FONDAZIONE MONT’E PRAMA: QUELLO CHE È IN GIOCO.

postato in: Senza categoria | 0

di Francesco Masia

Credo che la Fondazione Mont’e Prama stia facendo bene, mi sembra apprezzabile il progetto e il suo dispiegarsi, ci sono dietro impegno e competenze che sarebbe sbagliato (e controproducente) non riconoscere. Eppure, oltre al meritato plauso, ritengo opportuno proporre un appunto di fondo.

Il 29 Ottobre, alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico (Paestum, SA), il Presidente Anthony Muroni ha detto, tra il molto altro (da 19’35” https://fb.watch/gtTZfv0ynZ/ ): “Non dobbiamo avere paura di valorizzare, di rivendicare il fatto che quel territorio, quando finisce la civiltà nuragica, quando c’è Mont’e Prama, nel Tardo Nuragico, diventa poi un territorio che ospita, che riceve, che si integra con altre culture che arrivano dal resto del Mediterraneo. Non ci toglie nulla, come sardi, il fatto di riconoscere che sono arrivati i Fenici, i Cartaginesi, i Romani, i Vandali, i Bizantini; è Storia, e noi dobbiamo raccontare la Storia vera, non la ‘fantastoria’ che ci dice che eravamo alti 3 metri e che con i nostri archi arrivavamo a gittate cui oggi si arriva con i missili Patriot. Non ci aggiunge nulla, anche perché in ogni caso non avremmo nessun merito di quanto accadeva migliaia di anni fa. Dovremmo cercare di essere all’altezza oggi, semmai, di questa grande storia.”

E la Direttrice Scientifica Nadia Canu, di nuovo tra il molto altro (da 58’): “Siamo appunto in quel periodo in cui i nuraghi non si costruiscono più, e quindi il nuraghe stesso diventa un simbolo che viene in qualche modo venerato da queste popolazioni, che non possiamo neanche più definire nuragiche.”

Muroni dà così l’idea di un panorama in cui vi sarebbero da una parte i “fantastorici” (non dice “fantarcheosardisti”, ma è quella roba là) e dall’altra quelli che vogliono valorizzare e rivendicare senza paura la Storia vera. Messa così, per chi si dovrebbe parteggiare? Non certo per quanti direbbero che si era alti 3 metri e che si scagliavano frecce a 70 Km di distanza. Ma è davvero questo il panorama? In realtà nella direzione “fantastorici” (per capirci) ci sono molteplici gradazioni; questo è comprensibile, spiegabile e più immediatamente accettabile. Ma anche nella direzione degli “storici veri senza paura” si dovrebbe capire che ci sono disposizioni diverse, alcune viziate (quale meno, quale più) da pregiudizio, che naturalmente risulteranno meno comprensibili e spiegabili. Muroni colloca Mont’e Prama “quando finisce la Civiltà Nuragica (nel Tardo Nuragico), quando il territorio ospita, riceve e si integra con altre culture” (non “integra altre culture”; parlando a braccio, una sfumatura poco valutabile).

La dott.ssa Canu aggiunge che con Mont’e Prama siamo in un periodo in cui non possiamo più definire nuragiche queste popolazioni (non costruendosi più i nuraghi; non aggiunge, peraltro, come dette popolazioni debbano altrimenti chiamarsi). Se ne potrebbe o dovrebbe trarre che Presidente e Direttrice Scientifica della Fondazione abbiano già chiaro che la necropoli di Mont’e Prama non sia, non possa dirsi, nuragica. E se non potesse dirsi nuragica, come la si dovrebbe considerare? Secondo certe classificazioni il Nuragico, in realtà, dal 1.800 arriverebbe fino al 238 a.C. (inizio della Sardegna Romana); così riporta, per esempio, il sito SardegnaCultura della Regione Sardegna (https://www.sardegnacultura.it/periodistorici/nuragico/).

È pure vero che, in archeologia, dopo la “cultura nuragica”, che cessa appunto (strettamente) con la fine dell’edificazione dei nuraghi (XII secolo a.C. per i più, XI per i meno), si parla di “cultura sarda”. Potremmo dunque dire che Mont’e Prama è una necropoli sarda? Dei Sardi? Ammettiamolo, ma vediamo che qui confliggerebbero due interpretazioni differenti. C’è chi lamenta si parli di Civiltà Nuragica (è nota l’obiezione che per gli Egizi non si parla di Civiltà Piramidica) e vorrebbe appunto si parlasse di Civiltà Sarda per tutta l’evoluzione che dall’alba del prenuragico arriva a tutto il I millennio a.C.. Verrebbe così riconosciuta, fin dal nome, la continuità di popolo già suggerita dall’omogenea e capillare distribuzione prima di dolmen e Domus de Janas, poi di Nuraghi, Tombe di Giganti, Templi e Pozzi Sacri (con la sagoma della testa di toro a fare da collante); continuità poi attestata dagli stessi studi genetici, che non ravvisano nei Sardi antichi attraverso i millenni significativi innesti di altre popolazioni, almeno dal Neolitico.

