I nuraghi secondo il Nissardi

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di Giorgio Valdès
Allievo di Giovanni Spano, stimato collaboratore del Mommsen e di Antonio Taramelli, Filippo Nissardi (Cagliari 1852-1922) ha operato all’interno della Direzione degli Scavi di Antichità della Sardegna a partire dal 1877 fino al pensionamento per raggiunti limiti di età (1921)…La sua formazione tecnica – era infatti perito agrario agrimensore, una sorta di geometra –gli consentì di effettuare precisi rilievi e disegni di architetture e di reperti che rimangono ancora oggi documenti attendibili e preziosi.
Quanto appena scritto fa parte della presentazione di Filippo Nissardi (al tempo considerato il “massimo esperto” dell’età nuragica) contenuta nella collana “I Tesori dell’Archeologia” a cura di Alberto Moravetti, edita dall’editoriale Carlo Delfino nel 2011.
Lo stesso volume comprende un capitolo scritto dal Nissardi nel 1903 e titolato “I nuraghi non sono tombe”, da cui abbiamo tratto il brano che segue:
“Talora il Nuraghe si trova presso i centri metalliferi (omissis); il che indicherebbe l’industria metallurgica esercitata da quella tribù. Ciò che è confermato per alcuni di essi, per esservisi trovati prodotti propri dell’arte fusoria. Finalmente il Nuraghe sorgeva in seno alle ridenti vallate ed in fertili pianure, irrigate da fiumi e ruscelli, ricche di limpide fonti e laghetti, molti dei quali oggi trasformati in paludi e pantani, a causa delle azioni lente e continue della natura. (Per sincerarsi di questo asserto vedansi i Nuraghi di ‘Campu Giavesu’ e tutta la vallata di Bonorva e Torralba e si fissi l’attenzione al nuraghe di ‘Santu Antine’ ed a quello di ‘Oes’, i quali Nuraghi furono rilevati in parte dal Della Marmura e di recente anche da me. Quest’ultimo nuraghe serba il dolce ricordo del compianto nostro Re Umberto, addì 18 Aprile del 1899, volle calcare quei vetusti ruderi assieme alla sua degnissima consorte Margherita).
Questo genere di nuraghe rappresenterebbe, secondo me, il centro di una colonia agricola che dalle biade e dalle altre coltivazioni in genere traeva sostentamento e ricchezza.
D’ordinario questi ultimi tipi erano di vasta mole e molto complessi, perché disponevano di un’area circostante più comoda di quelli posti in luoghi scoscesi, e perché appunto quivi le industrie agrarie più sviluppavano e richiedevano uno spazio maggiore per custodirne il frutto.
Può dirsi perciò che i medesimi rappresentavano il vero centro del villaggio o dei villaggi riuniti in confederazione con gli altri che occupavano le alture; i quali tutti aspiravano ad uno stesso scopo di reciproca difesa e di mutuo ausilio.
Per lo più attorno a questi Nuraghi, o da lì poco discosti, trovansi altri ruderi e fondazioni in grosso pietrame, che accennano a muri di capanne e ad altri recinti circolari e quadrangolari che io ritengo opere coeve all’edificio principale. Questi ruderi nel loro complesso col Nuraghe, conservano tuttora la denominazione di ‘biddazza’ (piccolo villaggio). Si direbbe che tale denominazione data dal popolo sia la conferma della primitiva loro destinazione. La ‘Biddazza’ era composta, oltre che dal Nuraghe o castello, di una riunione di capanne e di recinti, atti a contenere tanto la servitù dipendente dal capo, quanto il bestiame grande e minuto, costituente la sostanza della colonia agricola. Questi deboli casolari, ricoperti di frasche, pelli o cortecce d’alberi , dovettero cedere naturalmente nel corso di tanti secoli alle ingiurie del tempo o dell’uomo, solo lasciando superstite, quale scheletro colossale, l’enigmatico Nuraghe, con attorno quelle preziose reliquie inosservate e non curate dall’occhio profano.
In varie di queste ‘biddazzas’ della Nurra ho raccolto, oltre ai rifiuti di pasto, macine, macinelli, ed altri oggetti inerenti alla vita dell’uomo all’epoca dei Nuraghi.
Gli attuali ‘stazzi’ (stazioni) della Gallura e delle Nurre, gli ‘oddeus’ o ‘furriadroxius’ del Sulcis, rappresenterebbero per l’appunto tali antiche ‘biddazzas’, trasformate dai tempi e dai costumi in veri centri d’industria rurale…”
Nella foto di Bruno Sini: il nuraghe Santu Antine di Torralba e, sullo sfondo, l’Oes di Giave