di Giorgio Valdès
Tengo a premettere che le considerazioni seguenti non hanno alcuna pretesa scientifica ma sono da considerarsi come pensieri ad alta voce che conseguono alla personale convinzione di un lungo e frequente rapporto tra le antiche popolazioni della Sardegna e quelle dell’Egitto faraonico. In un post pubblicato sul portale Nurnet, di cui al link riportato a fine pagina, si era osservato come in alcuni vasi rinvenuti nell’area archeologica di S.Anastasia a Sardara (ma anche in altri vasi provenienti da Villanovaforru), fossero incisi interessantissimi ed originali segni il cui significato complessivo, se raffrontato alla grafia geroglifica, potrebbe essere “ra-hm-n” o “ra-hm-mw”, evidentemente simile alla parola “rame”. Una tale ipotesi è inoltre rafforzata dal fatto che la coppa che compare in evidenza sulla superficie del vaso, aveva il corrispettivo in un ideogramma geroglifico (“buca con acqua”- N 41 della lista Gardiner), che nella terra dei faraoni designava sia l’utero materno che il rame.
Tanto premesso è curioso osservare come i simboli grafici riportati sul vaso di S.Anastasia e la loro sequenza, dall’alto verso il basso, presentino una certa similitudine con quelli dipinti su di un vaso, come anche sopra un frammento di vaso conservato al museo del Louvre, entrambi risalenti alla dinastia egizia “zero” (3150-3100 a.C.). Siamo alla fine dell’età predinastica, quando tra i regnanti egizi si annoverava anche il così detto “Re Scorpione”. Mi permetto una piccola digressione: la dinastia zero segue il periodo storico denominato “Naqada II”, cui si era accennato in alcuni precedenti post per le “supposte” analogie tra i disegni riportati su alcuni vasi, nonché su una pittura parietale di Hierakonpolis, e i petroglifi incisi all’interno della “tomba delle corna” di Montessu a Villaperuccio:
Gepostet von Nurnet – La Rete Dei Nuraghi am Samstag, 18. Juni 2016
Per tornare al vaso di S.Anastasia, nella parte superiore sono visibili tre elementi proiettati verso l’alto che potrebbero interpretarsi come tre torri nuragiche (con quella centrale svettante), attraverso le quali si suppone penetrasse la luce del sole (i cerchielli) che dopo aver traversato l’utero materno (la coppa), andava ad intercettare l’acqua (la greca), prima fonte di vita.
Si tratta probabilmente della stessa allegoria riprodotta in un modellino di nuraghe, conservato nel museo Sanna di Sassari, che presenta cinque propaggini che partendo dalla base di altrettante torri, convergono su una sorta di disco che potrebbe rappresentare l’acqua (secondo un’altra teoria si tratterebbe di una base o di una sistema di ancoraggio a un non meglio precisato supporto; interpretazione comunque poco convincente).
Le incisioni impresse sul vaso di S.Anastasia, richiamano a loro volta quelli del vaso Ka, in cui sono presenti i tre segmenti sormontati da cerchielli, la buca con acqua e la greca, che parrebbero avere un significato analogo a quello inciso sul nostro vaso.
Azzardo infine un’altra considerazione, che auspico sia accolta benevolmente, provenendo da un semplice ma altrettanto “curioso” appassionato. Se, come ipotizzato in altra sede, il così detto pugnale bipenne presente su numerose statue stele conservate nelle sale del museo di Laconi, non fosse tale ma potesse assimilarsi all’emblema del dio itifallico Amon Min, interpretato come “utero” (R 22 della lista Gardiner), anche su questi menhir -dove il sovrastante “tridente” viene generalmente inteso come “rovesciato” (l’anima dell’uomo che ritorna alla madre terra, riprodotto anche all’interno di alcune domus de ianas come quella di Sas Concas a Oniferi)-, potrebbe rinvenirsi lo stesso concetto di rinascita, intimamente connesso al grembo materno, che informava lo spirito religioso degli antichi sardi.
http://www.nurnet.it/it/1085/min_di_beninti_i_latini!.html