Un enigma di nome nuraghe

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di Giorgio Valdès

Quale sia stata la funzione svolta dai tantissimi nuraghi che costellano l’intero territorio dell’isola è un mistero insoluto che, come logico, ha alimentato e tuttora anima infiniti dibattiti tra autorevolissimi studiosi ma anche, per riflesso tra i semplici appassionati della nostra protostoria. Una delle diverse tesi identifica queste possenti strutture con delle fortezze e si contrappone a quella che le assimila invece a luoghi di culto. Una teoria intermedia vuole invece che molti nuraghi abbiano subito nel tempo una riconversione, trasformandosi da fortificazioni in edifici sacri. L’esimio professor Massimo Pittau mostra di avere idee piuttosto chiare sul loro esclusivo uso cultuale “ab origine”, escludendo di conseguenza e con grande determinazione, qualsiasi loro utilizzo come postazione militare. Dalla ristampa del 2006 del suo libro “La Sardegna Nuragica”, abbiamo tratto alcuni significativi brani contenuti nella prefazione:

“Il tema di fondo della mia opera era ed è il seguente: dimostrare da una parte che i nuraghi non erano affatto edifici militari, cioè fortezze e castelli, dall’altra che invece essi erano edifici religiosi, cioè templi comunitari, quelli più grandi e complessi, cappelle tribali o anche familiari, quelli più piccoli e più semplici. E negli uni e negli altri si effettuavano molti riti religiosi e pure funerari, anche perché spesso contenevano, in nicchie apposite, le salme degli eroi o degli antenati divinizzati oppure dei personaggi più in vista, come sovrani, capitribù, grandi sacerdoti e sacerdotesse. Questa mia tesi della destinazione religiosa dei nuraghi colpì immediatamente i lettori sardi e non sardi, anche perché essa si opponeva radicalmente alla tesi della destinazione militare dei nuraghi, la quale aveva il carattere di una tesi del tutto consolidata, dato che aveva ormai a suo vantaggio circa 60 anni di studi e di scritti. Sento però il dovere, ma anche il piacere, di segnalare che il primo che ha dato ‘fuoco alle polveri’ per riaprire di nuovo la discussione sulla destinazione dei nuraghi – la quale in realtà era iniziata almeno 150 prima – non sono stato io, ma è stato un mio caro amico, l’on. prof. Michele Columbu di Ollolai. Egli infatti, nel febbraio del 1966, a Cagliari, aveva tenuto una conferenza che aveva il titolo «I nuraghi non erano fortezze» (…).  A questa conferenza era presente un altro mio compianto amico e collega, il prof. Carlo Maxia, medico e biologo e già preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Cagliari, il quale si fece convincere dalla esposizione del prof. Columbu e da allora se ne fece appassionato sostenitore, validamente coadiuvato dall’altro prof. Lello Fadda di Ghilarza. Ed è stato appunto il prof. Maxia a convincere anche me della necessità di abbandonare la tesi della destinazione militare dei nuraghi, con una sola e semplice, ma sostanziale argomentazione: attorno all’anno 1974, ad autunno inoltrato, eravamo a Silanus, a visitare il bellissimo nuraghe Madrone od Orolío. Eravamo al primo piano, di fronte al grande finestrone, mentre l’intero edificio era investito da un venticello gelido, quando il prof. Maxia rivolgendosi anche ad un altro nostro amico presente disse: «Qui dentro sarebbe stato impossibile vivere, perché gli abitatori si sarebbero presa la artrite e l’artrosi nel giro di una sola settimana». E ne convenne anche l’altro nostro amico, che era pure lui medico. Dunque, i primi a respingere, dopo la fine della II guerra mondiale, la tesi corrente e quasi ‘ufficiale’ della destinazione militare dei nuraghi sono stati in realtà il prof. M. Columbu e il prof. C. Maxia, mentre il primo, dopo quella data, a confutare minutamente le ragioni della destinazione militare dei nuraghi e ad esporre e delucidare le ragioni della loro destinazione religiosa sono stato io…”

