Nurnet come caso sociologico di conflitti fra mondo accademico e laboratorio sociale

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intervista a Metteo Corso, cagliaritano, Member of Darwin College Cambridge, ma appartenente in tutto e per tutto all’Università di Cagliari

Nurnet – Antonello Gregorini Buongiorno Matteo, stai seguendo questa vicenda dei conflitti fra il mondo dell’accademia archeologica e il progetto di sviluppo territoriale proposto dalla nostra Fondazione. Puoi dirci se esistono situazioni analoghe in altri contesti? Matteo Corso Studio Sociologia della Scienza da alcuni anni e ho avuto l’immensa fortuna di esser seguito dal sociologo della Scienza più citato del momento: Simon Schaffer. Mi sono confrontato anche con autori che hanno scritto molto su come l’Accademia si struttura e si comporta, come Steven Shapin. Che ti posso dire: la “diffamazione” (o quantomeno certe sue forme light) è la regola. L’ambiente accademico è estremamente gerarchico, ragion per cui è legittimo aspettarsi che i giovani facciano di tutto (letteralmente di tutto) per aggraziarsi gli anziani. In più l’Accademia, in particolare per quanto concerne le discipline umanistiche, è un ambiente piuttosto auto-refenziale, che campa di soldi pubblici e, conseguentemente, compete su tutti i livelli per l’attribuzione degli stessi. L’arma più banale che possano usare, a questo fine, è quella della delegittimazione scientifica. I titoli, le pubblicazioni (spesso neanche peer-reviewed) ma sopratutto la posizione sociale (quella del ricercatore, piuttosto che del full professor) rappresentano posizioni privilegiate per esprimere il proprio grado e la propria funzione nella gerarchia dei saperi. Nelle società contemporanee, ultraspecializzate, tutti abbiamo bisogno, più volte al giorno, di persone accreditare per la loro expertise, ovvero per la loro riconosciuta facoltà di esprimersi “autorevolmente” su questioni specialistiche. Che l’Archeologia sia un sapere specialistico e che sia accademicamente strutturato non ci sono dubbi. Ne consegue che virtualmente la vostra operazione sia una “lesa maestà” che, fra l’altro, da vita ad un contenitore (Nurnet) che può legittimamente ambire a quei finanziamenti pubblici cui il più titolato dottore di ricerca sente di aver bisogno per la propria carriera e a cui l’ancor più titolato docente che gli fa o gli ha fatto da supervisor ambisce per ampliare la propria rete di adepti. Che in questa lotta per la “credibilità” (e per beni per più materiali di questa, qualora per qualcuno non lo fosse abbastanza) si usino gomitate, spinte, calcioni è una tristissima caratteristica delle forme e dei metodi che costituiscono il pane quotidiano del dibattito pubblico italiano. Ed essendo così ovunque e su tutti i livelli temo che le istituzioni non si mostrino esattamente preparate a rispondere a efficacemente a queste fattispecie di reato, come ci si aspetterebbe in uno stato di diritto. Non leggere il mio intervento come una banalizzazione del dramma umano e familiare a cui sei probabilmente sottoposto. Ti sono vicino, credo di capirlo e me ne dispiaccio enormemente. Quello che intendo è altra cosa: fai un bilancio dei costi e delle gratificazioni di questa vostra impresa. Fallo bene, includi questi “incidenti di percorso” come fastidi a cui difficilmente potrai sottrarti. Nota bene che aumenteranno di intensità, qualora, in modo assolutamente legittimo Nurnet dovesse un giorno arrivare (per esempio) a godere di anche un piccolo finanziamento regionale. Questo è bene saperlo e secondo me è bene farci i conti moralmente. Le battaglie legali (io me lo auguro) prima o poi potrebbero anche sortire i loro frutti ma nel mentre sarà una navigazione a vista nel fango: vale la pena alimentare questa sterile polemica con l’autore di un blog che non si fila nessuno, che