La casa vuota dei Giganti

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di Giorgio Valdès “La casa vuota dei Giganti” è il titolo di un articolo pubblicato il 22 Giugno 2005 sul “Sardegna”, a firma di Giandomenico Mele, che contribuisce ad incrementare le perplessità sui motivi della quasi quarantennale “decantazione” subita da questo straordinario patrimonio storico custodito dal territorio del Sinis. “Reticenza, misteri, leggende e orgoglio. Cabras vive nell’essenza delle contraddizioni una delle più grandi scoperte archeologiche dell’intero bacino del Mediterraneo. Monti Prama ha assunto da trent’anni a questa parte le sembianze di un luogo enigmatico, spoglio, lontano dal mito delle sue viscere che hanno sputato fuori trenta statue alte due metri, custodi di tombe nuragiche. Tutte per tornare alla strana genesi che ebbe una scoperta archeologica fondamentale per la cultura sarda. La prima statua comparì sotto l’aratro di Sisinnio Poddi, un agricoltore che nel 1974 vide quel ‘corpo gigante che quasi mi ruppe il carrello, un arciere grande come un uomo, con le braccia’. Il contadino lo portò subito in paese, consegnandolo nelle esperte mani di Peppetto Pau, il più grande storico oristanese di tutti i tempi. Si aprivano così le porte per la scienza ufficiale, per le indagini archeologiche della Sovrintendenza, per la paura e i timori dei tombaroli locali. Nessuno concederà mai conferme ufficiali, ma un po’ tutti sanno che al tempo nacque un vero mercato di oggetti preziosi trafugati da Monti Prama. Un commercio clandestino o un collezionismo da dilettanti nato dall’incuria con cui venne gestito il prezioso sito, nella lunga pausa di cinque anni che seguì al primo scavo del ’74. Un’occasione persa dal punto di vista scientifico, una parentesi che ha rappresentato fucina di leggende e misteri. Pochi tra gli studiosi locali si sbilanciano, nella paura di incorrere in errori di datazione o inciampare in teorie troppo ardite rispetto alle prove in loro possesso. Lungo le strade per Cuccuru Mannu, a cinque chilometri dal mare, l’area di Monti Prama è ormai invasa dalle sterpaglie, avvolta nella coperta del tempo, nutrita solo dai ricordi di una scoperta che ha comunque marchiato una delle zone a più alta densità nuragica di tutta la Sardegna. Si dice che sotto la terra bruciata dal sole si nascondano, visibili all’occhio più attento, i resti delle lastre di pietra che delimitavano l’area funeraria. Un tempio, forse un pantheon, che avrebbe ospitato le statue dei principi guerrieri. Tharros capitale nuragica? Nelle vie di Cabras le bocche restano cucite, solo accenni ai collezionisti continentali che hanno creato una fortuna intorno all’ingenuità di agricoltori che con l’aratro hanno tirato su tesori dal valore storico inestimabile. Intorno al Museo Civico del paese sta rinascendo una cultura archeologica di primo piano, legata alle rovine fenicio-puniche di Tharros, a una nuova coscienza cresciuta intorno alle grandi ricchezze storiche del territorio. In mezzo ai destini della scoperta, resta impigliata anche una diatriba tra la Curia e la Sovrintendenza. Pare che la locale Confraternita del Rosario, proprietaria del terreno di Monti Prama, non abbia mai gradito l’esproprio forzato che seguì i ritrovamenti. L’ultima rivendicazione in una storia di silenzi e sotterfugi molto materiali”. L’articolo di Giandomenico Mele si conclude quindi con l’esposizione di alcuni dati sugli scavi: “Gli interventi a Monti Prama non sono stati tantissimi. La prima campagna di scavi partì nel 1074 dopo il ritrovamento fortuito del primo reperto archeologico. La campagna successiva invece cominciò l’anno dopo sotto la direzione di Ugas e Bedini. Nel 1977 furono mandati studenti e ricercatori dell’Università di Cagliari con il sovrintendente Tronchetti: Infine il più grande scavo che permise di mettere alla luce le trentadue tombe, risale al 1979 sempre sotto la direzione di Carlo Tronchetti con la partecipazione di paolo Bernardini ed Erminia Usai. Poi da allora più nulla”. Il seguito è storia recente.