“…Anche in questa nuova edizione della presente opera la tesi che sostengo e ribadisco è questa: «Nessun nuraghe è stato mai una fortezza». E ciò per la prima, semplice ma sostanziale ragione che i Nuragici che avessero pensato di rifugiarsi dentro i nuraghi per difendersi e condurvi una guerra, avrebbero agito come i topi che per salvarsi si rifugiassero entro trappole! Considerato infatti che esistono molti nuraghi ed alcuni molto importanti come il nuraghe di Goni e quello di Armungia, ciascuno dei Duos Nuraghes di Borore, ecc., i quali sono costituiti da una sola ampia stanza terrena, in cui non esiste una scala interna per salire sul terrazzo del nuraghe, quando proponessimo questa domanda: «I Nuragici rifugiatisi dentro quei tali nuraghi erano guerrieri combattenti contro il nemico oppure erano guerrieri prigionieri del nemico?», perfino i bambini della V elementare troverebbero la risposta esatta. C’è inoltre da considerare che, per effetto del tabù religioso che nei tempi antichi presso tutti i popoli era molto più frequente e più forte che non fra quelli odierni, è inimmaginabile che le iniziali 7 mila fortezze nuragiche potessero essere tutte trasformate in 7 mila luoghi di culto religioso; è inimmaginabile che 7 mila edifici profani potessero essere tutti trasformati in altrettanti edifici sacri. In terzo luogo, circa la tesi corrente fra gli archeologi odierni, secondo cui in origine i nuraghi erano fortezze, è molto significativo che nessuno di loro si sia mai preoccupato di spiegare come funzionassero queste fortezze e come i Nuragici facessero la loro guerra nei nuraghi e coi nuraghi…”

“…Tuttavia uno storico ha il dovere di chiedersi quali siano state le ragioni dell’affermarsi e del resistere per oltre un sessantennio della ‘fandonia dei nuraghi-fortezze’. E queste ragioni storiche sono, a mio avviso, tre e molto importanti. La prima è stata determinata dalla connessione ed uguaglianza che si sono stabilite tra i nuraghi e le torri antisaracene, quelle che presidiano l’intero circuito costiero della Sardegna. A primo acchito la connessione e l’uguaglianza vengono certamente del tutto spontanee, ma ad un esame appena approfondito si constata che molto differente è la struttura architettonica e la funzionalità dei nuraghi e delle torri antisaracene. I nuraghi hanno l’entrata al piano di terra, per cui agli assalitori sarebbe stato del tutto facile accendervi un fuoco e costringere gli assedianti ad arrendersi per il fumo o a morire soffocati oppure bruciati. Nelle torri saracene questo accorgimento offensivo non avrebbe funzionato per nulla, dato che la camera per la guarnigione ed il suo ingresso – cui si accedeva con una scala retrattile – sono sempre sollevati di almeno una decina di metri sul livello del terreno. La seconda ragione dell’affermarsi e del resistere per oltre un sessantennio della tesi dei ‘nuraghi-fortezze’ è da ritrovarsi nella epopea della «Brigata Sassari» durante la I guerra mondiale, Brigata che fu citata per l’eroismo dei suoi fanti nei Bollettini di Guerra del Comando Supremo dell’Esercito Italiano. Quella epopea (che però fu anche una autentica grande tragedia per i numerosissimi Sardi morti e feriti nelle battaglie in cui venivano lanciati come ‘carne da cannone’) fece nascere in tutti gli Italiani, ma soprattutto nei Sardi stessi l’idea che essi fossero un ‘popolo di guerrieri’. La terza ragione storica, connessa con questa seconda, è da ritrovare nell’affermarsi in Italia del regime fascista, quello che per un intero ventennio lanciò l’idea ed impose la politica del ‘cittadino-soldato’, preparato e pronto a ‘combattere dove il Duce vuole’. In questo clima di continuo ed esasperato bellicismo imposto dal fascismo in Italia era chiaro e certo che gli Italiani più adatti e più pronti per la politica guerrafondaia del fascismo erano per l’appunto i Sardi, quelli che avevano espresso tutta la loro predisposizione militare e tutto il loro valore nelle trincee della I guerra mondiale. «Se non fossi stato Romagnolo – tuonò una volta il Duce in una sua visita in Sardegna – avrei preferito essere Sardo»! Dunque, epopea della «Brigata Sassari» da un lato e politica bellicista del fascismo dall’altro consentirono che si affermasse e si divulgasse con facilità la tesi che anche il popolo dei Nuraghi era un popolo di guerrieri, un popolo del quale un archeologo sardo ebbe modo anche di scrivere che aveva «una sorta di vocazione ‘religiosa’ per la guerra», un «bellicoso […] animus generale».

Come ho già detto, gli archeologi odierni sono – certamente anche per merito del mio libro – molto più prudenti, tanto che, pur riconoscendo che in epoca recente i nuraghi sono stati luoghi di culto, sostengono ancora che invece in origine erano altrettante ‘fortezze’. Però – torno a dirlo – non dicono mai nulla sul modo in cui si svolgesse la guerra nei nuraghi e coi nuraghi. Tutto questo però è già un notevole progresso rispetto alla ‘concezione bellicista’ che si aveva nel sessantennio precedente sul popolo sardo, costruttore dei Nuraghi e creatore della civiltà nuragica…”

Nell’immagine: il nuraghe S.Sabina di Silanus, adiacente all’omonima chiesa bizantina (foto Mibact).