non commenta quasi nessuno e che nessuno conosce? E’ vero che in internet chiunque può scrivere ma temo, lo temo per l’ego ipertrofico del coraggioso autore mascherato con cui stai duellando, che non ci siano lettori per tutti. Ora, sono anni che tu (Antonello Gregorini ndr) hai i tuoi. Piuttosto che passargliene una manciata (quelli che come me hanno la pazienza di scoprire per la prima volta il blog a cui fai riferimento) non faresti meglio a ignorarlo? Parlo di strategia politica: in un confronto a distanza chi è in vantaggio ha interesse a negare il face to face a chi è in svantaggio. Credimi, tu, anzi voi come fondazione, avete più lettori e seguaci di quasi qualsiasi archeologo professionista di Cagliari (non essendoci più auctoritas fin troppo indiscusse come Lilliu), figuratevi un po’ chi si fila questo tizio. Antonello Scusa Matteo ma noto una debolezza argomentativa, però. La mia polemica non è con untore ma con gli autorevoli accademici che ascoltano, plaudano e forse tristemente supportano chi, da un palco pagato con soldi pubblici, spala fango e fa apologia di evidenti reati. Non è quindi untore il mio contraddittore ma questa pletora di supporter autorevoli. Vi è inoltre un altro aspetto: il relatore al convegno ha dato testimonianza di esistenza di un gruppo organizzato di persone che commettono i reati. Di questo ho necessità di dar rilievo quale elemento di indagine. Matteo Si si, non prendermi per cinico, ma che il ragazzo abbia dei supporters autorevoli non mi stupisce. Potrebbe anche essere il contrario. Potrebbe essere che lui (e perché no, anche altri) si espone laddove gli anziani si bloccano, preferendo invece dedicare 10 minuti di endorsement ad un convegno. C’è chi la faccia non ce la può mettere quando si tratta di spalare fango alla maniera dei peggiori speakers da stadio. Il rischio è finire davanti al comitato etico dell’Università, un po’ come Prof. Zurru che però diceva il vero e lo diceva solo a tinte forti… …sono cose stranote, posso anche passarti la bibliografia di riferimento se vuoi. Le discipline scientifiche si costituiscono e mantengono tramite una lotta perenne per l’accreditamento e per la difesa di quello che Foucault chiamava il “beneficio del locutore”, il diritto acquisito ad essere creduti quando ci si pronuncia circa una determinata questione di natura “scientifica” e specialistica. Il beneficio riconosciuto ai periti in un processo, per intenderci. La vostra missione sarà quella di operare nell’ambito del coinvolgimento e della sensibilizzazione, gli ambiti con cui i tecnici di professione risultano essere tendenzialmente meno avvezzi. Se riuscite, ad esempio, a unire quel che fate ad un’attività di divulgazione in cui la vostra rete di appassionati viene portata a scoprire (con linguaggio più semplice ed accessibile) le roboanti opere dell’esperto di archeologia di turno, coloro che ieri vi delegittimavano accorreranno numerosi per vendere, finalmente, dieci copie del loro libro giovanile. Parlo liberamente perché è nel mio stile e perché non ci sono né nomi né cognomi, né tantomeno conosco le persone qui citate. Tutto quello che dico a proposito di queste dinamiche può essere ampiamente documentato. Nell’ambito dell’Archeologia pare vi sia una spaccatura più evidente che altrove (benché SEMPRE presente) fra cerchia esoterica e cerchie essoteriche. In altri termini la volgarizzazione del sapere ufficiale si declina spesso e volentieri in forme e modi che vengono percepiti dagli specialisti come un tradimento della dottrina. Per dottrina intendo metodologia di riferimento nella comunità di sapere pertinente e set di credenze irrinunciabili. Quello che Kuhn chiamava il “paradigma”. Io penso che per rendere interessante il nostro patrimonio archeologico non sia necessario per forza scrivere di conquiste e glorie passate troppo