di Giorgio Valdès
<<Unificare la storia, impastandola con il mito, unifica il sentimento nazionale. Il mito, come spiegava Levi -Strauss, altro non è che un codice comunicativo che unifica il sentimento nazionale su un linguaggio più semplice. La retorica nazionale, che illumina le vittorie e oscura le sconfitte, sostiene l’autostima collettiva, che non basta mai in un popolo, e la fiducia nel futuro. Quindi, la considerazione del nostro passato, riduttiva e negativa, è un danno. Lo sanno bene tutti coloro che hanno studiato il costituirsi degli stati – nazione. Allora si che ne vediamo di bella retorica, di bella mitopoiesi, da Romolo e Remo a Giovanna d’Arco ai Cavalieri della Tavola Rotonda all’Oro del Reno, altro che shardana ed Eleonora d’Arborea.
Tuttavia, quello che in tutto il mondo è normale, in Sardegna viene considerato patologico. Ho definito “mitofobia” questo generalizzato quanto assurdo atteggiamento della maggior parte degli intellettuali sardi. Da dove deriva questo atteggiamento? Eh, avendo spazio, in questo articolo, ci saremmo divertiti. Ma ho già sforato. Rimando perciò al capitolo che ho dedicato a questo fenomeno nel mio studio sul problema storiografico sardo (La Mano Destra della Storia, Carlo Delfino Editore).Qui possiamo dire, solamente, che “il mito, che da sempre e dappertutto si mescola normalmente con la storia, è monopolio di Stato”. E’ una esclusiva, come la riserva penale in capo allo stato, come il tabacco, come l’esercito e la moneta. Quindi alla Sardegna non è data mitopoiesi, perché non gli è permesso il “nation building”>>. Questo è uno stralcio di un articolo recentemente pubblicato da Fiorenzo Caterini sul suo blog -che sintetizza considerazioni più ampie ed approfondite riportate nel libro sopra citato-, dove l’autore si sofferma in particolare sull’idiosincrasia dimostrata da parecchi intellettuali sardi nei confronti degli atteggiamenti mitopoietici assunti in merito alla protostoria della Sardegna. Fenomeno peraltro non limitato alla cerchia degli “intellettuali”, ma purtroppo ben più esteso.
http://www.sardegnablogger.it/la-mitofobia-dei-sardi-organici-integrati-fiorenzo-caterini/
Atteggiamento “mitofobico”, endemico della nostra regione, che trova conferma nel dibattito e nei diffusi “mal di pancia” conseguenti alla pubblicazione del libro di Sergio Frau “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta”, dove tra l’altro si supponeva la collocazione del regno di Atlante in Sardegna.
A proposito di questo leggendario reame descritto da Platone nei suoi “Timeo” e “Crizia”, volendo assumere un atteggiamento riflessivo, si potrebbero individuare almeno tre ipotesi : 1) Che fosse esclusivamente frutto della fantasia del filosofo ateniese; 2) Che egli, nel descriverlo, si fosse riferito ad un’immane catastrofe effettivamente successa in un’isola realmente esistita ; 3) Che si trattasse invece di un accadimento di minore portata ma con conseguenze devastanti per la terra in cui era avvenuto, e comunque tale da sollecitare la fantasia di Platone, che lo aveva quindi enfatizzato e mitizzato.
Personalmente, non avendo subito “contagi mitofobici”, ho ritenuto serenamente che questa terza ipotesi fosse razionalmente la più percorribile, e anzi che lo “spot” del racconto platonico potesse collocarsi alla periferia dell’attuale città di Cagliari, e più segnatamente in corrispondenza della laguna di Santa Gilla. Un’area umida di cui abbiamo riferito in diversi, precedenti post, che sicuramente ha svolto un ruolo strategico nella storia della città e probabilmente dell’intera isola. Prova ne sia che nelle antiche cartografie del 1500 e seguenti, l’evidenziazione di Santa Gilla prevale su quella della stessa città di Cagliari. A parte il fatto che la laguna accoglieva al suo interno importanti strutture portuali, oggi sommerse da un’enorme massa di fango, che già nel suo strato più superficiale ha restituito una notevolissimo quantità di reperti d’età punica e romana, portati alla luce soprattutto dal compianto Nicola Porcu e dalla sua società di lavori subacquei.
