Tradizioni popolari: le Chere.

postato in: Senza categoria | 0

di Giorgio Valdès

Il nuraghe Majore, le domus di Museddu e quelle di Tennero (con la tomba Branca e i suoi petroglifi del “capovolto”), sono tre splendide testimonianze di un remoto passato ereditate dal territorio di Cheremule. A proposito di Cheremule e dell’antica necropoli che si trova nei pressi del paese, nel suo libro “Le tradizioni popolari della Sardegna”, Dolores Turchi racconta tra l’altro che nel terzo giorno in cui in Grecia si celebravano le Antesterie, le feste dei fiori, tali festeggiamenti assumevano un carattere funebre e familiare. In quel giorno venivano cotti dei legumi da offrire alle “kere” (anime) dei defunti. <<Il toponimo Cheremule>> scrive la Turchi <<sembra proprio riferirsi alle antiche Chere, anche perché riguarda una necropoli. Ma un solo nome non sarebbe sufficiente per fare un’associazione con le Keres greche. Tale nome però compare anche in Francia e sta ad indicare un vasto allineamento di menhir. Si tratta della località di Kermario e anche in questo caso il nome significa luogo dei morti. Esiste una parola sarda, “cherina”, il cui significato ben si adatta ai termini finora indicati. “Sa cherina”, a Nughedu Santa Vittoria (ma è da supporre che un tempo fosse comune a tutto il Barigadu), viene chiamato il cerchio che si faceva (e ancora si fa) intorno alla salma del defunto, specie durante i lamenti funebri. Attualmente in Barbagia tale cerchio viene chiamato “sa roda”, ma forse un tempo il termine usato era proprio “sa cherina”, nome che pare riferirsi in modo incontestabile alle Chere. Questo nome si ripete anche in qualche nuraghe. Presso Ozieri e Sindia c’è il nuraghe Sa Cherina e presso Osidda il nuraghe Cherunele. Se, come si riteneva in genere nell’Ottocento, e come ancora tanti credono, il nuraghe era un tempio-mausoleo, ovvero la tomba del capo la cui salma imbalsamata veniva esposta alla venerazione del popolo, il nome conservato da questi nuraghi sembra del tutto pertinente. Nonostante la maggior parte dei nomi sia stata alterata col tempo, ne sono rimasti alcuni che paiono riferirsi all’argomento in questione: Nuraghe Losa (tomba), Nuraghe de is animas, Su Musuleu. Un corso d’acqua presso Ittiri è detto Rio Cheremo. Anche questo nome sembra strettamente collegato alle Chere, col significato di morte. Le sue acque, durante improvvisi temporali, diventano tanto impetuose tra travolgere uomini e bestie che si trovavano ad attraversarlo in particolari momenti, quando non esistevano ponti né ancoraggi di salvezza.  In questi casi tanti torrenti diventavano “il rio della morte”, travolgendo tutto ciò che incontravano nel loro cammino.” (omissis) “ Comunque, la credenza si è protratta anche in periodo cristiano: le Chere sono le anime dei defunti che periodicamente ritornano sulla terra. Per esse si prepara la cena dei morti il 2 novembre così come un tempo si faceva nel mese di agosto. Le date diverse sono ben comprensibili se si pensa ai vari spostamenti calendariali avvenuti nel tempo. Il ritorno delle Kere al terzo giorno delle Antesterie, cioè al giorno delle pentole, quando venivano cotte le fave da offrire agli spiriti dei trapassati, ricorda il rituale che si faceva a Roma durante la celebrazione delle Lemurie. Ovidio ritiene che l’antico nome fosse Remurie, feste istituite per placare l’ombra di Remo ucciso dal fratello, e che più tardi siano state chiamate Lemurie. Queste feste, tristi e a carattere familiare, si celebravano a maggio. I giorni dei Lemuri a Roma erano considerati infausti. La celebrazione avveniva tra timore e terrore. Il riscontro tra il rito latino per i Lemuri e quello greco per le Kere è evidente. Comunque il toponimo Cheremule, luogo dei morti (certamente molto più antico del paese che da questa località ha tratto il nome), fa presumere che in tempi lontani, assai prima della conquista romana, anche in Sardegna le anime dei defunti fossero indicate con lo stesso nome usato dai greci durante le Antesterie.>>

Nella foto di Nicola Castangia: la Tomba Branca della necropoli di Tennero a Cheremule, con il petroglifo del “capovolto” (lo spirito del defunto che ritorna alla madre terra).