difficili da documentare. Basta avvicinare le competenze già presenti e custodite gelosamente nel monastero ai non specialisti che quelle campagne e quei paesaggi li vivono e li conoscono. Se Nurnet farà questo, e che anche questo sia nelle sue corde, parte delle ragioni retoriche che legittimano questa polemica col “mondo degli esperti” verranno a mancare. Si tratterà solo di battersi, magari più silenziosamente, nella normale corsa alle risorse. Ma chi lo sa, magari un giorno ne avrete abbastanza da mettere a bando una piccola borsa di studi per un post-doc e allora vi saranno tutti amici. Molte fondazioni in Italia sono legate a doppio filo col mondo dell’istruzione e della formazione alla ricerca… … Nurnet non sfida tanto e solamente i contenuti dell’archeologia ufficiale, ne sfida i metodi. In particolare ciò che viene ritenuto inaccettabile è che Nurnet sia un’esperienza in cui curiosità e passione si esercitano al di fuori degli steccati altamente istituzionalizzati, controllabili e gerarchici della comunità accademica. Questa è una lotta, quindi, su chi abbia titolo ad esprimersi in merito ad ambiti specialistici su cui, normalmente, si esercita una schiera di “professionisti”. Difendere delle prerogative “esclusive” è fondamentale nella loro professione, così come in moltissime altre. Se hai bisogno di una relazione tecnica ti devi recare da un professionista autorizzato a rilasciarla. In un certo senso, se vuoi parlare di Archeologia, necessiti dell’autorizzazione della comunità pertinente. Almeno dal loro punto di vista.

Ovviamente loro interverranno a dire che queste sono tutte elucubrazioni e che loro mirano solo a “ristabilire la verità”, nell’interesse del lettore inesperto. Diranno che loro non fanno che notazioni di “metodo”. Ma dal punto di vista sociologico (o antropologico), per il quale la rispondenza della teoria alla realtà è del tutto ininfluente al dibattito, quel che sta avvenendo è che un professionista accreditato a firmare un testo sta mettendo in dubbio la validità della FIRMA di Nurnet (che, oltretutto, in barba alle consuetudini della comunità scientifica contemporanea è “Anonimo”!!) E’ uno scontro fra forme di vita che trovo molto interessante. Così come ho trovato interessante il primo libro di Leonardo Melis, in cui se non erro non c’erano né note a piè di pagina né bibliografia. Tuttavia la discussione del modo in cui archeologi più accreditati di lui (che forse volendo definire ossessivamente gli ambiti non dovrebbero fare gli storici…ammesso che sia possibile!!) erano riusciti a vedere delle (imperfette, a dir poco) lampade ad olio in quelli che erano a suo avviso dei modelli di imbarcazioni era interessante, a mio modesto avviso. Aveva qualcosa a che fare con l’influenza del paradigma e delle teorie ufficiali sulla percezione e sull’esperimento. La teoria e la credibilità di chi le da linfa vitale nella cerchia esoterica, come diceva Ludwik Fleck, viene ad avere una priorità sull’osservazione. Tuttavia è una priorità che non può essere stabilità confrontando le osservazioni “viziate dal pregiudizio” con osservazioni pure e neutre, semplicemente perché queste ultime non esistono. Melis si rifaceva al buon senso (anch’esso teoricamente intriso)..ma un’osservazione, se la ricordo ancora bene andando a memoria, era interessante: se quelle fossero state lampade piuttosto che navi, non sarebbero state in piedi e se appese l’olio sarebbe caduto. Ricordo che io in quel periodo studiavo i precursori del socio-costruttivismo e mi venne subito in mente che quello pareva essere un case study interessante di quanto, se Melis aveva ragione, la teoria assunta come assioma (per esempio che i nuragici non avessero competenze nella navigazione) potesse influenzare anche quella che per lui era una prova ostensiva del contrario: il bronzetto di una nave. …