di Giorgio Valdès
“L’antica città romana di Turris Libisonis, sulla foce del rio Mannu, al centro del golfo dell’Asinara, è l’antenata dell’attuale Porto Torres, oggi come allora scalo marittimo fondamentale della Sardegna nord-occidentale. Sin dalla preistoria l’area, tra attuale stazione ferroviaria e corso del fiume, si presentava come luogo privilegiato per abitazioni e porto fluviale: dapprima ci furono nuraghi, poi centri urbani. Colonia romana fin dal I secolo a.C., fu l’unico fra i possedimenti, fra Repubblica e Impero, a essere abitato da cittadini romani: si fregiava dell’appellativo Iulia, legata alle figure di Cesare o di Ottaviano…” (Sardegna Turismo).
E’ proprio vero: ben prima della colonizzazione romana ci furono i nuraghi, tanti nuraghi a presidio di quello che sin da allora era considerato un importante scalo marittimo per i traffici tra la Sardegna e il “continente”. Uno scalo che poteva tra l’altro contare su una via d’acqua come il rio Mannu la cui portata, a quei tempi, doveva essere sicuramente tale da consentire l’agevole trasporto dei minerali, dei metalli e delle merci in genere, che provenivano dall’area circostante e dai territori dell’interno.
Negli anni sessanta, l’infrastrutturazione del polo petrolchimico non si curò eccessivamente, se non per niente, della presenza delle testimonianze materiali di quel passato lontano, anche perché allora e per molto tempo ancora, nuraghi e tombe di giganti venivano considerati come simboli di una civiltà deteriore, nemmeno lontanamente confrontabile con le civiltà mediterranee orientali. Così alcuni nuraghi, come il “Nieddu” e il “Ferrali”, sono rimasti inglobati tra le cisterne e i manufatti dell’area industriale. Altri, molti dei quali abbiamo catalogato grazie al contributo della Fondazione di Sardegna e della Concessionario Acentro, spuntano appena dai rilievi circostanti, avvolti in una vegetazione che da millenni ne protegge il sonno.
La foto del nuraghe Nieddu è di Loi Muzzu per Wikimapia