche oggi tanto di moda, certi accenti esageratamente vittimistici della cultura sarda odierna, certi slogan più buoni per i media che per la cultura, non verranno considerati dagli intellettuali di domani come nocivi per la rinascita sociale ed economica dell’isola.
Pensiamoci, quando facciamo un po’ i saputelli, con il senno di poi, nei confronti di Lilliu e di altri”.
Nella foto di Nicola Castangia: Barumini, il nuraghe denominato “Nuraxi ‘e Cresia”, su cui venne eretta la “Casa Zapata”.