Una delle mitopoiesi della CIVILTA’ SARDA

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La Mitopoiesi della CIVILTA’ SARDA nella versione di Danilo Scintu. Alcuni amici miei dicono si tratti di "minestrone di letteratura antica, storia e archeologia". Non sono in grado di sentenziare alcunché ma neanche ho interesse e cultura sufficiente per doverlo fare. Quel che è certo è che ho letto il breve testo dell’amico Danilo con grande gusto e pertanto lo propongo agli amici della pagina. Ai censori ideologizzati voglio rammentare che: La libertà di espressione è sancita anche dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848: 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.Secondo taluni si dovrebbe rinunciare a leggere queste belle storie, frutto di inferenze, forse non scientifiche ma sicuramente logiche. Antonello Gregorini Nell’immagine un guerriero esposto al museo di Cabras —— SARDEGNA ATLANTIDE. di Danilo Scintu (dal suo profilo facebook) La storia dell’umanità è costellata di misteriosi eventi catastrofici che hanno dato origine a miti e leggende risalenti alla notte dei tempi: la favolosa isola di Atlantide raccontata da Platone, la biblica Tiro – Tartesso, capitale di una favolosa isola posta – come Atlantide – oltre le antiche colonne d’Ercole. La memoria di una tale distruzione avvenuta nelle isole del Mediterraneo Occidentale, oltre ai miti, è raccontata anche nella storia egiziana quando si celebrano le vittorie dei faraoni contro l’invasione dei Popoli del mare. Dei favoleggiati Popoli del Mare gli egiziani ne parlano nei papiri e nelle stele, essi raccontano della disfatta dei faraoni Merenptah e Ramses III e delle loro successive vittorie riportate sugli invasori. Dal 1224 al 1172 a.C. gli egiziani furono in guerra con la potenza di diverse coalizioni, provenienti dalle isole e dovettero cedere per anni le terre del delta del Nilo. Secondo le iscrizioni di Medinet Habu (1193-1155), soprattutto la seconda delle due coalizioni di invasori premette non solo sull’Egitto ma su tutte le terre dell’Asia Minore, su Cipro, Hattusa e sulla Siria distruggendo i loro imperi secolari. Igeroglifici di Medinet Habu raccontano anche di una terribile catastrofe che avrebbe messo in ginocchio alcuni dei popoli invasori: “gli stranieri venuti dal nord vedono le loro terre scuotersi, il loro paese è distrutto le loro anime in angoscia. I popoli del settentrione complottarono nelle loro isole ma nello stesso tempo la tempesta inghiottiva il loro paese, la loro capitale distrutta, annientata”. Mappa di provenienza dei Popoli del Mare Tra gli aggressori marini figurano i Peleset (Filistei), i Denen (Dauni), i Teresh (Etruschi)e i Serden (Sardi). Questi ultimi, sono i più rappresentati nelle scene egizie ed appaiono sia come ausiliari egiziani sia come assalitori nella coalizione, sempre rappresentati con l’elmo cornuto. In una stele di Ramesses II, detta Stele degli Serden si dice: “per quanto riguarda gli Serden dal cuore ribelle non si era capaci di combatterli dall’eternità. Essi venivano possenti su navi da guerra in mezzo al mare e non si era capaci di tenere loro testa". Dopo la disfatta i Pheleset e Sardana si insediarono in Palestina e sulle coste anatoliche. I Sardana lasciarono diversi toponimi nella penisola anatolica, con la radice del loro nome, Sardi la capitale della Lidia, Sardesso e Monte Sardemiso. Dopo una settantina d’anni, all’inizio dell’XI secolo il Mediterraneo tornò ad essere solcato dalle navi, che dalla Fenicia partivano percorrendo le rotte già note verso la terra d’origine. Gli stessi Fenici furono dunque i Sardana, i Corsi e i Tirreni del passato, tornati nella propria isola madre, riattivando i porti dismessi e abbandonati dopo il disastro delle antiche città costiere, quei porti di partenza per le grandi invasioni d’Oriente. Tharros, Solki, Nora, Karalis, Sulki, Olbia, Turris, Kornus, furono tra le città più potenti e famose. Tharros fra queste ne fu la capitale e fu la più grande città dell’isola, in epoca nuragica contava decine di migliaia di abitanti. Geroglifici egiziani di Medinet Habu, l’invasione sardana alla foce del Nilo, le barche sardana, bambini sui carri. La particolare rilevanza costruttiva della Sardegna tra il Neolitico e l’Età del Bronzo ha dell’incredibile. Con una superficie di 24.000 km quadrati, nell’isola furono scavate oltre 3500 tombe ipogee dette Domus de Janas, si costruirono al cielo grandi piramidi in pietra come Monte d’Akkoddi, assieme a gigantesche muraglie e centinaia di Dolmen. Vennero eretti circa 10 mila nuraghi, grandi complessi turriti che hanno