Storie e storielle al tempo che fu (3)

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di Giorgio Valdès
Danu smise per un attimo di parlare, cercando i riferimenti che lo avrebbe guidato verso il suo villaggio, seguito dallo sguardo del figlio, al quale aveva insegnato che il modo più sicuro di orientarsi nel territorio era quello di seguire l’allineamento dei nuraghi. (1)

Sul grande altipiano un branco di cavallini selvaggi era intento a brucare l’erba che spuntava sui bordi dei “paulis”, le vaste pozze d’acqua che fungevano da abbeveratoi naturali.
Poco più oltre, un grande menhir, ornato di strane incisioni, sembrava quasi un frutto di pietra sbocciato dalla terra.
Kau cominciò ad incalzare Danu con le domande, incurante dei cavalli che osservavano con sospetto chi stava disturbando la loro quiete e quasi deluso per non aver ancora saputo dello strano nome di Gadira con cui spesso veniva chiamata la sua terra.
Pazientemente il padre proseguì il racconto: “Si dice che la nostra isola fosse stata un tempo la dimora di Atlante e dei suoi nove fratelli, nati dall’unione di Poseidone, dio del mare, con Clito, figlia di Euenore e Leucippe.
Ad ogni fratello il padre aveva assegnato un lotto di terreno e mentre Atlante aveva ricevuto la porzione pianeggiante e più fertile della regione, al fratello gemello, chiamato Eumelo (dalle belle pecore n.d.a.), era toccata in sorte quella parte dell’isola rivolta verso la Tirrenia ed il mare d’oriente.
Il fatto singolare è che Eumelo, re pastore, veniva anche chiamato Gadiro così come l’intera isola, che prendeva il nome di Gadirica perché confinante con l’omonimo mare, che a sua volta si chiamava così perché bagnava le coste di Gadir, il porto dove aveva trovato riparo Per-Ra prima di accingersi a raggiungere la nostra isola ”.
Kau, ascoltava con attenzione le parole del genitore, mentre nel suo cuore montava l’orgoglio di abitare in una terra così “importante” dove erano vissuti Atlante, i suoi fratelli ed i diversi re di Tartesso.
Ma voleva anche conoscere la fine della storia e con occhi imploranti si rivolse al padre, pregandolo di terminare il racconto di Pe-Ra e dei suoi compagni.
“Alle prime luci dell’alba”, continuò Danu, “la flotta di navi con a capo Per-Ra, sciolse gli ormeggi e si diresse verso la nostra isola.
Il vento proveniente dalle loro spalle favoriva la navigazione che durò poco meno di due giorni.
Il pomeriggio del secondo giorno transitarono a fianco di due isolotti sui cui graniti si infrangevano i flutti, ma seguendo le veloci navi shardana, che si distinguevano per le grandi protomi cornute, doppiarono un piccolo promontorio, al riparo del quale gettarono le ancore in prossimità di una piccola spiaggia che da allora si chiamò “Porto degli Iliensi” (Portu de s’Illixi n.d.a.). (2)

Dai nuraghi che si ergevano lungo la costa, attente sentinelle avevano seguito il loro attracco, e solo dopo aver constatato che i nuovi arrivati erano compagni dei fratelli Shardana, ne avevano consentito lo sbarco.
Alcuni di loro si diressero verso le terre del nord, lì dove sorgono le grandi tombe dei giganti, ultima dimora dei nostri antichi eroi. (3)

Il manipolo più numeroso dei troiani, prima di proseguire lungo le sponde dei pescosi stagni del territorio, eresse una stele in onore del proprio re Priamo e ad un colle che si ergeva in quei pressi, diedero lo stesso nome del monte, prossimo a Troia, dove Paride portava al pascolo i suoi armenti (monte Idda n.d.a.) e dove nacque il suo amore per Elena.
Proseguendo lungo la riva del mare, sotto lo sguardo immobile di centinaia di torri nuragiche, arrivarono alle foci del fiume Sepro (Flumendosa n.d.a.) e da qui, seguendo il suo corso, che fiancheggiava le vie dell’argento, giunsero nella sacra valle dei menhir (Pranu Mutteddu n.d.a.) e nel territorio dei grandi nuraghi.
Proseguendo il loro cammino tra i fitti boschi e le scure pareti di basalto dove a tratti apparivano, simili a profondi occhi scuri, le “domus de janas” in cui si compivano i sacri riti della rigenerazione delle anime, giunsero infine qui, alle falde del monte da cui ebbe inizio la lunga e straordinaria storia di Tartesso, la terra dei metalli”. (4)

Così dicendo e mentre il sole del tramonto lasciava il posto alla sera, Danu e suo figlio Kau giunsero finalmente al villaggio.