I NURAGHE DI SARDEGNA di Danilo Scintu 4^

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 Aristotele in de Mirabilis Ascultazionibis, scrive che i sardi usavano praticare il rito terapeutico di incubazione presso le tombe degli Eroi divinizzati, che consisteva nel dormire sotto pozione soporifera per cinque giorni. Al risveglio una sacerdotessa interrogava l’incubato sui sogni e dava il suo responso nascosta all’interno di spazi sopraelevati comunicanti, senza essere vista. Vi sono esempi di nuraghi come i S. Barbara di Villanova Truschedu in cui la superficie della camera cupolata terrena è di oltre 40 mq (circa 7 metri di diametro) e durante le cerimonie poteva contenere anche un centinaio di persone in piedi.

Le cortine esterne del polilobato presentano generalmente i massi poliedrici e l’andamento in alzato del muro risulta avere minore inclinazione della torre centrale. Benché a prima vista le addizioni appaiano meno lavorate della torre centrale del nuraghe, nell’epoca di creazione dei complessi la tecnica costruttiva ebbe un grosso sviluppo raggiungendo quasi la verticalità col materiale poliedrico.

Con l’espansione della gente nuragica e della tecnica poliedrica nel Mediterraneo, si diede il via alla realizzazione delle mura poligonali del centro Italia e della Spagna, di Atene e Micene, mura che per la loro unicità sono attribuite ai Tirreni e ai Pelasgi, ovvero i mitici Popoli del Mare. L’uso del materiale ciclopico e poligonale è sinonimo d’evoluta tecnica costruttiva, era uno stile molto in voga a occidente e piacque anche all’oriente acquistando poi numerosi consensi nel mondo come in Perù ed in Africa. Il megalitismo impiegato nelle fabbriche della Sardegna nuragica, dagli archeologi è definito “barbaro”, ma in realtà è quello Atlantideo descritto da Platone nel Crizia e nel Timeo, quando parla riferendosi ad Atlantide appunto. Atlantidei, Tirreni, Pelasgi, Feaci, sembrano abiti mitologici che la Sardegna indossa perfettamente soprattutto se si riflette sul fatto che è l’unico luogo al mondo dove si costruirono con densità altissime 10.000 complessi turriti con la bicromia, le prime piramidi, migliaia di grotte artificiali, di dolmen, di templi a pozzo e di tombe dei giganti.

La costruzione delle grandi strutture polilobate nelle diverse aree dell’isola, ha implicato assieme al crescente benessere, dei grossi cambiamenti nel sistema urbanistico e sociologico, arrivando in alcuni casi a costruire una sorta di villaggio continuo, frammentato dai campi coltivati. Nella sola penisola del Sinis sulla costa centro occidentale dell’isola, si può osservare tanto dispendio edificatorio con 218 nuraghi in un territorio di soli 40 kmq, ciascuno col villaggio intorno.

I nuraghi e la luce

La ripetizione ciclica del tempo all’interno del nuraghe, avveniva attraverso la luce del sole o della luna che si rapportava all’aperture astronomicamente orientate verso un punto significativo, una stazione all’alba o al tramonto dei due più importanti astri. Per alcuni giorni dell’anno, il sole sostava in linea con l’ingresso per poi ripresentarsi dopo 365 giorni. Che i nuragici avessero non solo un calendario solare ma anche uno lunare è dimostrato dall’analisi delle Pintaderas (i marchi decorativi per il pane) veri e propri calendari perpetui ( N. Di pasquale 2008).

All’anno lunare di 13 mesi di 28 giorni ciascuno, siamo legati naturalmente poiché con esso vengono misurate le durate del fenomeno fisiologico femminile di un mese lunare oppure il periodo di gestazione del feto o ancora i cicli produttivi dell’agricoltura. In questo modo i periodi di tempo osservati, sarebbero diventati una base per il calcolo astronomico di orientamento, aiutati dai punti di riferimento naturali presenti all’orizzonte o costruiti per l’occasione. L’importanza dell’orientamento astronomico dell’edificio naturalmente non ottemperava solo alle esigenze di conoscenza del tempo, ma ad esso si associavano alcuni suggestivi eventi luminosi all’interno delle camere. All’interno del nuraghe S. Barbara di Villanova Truschedu la cui sala presenta due nicchioni laterali, dalla finestrella posta sopra l’architrave d’ingresso, il raggio di sole nel solstizio invernale forma sul muro della camera interna la forma di una protome taurina L’impiego della luce qui assurge al significato del sacro in quanto è il segnale dato dall’astro, il tempo della purificazione e rigenerazione.

Alla nicchia frontale del primo piano del nuraghe Aiga di Abbasanta, è destinato invece il fascio di luce che proviene dalla “finestra” in cima alla cupola. Dall’apice, il sole entra illuminando la nicchia frontale all’ingresso per alcuni minuti e successivamente illumina quella posta a lato.

Similmente all’Aiga, anche all’interno della sala cupolata del nuraghe is Paras di Isili, il sole lambisce perfettamente la base della sala per alcuni minuti seguendo una traiettoria circolare. In tutti questi casi il rapporto di base della sala e l’altezza della cupola formano un angolo di sedici gradi. Anche l’inclinazione del paramento esterno di alcuni nuraghi come sa Jua di Aidomaggiore è di circa 16 gradi dalla verticale. Questi nuraghi, come una meridiana nel giorno del solstizio d’estate, non hanno la loro ombra quando il sole raggiunge il suo punto più alto al passaggio in meridiano. L’inclinazione della maggioranza dei nuraghi, è però di 11 gradi rispetto alla verticale, pari all’inclinazione della luna alla sua massima declinazione positiva. L’evento astronomico questa volta si dimostra di notte ogni 18 anni e mezzo.

Tutto il mondo religioso sardana si basava sulla realtà esistenziale dello spirito, perciò l’articolazione architettonica delle torri sviluppò il concetto di “smaterializzazione”. La smaterializzazione venne intesa come funzione della luce, una manifestazione divina. L’uomo nuragico “costruì” la luce, il fenomeno meno tangibile della natura che manifestava la sua peculiarità spirituale proprio perché visibile ed inafferrabile.

Danilo Scintu

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