di Giorgio Valdès
Proprio ieri Antonello Gregorini ha pubblicato, sulla pagina FB di Nurnet, un articolo che ripropone l’intervista fatta nel 2003 da Sergio Frau all’etruscologo Giovanni Camporeale.
Quest’ultimo, riferendosi in particolare modo alle analogie esistenti tra i vasi askoidi rinvenuti rispettivamente a Vetulonia e in Sardegna, affermava sostanzialmente che i signori delle miniere dell’importante centro metallurgico etrusco erano sicuramente personaggi sardi i quali, trasferitisi “in continente”, avevano esportato la loro cultura, che trovava proprio in questo tipo di vaso una delle sue più evidenti espressioni.
Quanto asserito da Camporeale è tra l’altro coerente con il pensiero di diversi storici greci e latini, tra cui Erodoto e Strabone, i quali raccontavano al proposito come originariamente i capi degli etruschi, chiamati Lucumoni, provenissero proprio dalla Sardegna.
Un altro storico latino vissuto nel II secolo d.C., Sesto Pompeo Festo, scriveva che “reges soliti sunt esse etruscorum, qui sardi appellantur”, cioè “ i re degli Etruschi sogliono essere coloro che sono chiamati Sardi ”.
Ma anche l’etruscologo Marco Corsini, ritiene a sua volta che in seguito fossero stati gli Shardana, già stanziati sul Germalo (Palatino), a sostenere Romolo nel suo colpo di stato, facendo quindi “sentire il proprio peso sulle istituzioni di Roma, tanto che si parla di Romani e Quiriti (Shardana opliti, lancieri)”.
In definitiva, si può ipotizzare che sia esistita una stretta connessione tra il mondo etrusco e quello sardo e che questo stretto rapporto sia quindi proseguito anche durante e dopo la fondazione di Roma.
Un ulteriore, importante indizio, proviene infine da Luigi Battisti, che nel suo saggio sull’“Etimologia del nome Tibur” disquisisce sul significato della paroletta “ti” che a suo giudizio ha il significato di “acqua” nella toponomastica dell’Europa pre-indoeuropea e dell’Asia minore, al punto che “ancora nel quinto secolo a.C.”, nel nome e nei derivati della parola Tirreno “gli autori greci usavano ancora la forma ‘tyrsen’” trasformatasi quindi nella dizione attuale a seguito del rotacismo della “s”. Secondo Battisti, “se si considera che gli etruschi chiamavano se stessi Rasenna, l’interpretazione del nome è chiaramente ti-rsen = acque degli Etruschi”. E’ quindi ragionevole ipotizzare che anche il nostro fiume Tirso rivestisse lo stesso significato, a maggior conferma della stretta interrelazione esistente tra sardi ed etruschi.
Per ritornare ai vasi askoidi citati in premessa, non può in definitiva sorprendere la loro diffusione sia in Sardegna sia in Etruria, ma è altrettanto rilevante la costante presenza sulla loro superficie di alcuni “segni” caratteristici, che introducono un argomento particolarmente interessante, da approfondire in altra occasione.
(Nell’immagine, una navicella nuragica rinvenuta nella “tomba del duce” di Vetulonia e conservata nel museo archeologico di Firenze).