TULA: MURAGLIA CICLOPICA DI “SA MANDRA MANNA” E LE “ISCRIZIONI” SU PIETRA

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Testo Piera Farina Sechi
Foto Bruno Sini / Piera Farina

” Era la cerimonia più bella che si celebrava al villaggio. La cerimonia della rinascita, dove si passava dal periodo buio e freddo a quello della luce e del caldo.   L’equinozio rappresenta il giorno nel quale la durata dello splendere della luce del sole eguaglia la permanenza del buio della notte … 

 

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“Nei nostri villaggi nuragici, tutti i ragazzi/e venivano allevati per diventare autonomi. Dovevamo conoscere l’arte della lavorazione dei metalli, della ceramica, della conciatura delle pelli, della coltivazione della terra, della caccia, della tessitura e via discorrendo. Ciò che a me piaceva di più era scrivere. Il nostro modo di scrivere era semplice, composto da diverse aste e fori, ma occorreva studiarli a memoria. Ed io, Meside, ero diventata la più brava. Un tempo si scriveva solo su alcuni massi di pietra opportunamente allisciati, oppure su dei conci o su dei vasi; poi abbiamo scoperto che scrivere sulle cortecce dell’albero era molto meno faticoso e più facile al trasporto.
Fu cosi’ che il sughero divenne il supporto più adatto alla scrittura. Lo si doveva lavorare, prima, per renderlo più liscio; una volta pronto, con un uncino di metallo arroventato, si facevano delle incisioni.

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Scrivere quel che i saggi ci dettavano era per me un grande onore. Come un grande onore fu il giorno che mi comunicarono che dovevo essere io la dea, quell’anno, per la celebrazione del giorno uguale alla notte.
Era la cerimonia più bella che si celebrava al villaggio, la cerimonia della rinascita, dove si passava dal periodo buio e freddo a quello della luce e del caldo.
L’equinozio rappresenta il giorno nel quale la durata dello splendere della luce del sole eguaglia la permanenza del buio della notte.
Da tempo eravamo tutti intenti ad abbellire Sa Mandra Manna, la nostra muraglia magica, con ramoscelli di mandorlo in fiore, mirto ed erbe profumate. Non partecipava solo il nostro villaggio, ma arrivavano anche dai villaggi vicini. Questi si accampavano giorni prima accanto alle nostre capanne e ci riempivano di doni.
Ecco la dea, dissero. Era questa la frase che dava inizio alla cerimonia.
Io dovevo passare tra due ali di fanciulli tutti vestiti di bianco, come me, salvo il fatto che io indossavo una maschera. Era una “caratza” di legno, resa bianca da numerosi petali di margherite. Dovevo passare nel primo ingresso del muro, e fermarmi alla fine. Quando i raggi del sole mi avrebbero illuminata del tutto, io mi sarei dovuta chinare per onorare il sole e far sì che questi oltrepassasse la porta del muro dando così inizio alla festa della vita.
Era il momento topico in cui la terra ed il sole emanavano l’energia più pura, essenza vitale per la nostra esistenza.
Tutti i presenti, ben prima di me erano passati attraverso la prima porta, e con la mano destra, al passaggio, dovevano sfiorare la scrittura sacra posta su di un lato e fare un breve inchino.
Erano parole scolpite da tempo immemore, dettate dai grandi saggi del passato. Parole sulla vita che vanno dritte al cuore. Passando attraverso la porta, veniva consegnato loro un ramoscello di profumatissima “armidda” (timo).
Una volta dentro dovevano salire sulla muraglia per assistere allo spettacolo. Canti e balli continuavano per tutto il giorno e la notte, mentre io, che ero la dea, stavo seduta sul trono al centro della piazza.

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Per un anno ho avuto il privilegio di essere una dea; tutti venivano da me cercando di sfiorarmi per poter ricevere la loro dose di energia e di fortuna. Che onore e che emozione; io, Meside, dea per un anno. Ogni dea o dio, doveva insegnare l’arte nella quale si era contraddistinta.
Io ero la dea della scrittura. Insegnai ai ragazzi del villaggio a scrivere.
Ero talmente brava che arrivavano persino dai nuraghi più lontani per apprendere l’arte dell’incisione e della scrittura. Continuai a farlo per tanti, tantissimi anni, tant’è vero che tutti mi chiamavano Meside, la dea della scrittura.
Credo di aver dato tanto al mio popolo, ed ora, che i miei capelli non hanno più il colore della notte, le mie gambe a stento mi sorreggono, le mie mani tremano, sono qui, seduta accanto alla grande scrittura dei saggi, a Sa Mandra Manna, ricordando, con malinconia, quel grande giorno, e, mentre aspetto che le stelle vengano a prendermi per il lungo viaggio, spero e sogno che ciò che io ho scritto e fatto scrivere venga un giorno riletto, capito, studiato da chi a distanza di centinaia e centinaia di lune si ritroverà lì, davanti alle nostre incisioni nuragiche, e che, magari, riesca a risalire al mio nome per poter, in tal modo, celebrare me, Meside, la dea della scrittura.

 

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Pura fantasia questa, dal momento che ancora nel XXI secolo si è solo agli albori dello studio del metodo di scrittura dei nuragici; certo è che i nuragici scrivessero.
Le incisioni che si trovano a Tula, nella parete destra del grande corridoio di accesso al complesso della muraglia megalitica de Sa Mandra Manna, non è invenzione fantastica, è pura realtà.
Essa è composta da diverse aste non tutte incise verticalmente, alcune sono oblique. In più troviamo dei fori di diverse dimensioni.
Sa Mandra Manna è una muraglia ciclopica, lo si evince da ciò che ancora è rimasto. Non si conosce la sua utilità, si pensa non sia stata una semplice opera difensiva, bensì un osservatorio astronomico.
Il fatto che il sole penetri in una delle sue porte, attraversi tutto il corridoio lungo più di dieci metri ed esca nella porta opposta, solo nei giorni degli equinozi ne è la prova.
Molti studiosi datano questo monumento attorno al 2700/2200 a. C.; per la presenza di una Tomba dei Giganti e di diverse coppelle altri lo datano al periodo strettamente nuragico.
A mio avviso nessuno ha impedito ai nuragici di adattare una struttura preesistente che ha preceduto i nuragici di svariati secoli se non, addirittura, di millenni.
Invito gli appassionati ed anche gli scettici ad andare ad ammirare personalmente quest’altra meraviglia che il nostri popoli (prenuragico e nuragico) ci hanno lasciato e a farsi pervadere dall’energia che essa emana, immergendocisi.

 

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