di Giorgio Valdès
Si è avuto modo, in varie occasioni, di parlare delle differenti interpretazioni attribuite all’utilizzo dei nuraghi, potente simbolo della nostra remota ed altrettanto unica civiltà. Massimo Pittau, in un articolo titolato “L’Impero Coloniale dei Sardi Nuragici”, nel proporre il suo punto di vista che rigettava “la tesi dei nuraghi interpretati come ‘castelli’ e ‘fortezze’”, scriveva in particolare che “ il nuraghe in realtà non era altro che l’’edificio pubblico cerimoniale’ per eccellenza di ogni tribù o di ogni piccolo insediamento umano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano tutte le funzioni principali che scandivano la vita degli abitanti: cerimonie e riti di nascita, della pubertà, dei matrimoni, di incubazione, di vaticinio e di oracolo, stipula di contratti e di patti, rimedi contro le calamità naturali, rimedi contro le malattie degli uomini e delle bestie, riti e cerimonie per la morte degli abitanti. In effetti il nuraghe corrispondeva insieme e contemporaneamente alle odierne ‘casa comunale’ e ‘chiesa parrocchiale’ di ogni centro urbano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano – in perfetta sintonia profano-religiosa, come avveniva dappertutto in quei secoli – tutte le citate funzioni comunitarie. Caduta e ormai quasi del tutto abbandonata la tesi della destinazione militare dei nuraghi, adesso finalmente siamo in grado di mostrare e dimostrare che invece una loro ‘politica esterna od estera’ i Sardi Nuragici l’hanno indubbiamente attuata e addirittura nella forma di un ‘espansionismo’ esplicato a 360 gradi in tutte le terre del Mediterraneo occidentale che circondavano la Sardegna”.
In forza di questo assunto il professor Pittau descriveva sinteticamente le direttrici espansionistiche dei sardi nuragici lungo le rotte del Mediterraneo Occidentale. Dal suo articolo è tratto questo brano riferito ai rapporti tra la Sardegna e le isole Baleari.
“ Circa l’espansionismo dei Sardi Nuragici nel Mediterraneo occidentale interviene una importante notizia di Stefano di Bisanzio, il quale parlando delle Baleari le definisce «isole tirreniche» e «isole attorno alla Tirsenia» (perhì tēn Tyrsēnían) (StSN § 55). A questa notizia i moderni studiosi della civiltà degli Etruschi – come abbiamo visto, chiamati anch’essi Tirreni o Tirseni in virtù della loro parentela coi Sardi Nuragici o Tirreni/Tirseni della Sardegna – non hanno attribuito mai alcuna importanza, anzi l’hanno lasciata cadere del tutto. E ciò è avvenuto evidentemente perché già a prima vista risulta molto problematico accettare la tesi di una presenza dei Tirreni dell’Etruria nelle troppo lontane isole Baleari e inoltre queste non risultavano affatto «attorno all’Etruria». Quella notizia di Stefano di Bisanzio invece può e deve essere accettata come fondata, purché si ritenga che i Tirreni presenti nelle Baleari fossero non gli Etruschi della lontana Penisola Italiana, bensì i loro consanguinei Tirreni della vicina Sardegna e inoltre che la «Tirsenia» attorno alla quale si trovavano le Baleari fosse non l’Etruria, bensì l’isola di Sardegna. Questa nostra interpretazione è confermata in maniera clamorosa dal fatto che esiste in Sardegna, a stretta vicinanza della costa sud-orientale, cioè “tirrenica”, dell’isola il villaggio di Tertenía, il cui nome corrisponde quasi perfettamente alla Tyrsēnía, citata da Stefano (TSSO 926). Però anche a questo proposito sono in primo luogo i numerosi e chiari monumenti e reperti archeologici quelli che spingono a ritenere che la civiltà degli antichi abitanti delle Baleari fosse anch’essa una propaggine della civiltà nuragica della Sardegna. Sia sufficiente fissare l’attenzione su queste strettissime e chiarissime corrispondenze archeologiche: innanzi tutto i cosiddetti talayots balearici corrispondono esattamente, nella struttura architettonica e nella destinazione religiosa e pure funeraria, ai nuraghi della Sardegna. Considerato poi che nella sola piccola isola balearica di Minorca ne sono stati contati ben 195, si aveva ben ragione a considerare anche i Baleari “Tirreni”, ossia «costruttori di torri»! (StSN § 55). In secondo luogo le tombe baleariche chiamate navetas (= «navicelle») corrispondono perfettamente alle tombe nuragiche chiamate “tombe di gigante” o gigantinos, le quali anch’esse hanno la forma di una barca capovolta e con una poppa tagliata e appiattita. Solo che in generale i gigantinos sardi hanno assunto anche un’altra forma architettonica e pure simbolica, dopo che la originaria sagoma della navicella si è trasformata in quella della sacra protome taurina, col prolungamento della poppa tagliata della barca nelle due ali laterali imitanti appunto le corna del toro. Inoltre è certo che sia le navetas baleariche sia i gigantinos sardi a forma di barca in effetti corrispondono, nel loro valore simbolico e religioso, alle «navicelle funerarie» nuragiche, che si ricollegano alle «navicelle funerarie» degli antichi Egizi, con le quali essi ritenevano che i defunti facessero il loro ultimo viaggio verso l’oltretomba. Però la simbologia funeraria della barca “capovolta” innanzi tutto rispecchia il tumulo di terra che si determina sempre su una salma che sia sepolta nel terreno; in secondo luogo è legata all’altra concezione propria degli Egizi secondo cui quello dei morti sarebbe il “mondo dei capovolti”; in terzo luogo è legata alla concezione, comune a molti popoli antichi, secondo cui l’astro della Luna/Proserpina, dea della notte e del mondo tenebroso dei morti, fosse anch’esso una navicella che navigava nel cielo (StSN § 55)…”