Sergio Atzeni e il Neolitico in Sardegna

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di Giorgio Valdès "Conoscere la storia della propria terra è un diritto-dovere al quale ognuno di noi non può e non deve rinunciare". Così scrive Sergio Atzeni, autore dell’opera “Preistoria e Storia della Sardegna” (1998), da cui ho tratto alcune considerazioni sul Neolitico in Sardegna: “Negli anni settanta, presso il villaggio di Sirri (Carbonia), venne alla luce un importantissimo sito, che testimonia la penetrazione neolitica in tutta l’isola e l’uso abbondante dell’ossidiana come minerale principe dell’industria litica; il luogo chiamato Su Carroppu (riparo sotto roccia), nonostante sovrapposizioni posteriori, ci ha fotografato il sistema di vita di un clan di cacciatori. Essi usavano, come detto, l’ossidiana sia per le armi sia per gli altri oggetti di uso quotidiano, ma si servivano anche di strumenti in osso, perfettamente lavorato, oltre che collane realizzate con conchiglie accuratamente forate. Importanti sono i frammenti di ceramica ritrovati dai quali emerge una tecnica particolare di decorazione, la quale si effettuava sull’impasto crudo tramite un’arsella rugosa, detta Cardium Edule, i cui bordi seghettati si prestavano facilmente ad imprimere sul vaso decori vari; questa ceramica prende il nome di Cardiale. E’ difficile oggi immaginare il sistema di vita dei neolitici antichi, possiamo però immaginare come si svolgesse. La popolazione sarda, molto scarsa, aveva a disposizione immensi territori dai quali poteva trarre il fabbisogno per il quotidiano, il nucleo principale della società era la famiglia (clan) con tutti gli ascendenti e discendenti in vita; le donne oltre ad accudire la prole si curavano della fabbricazione delle suppellettili di uso quotidiano e della “cucina”, la dieta costituiva senz’altro il problema da risolvere ogni giorno a cui si faceva fronte con la grossolana primitiva agricoltura e con la raccolta di molluschi, marini e terrestri e con la caccia, esclusiva del sesso maschile. L’allevamento fu pratica usuale solo molto più tardi e i protosardi dovevano vagare per il territorio per procurarsi le prede. Forse in questi spostamenti essi sfruttavano anfratti e caverne per passare la notte, diverse per convenzione dalle residenze che potevano, in quel periodo essere miste, ossia caverne rese abitabili con muretti, separazioni in pelli, palificazioni, o in embrionali stazioni all’aperto con rozze capanne di frasche. La grande mortalità creava dei nuclei giovani, tutti atti ai lavori e alle fatiche, allo stesso tempo privava il clan della saggezza degli anziani. E’ difficile teorizzare l’organizzazione sociale, ma questa doveva esistere e forse derivava dalle occupazioni dei membri e dalla loro importanza. Il cacciatore che esercitava un’attività essenziale per la sopravvivenza della comunità, costituiva l’apice di questa teorica piramide, la donna con le sue attività altrettanto essenziali, forse era posta allo stesso livello, infatti la preparazione dei cibi, delle vesti, la cura dei piccoli era basilare in quei primi passi di organizzazione. Di notte nei momenti di riposo, riuniti intorno al fuoco, la luna dominante e luminosa con lo sfondo di mille luci in un cielo immenso dovevano apparire come un miracolo e qualche stella cadente costituiva un evento soprannaturale con nessuna spiegazione se non l’opera di un’entità al di sopra di tutto e più forte di tutti: Dio. Fu così che la coscienza religiosa cominciò ad affermarsi e fu materializzata prendendo come simbolo il mistero della procreazione che i primitivi non sapevano spiegarsi: nacque di conseguenza il culto della dea madre rappresentata in manufatti litici, in un primo tempo e poi fittili. La coscienza religiosa diede senz’altro un impulso “moderno” a quelle genti in quanto credere in uno o più dei (monoteismo-politeismo) presuppone una vita ultraterrena e quindi una esigenza di tumulare i morti ed un culto dei defunti. Questa scoperta fondamentale dei neolitici portò ad una diversa concezione della vita terrena, che favorì l’introduzione di nuovi manufatti con fini essenzialmente religiosi. I vasi d’uso quotidiano si differenziano notevolmente da altri d’uso religioso; i primi si presentano di fattura più semplice e grezza mentre i secondi sono più ricercati nelle forme e lavorati ad impressione o ad incisione su pasta semicotta o a crudo. Appaiono dei simboli tipici della coscienza religiosa come cospargere i defunti di ocra rossa per allontanare gli spiriti maligni e deporre gli stessi in posizione fetale, in modo che rinascano nella seconda vita in modo giusto. Credere in un “Dio” che ha creato e che governa il mondo influì sicuramente sulla forma sociale neolitica portando a una gerarchia sociale, antesignana delle caste, dove ogni individuo del clan ubbidiva ad un capo, che rappresentava il collegamento tra il terreno e l’ultraterreno. Quanto detto è provato da un reperto importantissimo ritrovato in un anfratto presso il Rio S’Adde (Macomer), chiamato dagli studiosi “la Venere di Macomer”; questo manufatto litico in basalto scuro, alto circa 15 cm. riproduce una figura femminile la cui grossolana fattura induce a pensare ad un adattamento di una pietra la cui forma naturale si avvicinava a quella ritrovata. Il viso prominente, con manufatto che si ricollega alla concezione religiosa dove la nascita veniva considerata un segno dell’entità suprema: la Dea Madre. Per concludere si può dire che quell’antico scultore abbia voluto mettere in evidenza gli attributi femminili, accennando semplicemente senza rifinire le altre parti della figura. Collegato direttamente a questa nascente concezione religiosa è l’altro reperto della grotta Verde di Alghero dove in un vaso cardiale furono rappresentate delle facce umane stilizzate. Altri reperti ascrivibili al Neolitico antico furono ritrovati nel promontorio della Sella del Diavolo, tra cui un frammento cardiale con impasto grossolano ed un altro con residui di incrostazione di pasta gessosa bianca…”.

Nell’immagine: il riparo sotto roccia di Su Carroppu; un mollusco del genere “cardium”; la “Venere di Macomer” in tre diverse prospettive.