di Paolo Soletta
Il nuraghe Crabia è l’esempio di un’idea di cui non si conosce il nome.
Locke o Hume inorridirebbero nel leggere questo ossimoro, eppure è proprio così, anche perché, lo stiamo vedendo, in Sardegna tutto è possibile.
Quando infatti si racconta di doverlo visitare, il dialogo standard è più o meno sempre questo:
a. Devo andare al nuraghe Crabia
b. Mai sentito. E dov’é?
a. E’ quello bello, arancione, in mezzo al bosco nel discesone a destra quando torni da Sassari.
b. Ahh! Ma certo! Che bello, non ci sono mai stato ma ogni volta che passo mi vorrei fermare!
A volte capita che ci si ferma veramente o ci si vada a fare festa, come durante la prima pasquetta targata Nurnet.
Il Crabia vale tutta la visita perché, se da fuori è bellissimo, dentro è ancora meglio.
Alcune cose, anche se non sono uniche, lo rendono davvero raccomandabile:
– la continuazone della scala elicoidale dopo il primo piano che mostra, anziché il vuoto, l’accesso alla seconda tholos, ancora riconoscibile, anche se aperta e piena di rovi
– l’interno è quasi completamente annerito dal fuoco, e non sembra quello di un falò o di un’arrostita
– tramite la nicchia destra della sala centrale si accede ad una scala che porta sopra l’entrata, proprio in corrispondenza della “finestrella di scarico”, per usare un termine archeologico abbastanza controverso
– la presenza di un architrave con “finestrella di scarico” dentro la nicchia sinistra
Ora i più tecnici correggeranno giustamente qualche svista, in ogni caso, ancora una volta l’architettura dei nuraghi non smette di stupire per solidità, ingegno e mistero