vinto le insidie del tempo, assieme a un migliaio di templi a pozzo, un numero simile di tombe dei giganti, edifici civili, ville ed edifici termali. In termini di “livello di civiltà” quella nuragica possiamo definirla “civiltà urbana”, un esempio ne è la penisola del Sinis densamente popolata sin dal Neolitico. Qui coevi alla città di Tharros sono 118 nuraghi e i resti di sterminati villaggi sulle creste basaltiche dei colli, tra gli spietramenti agricoli si rinvennero modelli di navi, statuette e tavolette in bronzo assieme a grandi statue in pietra denominate Giganti di Monti Pramma, raffiguranti guerrieri – arcieri, opliti, soldati della fanteria – dotati di elmo “cornuto”. Malgrado la città sia stata abitata sino al 1076 d.C. l’abitato megalitico di Tharros inspiegabilmente è riemerso intatto durante gli scavi archeologici sull’acropoli della città : su Muru Mannu, il Grande Muro. Qui numerosi ambienti circolari, affacciati su un cortile centrale e un grande tempio anch’esso circolare sono racchiusi da imponenti mura di cinta, il tutto realizzato con massi enormi di pietra. Di epoca nuragica a perdurare nel tempo sino a noi è anche la rocca di Tharros, il promontorio ove oggi sorge la torre di S. Giovanni le cui fondamenta poggiano di misura su una struttura circolare preesistente in massi ciclopici posata su una piattaforma megalitica triangolare. Secondo gli antichi, la città di Tartesso stava frontalmente la foce di un fiume che aveva lo stesso nome, oltre le colonne d’Ercole. Finora nulla di archeologico è stato trovato oltre lo stretto di Gibilterra, alla foce del Guadalquivir, che riporti alla biblica Tartesso. In Sardegna frontalmente alle mura di Tharros, risalenti a 3000 anni fa, è la foce del fiume Tirso, per gli antichi che usavano non scrivere le vocali era TRSS, lo stesso nome dunque. La prova tangibile della presenza in Sardegna della unica mai esistita Tartesso è la stele di Nora una famosa iscrizione in caratteri fenici del 1000 a.C. ove nella prima riga si legge: b – T(a)rsh(i)s, ovvero “in Tartesso”. La stele di Nora era la lapide commemorativa della fondazione di un tempio a Tharros offerto dai norensi, essendo Nora una città fondata da tharrensi. Tutte le fonti storiche parlano del legame tra Tartesso e l’argento. La Sardegna è sempre stata ricca di argento tanto che i greci la chiamavano "Argyróphleps nésos", "l’isola dalle vene d’argento", la grande abbondanza di rame e argento, assieme al bronzo, fecero dell’isola una grande potenza marinara che diventò talassocrazia con il commercio dei metalli. Di Tharros gli anziani ancora oggi raccontano che l’antica città venne distrutta da un maremoto in un tempo memorabile. Su connottu, il conosciuto, conferma che Tharros al pari della capitale dell’isola di Atlantide, subì un terribile disastro. Tharros e la Sardegna intera vestono perfettamente i panni dell’isola di Atlantide raccontata da Platone. Come nel racconto di Platone Tharros sorge su una rocciosa isola a picco sul mare (ora penisola per le dune di sabbia), prospiciente lo stretto canale che la divideva dalla terraferma. Qui si erge la monumentale cinta muraria in ciclopici massi di basalto, trachite e arenaria che ancora oggi racchiudono la città fortificata. Il sistema di fortificazioni tharrense ha uno sviluppo di circa 1750 metri racchiudente un area di oltre 115 mila mq, imperniato su due punti focali: l’acropoli di su Muru Mannu a nord e la rocca di San Giovanni a sud. Dagli scavi di Tharros effettuati sulle mura settentrionali di su Muru Mannu, è emerso un imponente sistema di fortificazioni, secondo una concezione di difesa multipla. La profondità del sistema di fortificazione a settentrione è di circa 230 metri. Tharros con le sue possenti mura ciclopiche la cui dimensione dei massi è fuori dal comune, assieme agli edifici costituiti di grandi ambienti circolari disposti su un vasta area urbana, conferma archeologicamente la sua esistenza gia dal II millennio a.C., in piena epoca nuragica. I numerosi rinvenimenti archeologici tharrensi documentano lo stretto rapporto che la città intratteneva con l’Oriente Mediterraneo. Monili e statuette rinvenute in argento, bronzo, oro, icone egizie di Iside e Osiride, dimostrano l’assidua attività commerciale di Tharros nell’antichità. Tharros dunque con la sua esistenza fisica, porta a rivedere l’interpretazione degli storici sulla collocazione della antica Tartesso, capitale del grande impero amministrato da re Argantonio e allo stesso tempo consente con la sua storia, di avanzare nuove ipotesi sulla collocazione di Atlantide descritta da Platone.