In quest’ottica “necropoli sarda” non toglierebbe nulla ai Sardi: sarebbe stata concepita, progettata e costruita dai Sardi (con i necessari interventi di quanti dall’esterno i Sardi medesimi, per i loro contatti, potevano conoscere, apprezzare e assoldare), rivolta a celebrare la loro gloria; una realizzazione che per quella civiltà sarebbe risultata, in duplice senso, estrema (da una parte apogeo, almeno scultoreo; dall’altra canto del cigno). Questi stessi Sardi, in via (nell’economia di questo discorso) accessoria, sarebbero potuti essere, inoltre: parte fondamentale dei Popoli del Mare (gli Shardana, o Sherden; e forse non solo); controllori di domini fuori dalla propria isola (anche per questo navigatori); detentori, come altri, di una scrittura alfabetica (e magari, già prima, di una astiforme); possessori o condivisori di una lingua in grado, anche per la loro influenza, di diffondersi ad altre regioni del Mediterraneo; nonché ispiratori di miti, per via dei ricordi che di essi pervennero alle future civiltà classiche.

Tutto questo, come si vede, non comporta che qualcuno raggiungesse i 3 metri o scagliasse frecce oltre il credibile; benché proprio i successivi classici, appunto mitizzando (lontani nel tempo e nello spazio), potrebbero ben aver ingigantito ogni cosa a loro piacere. E d’altra parte lo stesso nome, “necropoli sarda”, potrebbe invece togliere ai Sardi non poco. Secondo certe letture archeologiche, infatti, la Civiltà Nuragica si sarebbe sviluppata in Sardegna non attraverso una sostanziale continuità con le culture prenuragiche (non quindi come fenomeno sostanzialmente autoctono), ma attraverso il significativo innesto di genti portatrici di nuove conoscenze tecniche. Queste letture portano quindi a interpretare anche il fenomeno nuragico come qualcosa di allogeno, per cui Sardegna Nuragica (come poi Sardegna Punica, Sardegna Romana, Sardegna Spagnola) indicherebbe in sostanza una dominazione sui Sardi (ben più breve, in fondo, di quella Romana, tra Impero Romano d’Occidente e d’Oriente).

Ecco che quando la Sardegna Nuragica si spegne, i Sardi (secondo questo approccio interpretativo) non sono strettamente in continuità con la “dominazione” esauritasi, ma sono gli eterni sparuti già pronti a farsi sottomettere dai primi nuovi aspiranti dominatori che si affaccino.

Altri archeologi non hanno bisogno di minare la sardità dell’intero Nuragico, ma mostrano comunque di ritenere che il tramonto della Civiltà Nuragica, in qualsiasi modo generato, sarebbe stato talmente brusco e profondo da lasciare i Sardi molto sguarniti. In ogni caso “necropoli monumentale sarda” starebbe in pratica a rappresentare, allora, un ossimoro storico, in quanto i Sardi (sempre secondo questo approccio interpretativo) certo non avrebbero avuto da soli (esauritosi il Nuragico) le capacità per concepire, progettare e realizzare un complesso come intravediamo essere Mont’e Prama. Avevano certo il bisogno di ricevere pesanti “aiuti” e tutta la permeabilità per accoglierli, tutta la duttilità per integrarsi, loro sardi, ai nuovi venuti (riprendendo Muroni).

Per non dire che, in questo contesto, una necropoli monumentale siffatta non poteva realisticamente essere dedicata a questi sardi, che al limite aiutarono nell’erigerla in qualche modo poco qualificato. Ecco che “necropoli sarda” resterebbe allora solo a indicare un luogo geografico e un periodo storico non ancora altrimenti denominato, ma ai Sardi toglierebbe letteralmente Mont’e Prama, voluta da altri a proprio beneficio. Questo, dunque, è in gioco: la necropoli monumentalizzata, diciamo sarda e non più nuragica, era dei Sardi per i Sardi, o era semplicemente cosa d’altri? O si riterrà consigliabile praticare soluzioni più democristiane, più diplomatiche, per cui magari Mont’e Prama era una joint venture, un accordo tra diversi, per onorare forse una pace, probabilmente instabile? Possibile che sembri valere tutto, solo sulla base dell’autorità di chi lo sostiene, senza ancora valide prove che una certa interpretazione sia giusta e altre sbagliate?

Ecco, noi speriamo che la verità di cui non aver paura sarà spiegata con prove convincenti, o almeno che si utilizzino, per amor di verità, tutti i condizionali del caso per interpretazioni ancora sostenute solo da indizi (sperabilmente seri e in gran numero); senza cercarne (indizi e prove) a senso unico, trascurando così i meno consoni ai propri pregiudizi.

Non consone, per alcuni, saranno le datazioni ottenute col C-14 che indicano nel Bronzo Recente nuragico, XIII-XII secolo a.C. (a cantieri di nuraghe ancora attivi) la fase iniziale della necropoli (è vero che la monumentalizzazione si data, imprecisamente, a una terza fase, ma questa è comunque legata unitariamente al resto della necropoli, una continuità cui nuove e diverse genti ben difficilmente si sarebbero attenute). Non consoni, per gli stessi, saranno i “Dati antropologici e genetici sugli inumati” (https://it.wikipedia.org/wiki/Giganti_di_Mont’e_Prama?wprov=sfti1), che riconoscono almeno in tutti gli inumati sottoposti a indagini caratteristiche genetiche tipiche dei Sardi e non di genti orientali. Non consoni, ancora, saranno le “Analogie tra rituali funerari di Mont’e Prama e delle tombe dei giganti” (ibidem). Come forse sarebbe non consona, in ultimo, la vittoria dei Sardi sull’esercito cartaginese guidato dal generale Malco (si dice composto da 80 mila uomini) nel 540 a.C..