L’ipotesi del regno d’Atlante ubicato a Santa Gilla è sostenuta da diversi autori, tra cui Giuseppe Mura nella sua “L’isola felice di Nausicaa” (ed.Grafica del Parteolla, 2009) e più recentemente da Alessandra Murgia, Nicola Betti e Luciano Melis nel libro “Il mare addosso – l’isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna” (Arkadia editore, 2016). Da quest’ultima pubblicazione è tratto il brano seguente che lascia presumere quanti segreti siano ancora nascosti sotto il limo della laguna: << Un altro studio geologico mostra, infatti, che la collina di Santa Igia avrebbe iniziato a formarsi nel Pleistocene Medio (limi sabbiosi con argilla e sabbia) per poi completarsi nel Pleistocene superiore (sabbie debolmente cementate e sabbie limose e giallastre, arenarie e micro conglomerati). Il canale d’acqua a esse immediatamente limitrofo si è riempito gradualmente di sedimenti, diminuendo la sua profondità col passare del tempo. Intorno al 9500 a.C., la collina/acropoli era alta circa 35/40 metri e il canale che la circondava era largo più o meno 250 metri nel punto più profondo, che era di una decina di metri di altezza, e poggiava su un fondale di ghiaie poligeniche in matrice sabbiosa formatosi nel Pleistocene Superiore e colmatosi negli anni successivi con limi deltizi e limi sabbiosi paralici oltre che con limi sabbiosi e sabbie limose litorali con intercalazioni torbose a ‘Poseidonia Oceanica’. Parte di questo canale semicircolare è ancora esistente, benché si sia ridotto in profondità e larghezza a causa dei detti riporti naturali e antropici. Come ricordano molti vecchi cagliaritani che si recavano in zona per pescare, il ‘canalone’ che circondava Sa Illetta era più profondo del resto della laguna, arrivando a circa 5 metri di profondità e 10 di larghezza, ed era caratterizzato da una forte corrente che portava verso l’interno dello stagno e non verso il mare. Inoltre tutti sono concordi nel confermare che il fondo della laguna non sia sabbioso ma fangoso, tanto da determinare, in alcuni punti, il pericolo di rimanervi bloccati a causa di un fenomeno simile a quello che si crea nelle sabbie mobili…>>
Peraltro, l’importanza strategica di Cagliari per i traffici nel Mediterraneo, sin dalle epoche più remote, è sintetizzata dalle parole di Massimo Pittau, estratte da un suo vecchio articolo: “Relativamente a Karalis (Cagliari) c’è da affermare che è assurdo ritenere che, molto prima dei Fenici, i Nuragici non avessero messo occhio e provato interesse per questa località, caratterizzata come era da facili approdi, sia ad oriente che ad occidente, munita di un colle dirupato, facilmente trasformabile in roccaforte, ricca di importanti saline e posta all’imboccatura di quella laguna di Santa Gilla, che non solo era molto pescosa, ma portava anche fino ad Assemini, nella direzione delle risorse agricole del Campidano e di quelle minerarie dell’Iglesiente. Del resto risulta accertato che nell’area di Cagliari lo stanziamento umano risale al periodo eneolitico e forse anche a quello neolitico, come risulta dai ritrovamenti effettuati a Sant’Elia, San Bartolomeo e a Monte Claro…”.
Per concludere, non ritengo sia campata in aria la tesi prospettata nei due libri appena citati, che individuano nello stagno di Santa Gilla il mitico regno di Atlante; e a questo proposito mi permetto di riproporre anche un mio vecchio post, che riporto nel link seguente, con l’avvertenza che la mia è pur sempre una semplice ipotesi senza alcuna pretesa di “scientificità”:
http://www.nurnet.it/it/986/Santa_Gilla_tra_storia_e_leggenda.html
nell’immagine: una mappa della Sardegna del XVI secolo con evidenziata la laguna di Santa Gilla.