IL LIBRO “SU BENATZU” . 3 – Santadi, lunedì 24 giugno 1968, ore 1,30 del mattino

dal libro di Angelo Pani, la testimonianza di Franco Todde

Luogo, data e ora avvolte in un’aura magica che ha tramutato una esplorazione speleologica in un trasognato incontro con un luogo alto della storia dei Sardi nuragici: il tempio ipogeo della grotta Pirosu di Santadi.

E pensare che quell’appuntamento era stato in qualche modo propiziato dal caro Sergio Puddu, che immagino a rincorrere insetti nelle grotte del Cielo. Fu lui, infatti, che, preso da un impeto d’orgoglio, per pareggiare le declamate avventure di noi vecchi esploratori di grotte. disse: “Conosco una grotta profonda più di cinquecento metri. E’ la fossa di Pimpini, in territorio di Santadi”. Prima che si spegnesse l’eco della blasfema risata di Pallino, anche lui oggi a spargere il buonumore tra la compagnia celeste, Sergio aveva già sottratto qualche zero a quella improponibile cifra. Ma l’impegno fu preso: la domenica successiva la meta sarebbe stata la Fossa di Pimpini.

Esplorammo la Fossa che si rivelò una modestissima cavità senile. ma quell’escursione ci permise di conoscere qualcuno del luogo che ci avrebbe mostrato l’ingresso di una grotta i cui segreti non erano mai stati penetrati: era la Grotta Pirosu. La domenica del 23 giugno iniziammo l’esplorazione e, durante il rilievo di una profonda spaccatura rinvenimmo alcune ciotole di terracotta di chiara fattura nuragica. Continuammo l’osservazione della grotta per tutta la giornata finché, presi dalla stanchezza, uscimmo. Ci apprestammo al rientro e qui sorse un problema: l’unica macchina a disposizione, la pur generosa 500 giardinetta del maestro Ghiani, non poteva trasportare più di quattro persone e noi eravamo in sette.

Io, Antonio Assorgia e Sergio Puddu decidemmo di restare e, con l’ultimo scampolo di luce della giornata, rientrammo in grotta per il rilievo. Ebbi l’impressione che l’oscurità della grotta fosse aumentata, quasi che, a questa, si sommasse quella della notte incombente: un nulla assoluto, carico di strane sensazioni in cui si perdevano i contorni della realtà certa e  rassicurante e tuttavia così affascinante: quasi un segno premonitore di qualcosa che sarebbe accaduto. Ci prese una inquietudine sottile che fece calare il silenzio tra noi. Infilammo un tunnel che ci costrinse a strisciare sul ventre. L’ambiente era disadorno, cupo, uno di quei luoghi che ti induce a voltar di spalle e riguadagnare in tutta fretta l’ingresso della grotta. Ma esiste una ricompensa speciale per chi, nonostante le difficoltà tecniche e psicologiche, persiste nell’indagare il ventre della Terra. Arrivammo ad una frattura obliqua che si infilava in una vasta sala che per l’esuberanza, la bellezza e l’eclatante candore dei suoi drappeggi sembrava in comunicazione con il cielo. Era come un grande cristallo di aragonite lattescente, come di mille facce, di mille aghi che nel rimandare in tutte le direzioni l’esile luce delle acetilene la tramutava in lampi luminosissimi che guizzavano per ogni dove.

Eravamo in Paradiso, e con quel nome battezzammo la sala. Restammo a lungo in quel luogo dove le più ardite fantasie prendevano corpo, ma era tempo di muoversi. L’una del mattino era appena trascorsa.

Tornati al punto di partenza Sergio s’arrese alla stanchezza e si stese sul pavimento. Antonio mi convinse a visitare un ampio corridoio alla sinistra dell’asse centrale della grotta. Dopo averlo percorso per qualche metro, un breve salto ci costrinse ad usare il cordino. Aggirammo una cortina di concrezioni per infilarci in una saletta. Un flebile riflesso sul pavimento attirò la mia attenzione e, mentre mi curvavo per verificarne T’origine, mi accorsi che si trattava di una panciuta anforetta dalla superficie traslucida. La raccolsi e chiamai Antonio per fargliela vedere. In quello stesso stante tutta la grotta risuonò di un urlo prorompente: guarda la, disse indicando la mia destra. Malgrado la luce fioca della lampada distinsi i contorni di tre grossi mucchi e mentre mi accostavo ad essi prendevano via via forma di anfore, ciotole, lampade, vasi di ogni dimensione e poi ancora, anelli, bracciali, pugnali, spilloni, una barchetta votiva e, infine, un tripode bronzeo di raffinata fattura.

Chiamammo Sergio e quando giunse gli indicammo quel prezioso tesoro che non vide immediatamente restando assolutamente freddo. Portai la mia mano sul suo collo e “dolcemente” accompagnai il suo viso in rotta di collisione con tutte quelle terracotte. Vedevo già le lenti degli occhiali schizzare in mille frammenti quando, sfuggendo alla mia presa, si levò in volo urlando in tono farneticane: siamo ricchi, siamo ricchi! Stentammo a contenere la sua esaltazione, ma anch’io e Antonio eravamo invasi da una sorta di delirio …

I tre scopritori

ANTONIO ASSORGIA

(Monserrato 1936)

Dopo gli studi in Scienze Geologiche nell’università La Sapienza ha frequentato il Circolo Speleologico Romano che all’epoca contava tra i suoi iscritti numerosi illustri studiosi: dopo la laurea, è stato assistente volontario all’Università e, nei primi anni Sessanta, docente nelle scuole di Iglesias. Qui, è entrato in contatto cor. Franco Todde e gli altri speleologi dell’Asi coi quali ha effettuato indagini geologiche nel Sulcis e nel Supramonte di Urzulei. Professore associato nel 1980, ha insegnato Geochimica e Vulcanologia nel Dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo cagliaritano ed è autore di numerose pubblicazioni. (Foto archivio Msae)

SERGIO PUDDU

(Cagliari 1938-1988)

Abbandonati gli studi in giurisprudenza si è avvicinato alla speleologia dedicandosi con passione a indagare sulle forme di vita che si sviluppano nelle grotte. Amava definirsi uno ‘speleonaturalista” ed era noto in campo internazionale tra gli specialisti della fauna cavernicola. Durante le esplorazioni in tutta la Sardegna ha trovato una ventina di nuove specie animali e le sue ricerche hanno fornito dati significativi per una migliore conoscenza della vita negli ambienti sotterranei. La comunità scientifica ha associato il suo nome a molti di questi organismi. Un privilegio che pochi naturalisti possono vantare. Ha scoperto uno degli endemismi a lui dedicati (il Roncus puddui , uno scorpione troglobio) nel guano della grotta di Su Benatzu. (Foto Speleo Club Cagliari)

FRANCO TODDE

(Iglesias 1946-2008)

La passione per la speleologia e la volontà di approfondire le varie materie attinenti questa scienza gli hanno permesso di acquisire una buona conoscenza e un’ottima pratica della geologia. Assieme ad Antonio Assorgia ha compiuto ricerche e studi sul Cambriano dell’Iglesiente e sul carsismo del Supramonte, un’attività che gli ha permesso di incontrare Franco Rasetti (uno dei “ragazzi di via Panisperna” colleghi di Enrico Fermi ) che ha accompagnato più volte nelle escursioni alla ricerca di trilobiti. Nel 1991 è stato tra i fondatori dell’Associazione per il Parco Geominerario della Sardegna e ha lavorato fattivamente per consentire la nascita del Parco e per ottenere il patrocinio dell’Unesco. (Foto Marcello Mancosu)