TRANSIZIONE E PAESAGGIO. SCEGLIERE I LUOGHI, I MODI, I TEMPI

Nurnet ha partecipato alla manifestazione di Saccargia, intende continuare a dire la propria sulla vertenza riguardante l’introduzione delle fonti rinnovabili tramite questa aggressione indiscriminata e speculativa a danno del paesaggio sardo.

Abbiamo chiara la complessità del tema e degli interessi coinvolti; la transizione energetica coinvolge tutti e dobbiamo sentirci responsabili; le scelte hanno implicazioni ambientali, economiche e sociali in rapporto alle tecnologie disponibili. Siamo tutti d’accordo sul fatto che bisogna cambiare il sistema di produzione di energia in modo da ridurre l’impatto dei combustibili fossili, ma bisogna dirigere questo cambio in modo che tale transizione non sia dettata solo da interessi speculativi che poco hanno di ecologico.

A monte ci dovrebbe essere una attenta pianificazione che individui i reali bisogni produttivi della Regione, e studi come soddisfare questi bisogni con un mix di interventi pianificati per avere la migliore efficienza, il minore impatto e i maggiori vantaggi per la popolazione sarda. Gli impianti eolici per cui é stata richiesta l’autorizzazione negli ultimi mesi servirebbero a soddisfare il fabbisogno di 10 volte gli abitanti della nostra Isola. Se si autorizzassero tutti gli interventi proposti ci riempiremo di pale ferme. Parliamo di pale ferme perché né la rete elettrica sarda é in grado di assorbire tanta produzione, né i cavidotti che porterebbero l’energia in Italia sono dimensionati per una tale potenza e da qui a quando rifacciano la rete elettrica e passino cavi nuovi sotto il Tirreno le pale istallate saranno da rottamare e parte di queste non sarà mai entrata in funzione nel periodo della sua vita utile.

Piuttosto che permettere acriticamente i grossi interventi di speculatori di parchi eolici o fotovoltaici, si dovrebbero studiare comunità energetiche con fotovoltaico sui tetti e piccolo eolico, di proprietà di gruppi di piccoli investitori privati e con una parte di capitali e proprietà comunitarie. In altri paesi, soprattutto del Nord Europa, hanno programmato e investito con gran beneficio per tutti, anche per le popolazioni, la dove è diffuso l’azionariato diffuso e le comunità non sono solo energetiche ma anche finanziarie. In Catalogna entro i prossimi 5 anni tutti gli edifici comunali saranno energeticamente autonomi, in Sardegna la programmazione sulla produzione di energia necessaria agli edifici pubblici brilla per la sua assenza.

Non possiamo lasciare tutto in mano a speculatori che ci distruggano il paesaggio facendoci poi pagare l’energia più cara d’Europa.

Bisogna che la Regione stabilisca regole prima di permettere l’autorizzazione di impianti di grosse dimensioni. Dovrebbe programmare e redigere la mappatura delle aree idonee, ma questo sarebbe stato possibile in una terra che in un secolo e mezzo dopo la presa di coscienza e i primi appelli non è stata capace di censire il proprio patrimonio archeologico e dei beni identitari?

Le due cose, come abbiamo rilevato, non sono distinguibili. Le aree idonee devono essere scelte in rapporto all’esistenza dei beni identitari, ma il TAR ha sentenziato che questi esistono solo dove la Soprintendenza, il Ministero, le hanno classificate e individuate. Questo processo in Sardegna non è avvenuto, un po’ per mancanza di risorse, un po’ per la mancanza di volontà. La Civiltà Nuragica e l’archeologia, tipicamente e unicamente sarda, identitaria, non hanno avuto l’attenzione che per la Costituzione Italiana è invece dovuta.

Si dovrebbero rendere obbligatorie le maggiori garanzie per il corretto smaltimento delle pale a fine ciclo. Il fatto che parte delle società che stanno richiedendo permessi per le installazione abbiamo capitale sociale di pochi euro è un indicatore del fatto che non abbiamo la minima intenzione di accollarsi lo smaltimento. Passati i 20-30 anni di utilizzo dell’impianto dichiareranno fallimento lasciando che il costo economico o ambientale resti sulle spalle comuni, della collettività sarda che si ritroverebbe solo i costi e i danni di tali interventi speculativi senza averne avuto il minimo vantaggio.

Si dovrebbe esigere la cessione di una parte della proprietà dell’impianto alla regione Sardegna e/o ai Comuni, in modo che una parte dell’energia prodotta venga utilizzata per fini sociali (per il fabbisogno degli edifici pubblici, di famiglie bisognose, per dare energia gratuita nei paesi che si stanno spopolando in modo da attirare nuovi abitanti e/o attività artigianali o di piccola industria).

Siamo tutti d’accordo sul fatto che si dovrebbe eliminare la filiera delle estrazioni, trasporti, raffinazione, ancora trasporti locali e internazionali, commerciali e privati. Tutti noi abbiamo presente cosa sia un pozzo di petrolio, una miniera di carbone, una petroliera e il catrame nelle spiagge, la SARAS e la petrolchimica in generale; quanto incida il trasporto privato, le nostre autovetture, gli aerei, il condizionamento termico degli edifici, la produzione industriale grande e piccola nell’inquinamento ambientale.
É sulle modalità con cui sostituire tali industrie contaminanti che bisognerebbe centrare la discussione, non vale qualunque cosa piuttosto che il petrolio, ma bisogna cercare di fare in modo che tali infrastrutture di produzione dell’energia non si rivelino altrettanto dannose.

I costi delle installazioni non possono essere secondari nelle scelte della tecnologia. Gli impianti devono essere realizzati, nella misura in cui è richiesto dalle direttive europee e dai decreti italici (6,2 GW). Perché siamo europei e facciamo parte di questa comunità. Il problema è decidere dove. Sembra che ci stiano dando il tempo per decidere. Starà a questa Giunta adempiere.
Sulla questione inquinamento bisogna essere obiettivi e fare un bilancio corretto fra ciò che si toglie (filiera dei fossili) e si immette (filiera delle rinnovabili).
I Comitati e le Associazioni stanno svolgendo un lavoro egregio e devono continuare a controllare, del caso contrastare, l’operato di una classe dirigente spesso non adeguata e industria e finanza che, per definizione, speculano nel loro precipuo interesse.